Benedetto XVI in preghiera

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Don Giovanni Antonazzi, amico di don Giuseppe De Luca e ben addentro alla curia romana, scrisse che il cardinale Paolo Giobbe (1880-1972) ebbe a dire: ‘Quando uno riconosce che a un certo momento deve dimettersi, vuol dire che ancora può stare al suo posto, perché, quando verrà il momento di dimettersi, non lo comprenderà più’. 

E questo vale per tutti, ma si deve prendere atto che Benedetto XVI ebbe la sapienza di mettere in atto la sua decisione di rinunciare al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro, al momento giusto, ossia quando ancora le energie gli permettevano di fare questo passo. Infatti una tale decisione richiede grande forza anche psicologica come lui stesso riconobbe otto anni dopo:

“E’ stata una decisione difficile. Ma l’ho presa in piena coscienza, e credo di avere fatto bene. Alcuni miei amici un po’ fanatici sono ancora arrabbiati, non hanno voluto accettare la mia scelta. Penso alle teorie cospirative che l’hanno seguita: chi ha detto che è stato per colpa dello scandalo di Vatileaks, chi di un complotto della lobby gay, chi del caso del teologo conservatore lefebvriano Richard Williamson. Non vogliono credere a una scelta compiuta consapevolmente. Ma la mia coscienza è a posto”. 

Il segretario personale, mons. Georg Gänswein, ha testimoniato che cercò di fargli cambiare idea al momento della comunicazione e che davanti alla sua contrarietà il Papa disse che era una decisione presa e non una possibilità da discutere: “Mi aveva preannunciato questa decisione: Devo farlo”. Io sono stato tra i primi che hanno cercato di dissuaderlo. E lui mi ha risposto con nettezza: Senta, non chiedo un suo parere, ma comunico una mia decisione”.

Le pressioni prima e dopo l’annuncio non furono lievi; ad esempio sembra quasi un rimprovero a Benedetto XVI quanto espresso dal novantenne cardinal Walter Brandmüller il 31 agosto 2022: “Quando Celestino V, nel 1294, rendendosi conto delle circostanze particolari della sua elezione volle rinunciare al papato, lo fece dopo intensi colloqui e col consenso dei suoi elettori. Una concezione dei rapporti tra papa e cardinali del tutto diversa fu quella di Benedetto XVI,  che – caso unico nella storia – la sua rinuncia al papato, per motivi personali, la fece all’insaputa di quel collegio cardinalizio che lo aveva eletto”.

Certamente non indifferente fu il sostegno anche della sua preparazione teologica; infatti nella considerazione e comprensione della rinuncia di Benedetto XVI importante è tenere presente la teologia dello stesso Pontefice, soprattutto quella inerente al primato petrino.

A questo riguardo si deve ricordare che per la tesi di abilitazione all’insegnamento discussa nel 1957 Joseph Ratzinger studiò il pensiero di Bonaventura di Bagnoregio. Proprio partendo da questo studio e dalla problematica del rapporto tra chiesa locale e chiesa universale, di cui un punto importante è il rapporto del papa con i vescovi, il noto teologo domenicano Yves Congar scrisse:

“Joseph Ratzinger, che ha fatto notare, giustamente crediamo, alcune differenze tra Bonaventura e Tommaso, dà molta importanza al ruolo che il papa occupa nella mistica bonaventuriana in ragione del fatto francescano”. Leggendo ciò più che legittima sorge la domanda se e come tale aspetto francescano abbia influito non solo nella sua concezione ed esercizio del papato, ma anche nella rinuncia al ministero petrino.

Considerando vari suoi scritti e discorsi l’ipotesi di una risposta affermativa si rafforza. Così per approfondire il gesto di rinuncia non solo è importante conoscere la teologia del primato petrino, ma anche il pensiero di Benedetto XVI nel suo formarsi mediante un prolungato lavoro di studio e in ciò un ruolo non marginale ha la teologia di san Bonaventura.

Per un approfondimento cfr. https://www.academia.edu/7076338/San_Paolo_san_Bonaventura_e_Joseph_Ratzinger_Benedetto_XVI_in_Forma_sororum_46_2009_p_275_283

(Tratto da Il Cattolico)

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