«Che l’autorità decisoria si convinca a intitolarsi l’assoluzione di Becciu». E se gli uomini ancora taceranno, grideranno le pietre…

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 15.12.2023 – Vik van Brantegem] – Il cosiddetto “processo del secolo” vaticano vedrà domani, sabato 16 dicembre 2023 – giusto in tempo per il Santo Natale (quando gli uomini si dicono più buoni e in pace con il mondo intero (almeno per un giorno all’anno) – la conclusione di primo grado del “Procedimento penale n. 45/2019 RGP vaticano”, in realtà il “processo Becciu”.

Il Tribunale di prima istanza dello Stato della Città del Vaticano, presieduto da Giuseppe Pignatone – già Capo Procuratore della Repubblica di Roma, quindi, certamente una figura di peso – dopo un processo durato più di due anni e ha celebrato più di 80 Udienze, domani si ritirerà in Camera di consiglio (con i Giudici a latere Venerando Marano e Carlo Bonzano) per emettere una sentenza per i 10 imputati (8 laici, 1 religioso e il Cardinale Giovanni Angelo Becciu, il primo cardinale nella storia ad essere giudicato da laici). Sarà una sentenza – quel che sarà scritto – che farà storia.

«Se la verità si oppone alla ragion di Stato, i giudici facciano la scelta giusta (non quella del loro collega Pilato, per intenderci), e con loro la Chiesa tutta. Caifa argomentava ipocritamente in questo modo: “Voi non capite nulla e non riflettete come torni a vostro vantaggio che un uomo solo muoia per il popolo” (Gv 11,50). Ma Cefa non può diventare Caifa: aut aut. I nemici del Papa – e della Chiesa – non aspettano altro che un passo falso di Francesco, e proprio per questo lo hanno ingannato. Ma la verità verrà in ogni caso a galla, per Giovanni Angelo Becciu come in altri tempi per Enzo Tortora. E se gli uomini ancora taceranno, grideranno le pietre» (Andrea Paganini).

«Una sola strada sembra aprirsi capace di concludere in modo non indegno questa grigia vicenda. E cioè che l’autorità decisoria si convinca a intitolarsi l’assoluzione di Becciu. Che il Papa, assistito dal consiglio del presidente Pignatone, capisca, anche ricredendosi, che sulla base delle risultanze processuali, è quella l’unica scelta giusta. Non solo e non tanto un’assoluzione ma la presa d’atto della verità. Sì, anche ricredendosi: Bergoglio non ci ha forse abituati nel corso del suo pontificato a svolte improvvise, a repentini cambiamenti di umori e di prospettiva, a colpi di scena? Si metterebbe così fine a una vicenda nella quale i motivi e i retroscena veri, i veri attori, restano tuttora nell’ombra più fitta e in cui forse a tirare davvero i fili non è stato neppure il Papa stesso» (Ernesto Galli della Loggia).

Intanto, consigliamo di rileggere con attenzione le quattro puntate di In attesa della sentenza, ricapitolando il “caso Becciu”: Prima parte [QUI], Seconda parte [QUI], Terza parte [QUI] e Quarta parte [QUI].

Questo processo penale vaticano ha attirato – nel corso di tutta la fase dell’inchiesta giudiziaria (iniziata nel 2018) e del procedimento, con la prima Udienza celebrata il 27 luglio 2021 – l’attenzione di rinomati studiosi del diritto e autorevoli commentatori su testate prestigiosi, che hanno preso posizione.

Tra questi ricordiamo Nicole Winfield, vaticanista di lungo corso per The Associated Press e Ernesto Galli della Loggia, tra i più autorevoli editorialisti per il Corriere della Sera [QUI]. E ancora Nicole Winfield in un articolo per The Associated Press oggi (che riportiamo di seguito nella nostra traduzione italiana dall’inglese) e Ernesto Galli della Loggia in un editoriale sul Corriere della Sera nei giorni scorsi [QUI].

Nel suo più recente editoriale, dal titolo I verdetti del processo a Becciu, Ernesto Galli della Loggia scrive di «vicenda nella quale i motivi e i retroscena veri, i veri attori, restano tuttora nell’ombra più fitta» e di «decisa smentita degli accusatori» del Cardinale Giovanni Angelo Becciu. Inoltre, Galli della Loggia ricorda la presenza di «vistose anomalie, chiamiamole eufemisticamente così, a monte del dibattimento stesso», individuandole nella «condanna anticipata dell’accusato, implicita nella decisione del Papa di spogliarlo inizialmente dei suoi diritti di Cardinale» nei «ben quattro provvedimenti con cui a procedimento già in corso sempre il Papa ha modificato le regole della procedura (ma solo per questo processo e dunque solo a danno dell’imputato)», nel «famigerato Monsignor Perlasca benevolmente trasformato, guarda caso, da coimputato di Becciu in testimone d’accusa a suo carico».

Galli della Loggia rileva, come «ogni seduta del processo ha aggiunto questo o quell’aspetto di un panorama nel complesso desolante: indagini secretate di cui gli avvocati della difesa non hanno saputo mai nulla, una fitta rete di scandali, di irregolarità, di leggerezze, di conti correnti cifrati che emergevano a ogni momento, ombre di corruzione, investimenti immobiliari dubbi, contrasti feroci tra le diverse istituzioni dello Stato Vaticano. E infine quasi in contemporanea, sullo sfondo (ma in un rapporto evidente con quanto andava accadendo nel corso del processo) un decisivo mutamento dei tradizionali equilibri politici all’interno della Santa Sede: la drammatica perdita di immagine, di competenze e di potere da parte della Segreteria di Stato e lo Ior, invece, sempre più sul podio del vincitore».

Galli della Loggia rileva inoltre, come «è emersa la sostanziale innocenza del Cardinale Becciu dalle accuse che gli venivano mosse». Sostanziale «perché nella lunga e complessa attività di una carriera come la sua sfido qualunque leguleio a non riuscire a trovare qualche parere omesso che andava richiesto, qualche procedura amministrativa non perfettamente eseguita, qualche insignificante “abuso d’ufficio”». E prosegue: «Ma non era certo di cose simili che l’alto prelato sardo doveva rispondere, come si sa. Bensì di accuse cadute fragorosamente nel nulla nei due lunghi anni del processo. Proprio la palese inconsistenza dell’accusa via via sempre più evidente è valsa a rivelare la natura vera, tutta politica, di questo processo».

Come finirà il processo? Questa è la domanda che ci viene posta, a cui possiamo solo rispondere – non essendo dei maghi e non avendo a disposizione una sfera di cristallo – che diversi scenari rimangono. Secondo Galli della Loggia: «Esclusa, viste le risultanze del dibattimento, una sorprendente pronuncia di colpevolezza dell’imputato secondo le deliranti richieste dell’accusa (sette anni e rotti di galera), ed esclusa altresì la soluzione ipocrita di una “condannuccia” (la montagna che partorisce il classico topolino), tanto per far vedere che il processo ha avuto comunque motivo di essere, una sola strada sembra aprirsi capace di concludere in modo non indegno questa grigia vicenda. E cioè che l’autorità decisoria si convinca a intitolarsi l’assoluzione di Becciu. Che il Papa, assistito dal consiglio del presidente Pignatone, capisca, anche ricredendosi, che sulla base delle risultanze processuali, è quella l’unica scelta giusta. Non solo e non tanto un’assoluzione ma la presa d’atto della verità. Sì, anche ricredendosi: Bergoglio non ci ha forse abituati nel corso del suo pontificato a svolte improvvise, a repentini cambiamenti di umori e di prospettiva, a colpi di scena? Si metterebbe così fine a una vicenda nella quale i motivi e i retroscena veri, i veri attori, restano tuttora nell’ombra più fitta e in cui forse a tirare davvero i fili non è stato neppure il Papa stesso».

Segnaliamo inoltre, che nelle ultime ore ha preso una posizione sul caso anche l’autorevole vaticanista di lungo corso, Francis X. Rocca, su The Wall Street Journal, il quotidiano economico più importante a livello mondiale. In un articolo del 12 dicembre 2023, Rocca ricostruisce nei dettagli la vicenda, ricca di colpi di scena anomalie. Rocca sottolinea che «Francesco ha cambiato le leggi vaticane diverse volte durante l’inchiesta giudiziaria, in modi che, secondo le difese, hanno favorito l’accusa e violato il diritto al giusto processo, inclusa una più ampia autorità di intercettare i sospettati».

Rocca ricorda inoltre, le numerose eccezioni mosse dalle difese contro il teorema accusatorio costruito dal Promotore di Giustizia vaticano. Ad esempio, in riferimento al filone principale del processo, in merito all’investimento nel palazzo al numero 60 di Sloane Avenue a Londra (iniziato quando Becciu era Sostituto della Segreteria di Stato), Rocca scrive come «il Vaticano avrebbe ricavato un profitto se avesse mantenuto la proprietà e portato avanti la già pianificata conversione in appartamenti», invece di venderla, come ha fatto (quando Peña Parra era diventato Sostituto della Segreteria di Stato). Cioè, l’investimento non era svantaggioso in sé, sebbene abbia risentito degli effetti della Brexit (sconosciuti al momento dell’investimento), ma lo è diventato a seguito delle decisioni assunte con il successore del Cardinal Becciu.

Infine, come annunciato prima, segue l’articolo di Nicole Winfield di oggi per The Associated Press.

Spiegato il “processo del secolo” del Vaticano, un vaso di Pandora pieno di rivelazioni involontarie
Si attende la sentenza per un cardinale e nove imputati nel processo finanziario più complicato della storia moderna del Vaticano
di Nicole Winfield
The Associated Press, 15 dicembre 2023

(Nostra traduzione italiana dall’inglese)

Sabato [domani, 16 dicembre 2023] è atteso il verdetto per un cardinale e altri nove imputati nel processo finanziario più complicato della storia moderna del Vaticano: un caso con un cast di personaggi degni di Hollywood, rivelazioni indecorose sulla Santa Sede e domande sul ruolo di Papa Francesco nelle transazioni.

Inizialmente, il processo fu visto come una vetrina per le riforme di Francesco e la sua volontà di reprimere presunti misfatti finanziari in Vaticano, che da tempo aveva la reputazione di paradiso fiscale offshore. Ma dopo due anni e mezzo di udienze, non è emersa alcuna vera prova schiacciante a sostegno dell’ipotesi dell’accusa di una grande cospirazione per frodare il Papa di milioni di euro in donazioni di beneficenza. Anche se alcune condanne venissero emesse, l’impressione generale è che il “processo del secolo” si sia trasformato in una sorta di vaso di Pandora pieno di rivelazioni involontarie sulle vendette, sull’incompetenza e persino sui pagamenti di riscatto del Vaticano, che alla fine costano danni alla reputazione della Santa Sede.

Dopo un’inchiesta durata due anni, che ha visto perquisizioni della polizia senza precedenti nel Palazzo Apostolico, nel 2021 i pubblici ministeri vaticani hanno emesso un atto d’accusa di 487 pagine accusando 10 persone di numerosi crimini finanziari, tra cui frode, appropriazione indebita, estorsione, corruzione, riciclaggio di denaro e abuso d’ufficio.

Il focus principale ha riguardato l’investimento di 350 milioni di euro da parte della Santa Sede in un immobile di lusso a Londra. I pubblici ministeri sostengono che intermediari e monsignori vaticani hanno derubato la Santa Sede di decine di milioni di euro in compensi e commissioni, e poi hanno estorto alla Santa Sede 15 milioni di euro per cedere il controllo della proprietà.

L’inchiesta originaria di Londra ha dato vita a due filoni che hanno coinvolto l’imputato principale, il Cardinale Angelo Becciu, un tempo uno dei principali consiglieri di Francesco e un tempo papabile.

Il procuratore capo [Promotore di Giustizia] Alessandro Diddi chiede pene detentive da 3 a 13 anni per ciascuno dei 10 imputati, nonché la confisca di circa 415 milioni di euro a titolo di risarcimento danni e restituzione.

Becciu originariamente non era indagato per l’accordo di Londra, poiché era stato trasferito dalla Segreteria di Stato al Dicastero delle Cause dei Santi prima che avvenissero le transazioni chiave di Londra. Ma è rimasto invischiato dopo che i pubblici ministeri hanno iniziato a esaminare altri affari, tra cui 125.000 euro della Segreteria di Stato che aveva inviato ad un ente di beneficenza diocesano nella sua nativa Sardegna. L’accusa ha ipotizzato appropriazione indebita, dal momento che l’ente di beneficenza era gestito da suo fratello. Becciu sostiene che il vescovo locale ha chiesto i soldi per costruire un panificio per impiegare giovani a rischio e che i soldi sono rimasti nelle casse diocesane.

Becciu è accusato anche di aver pagato una donna sarda, Cecilia Marogna, per i suoi servizi di intelligence. La Procura ha rintracciato circa 575.000 euro in trasferimenti dal Vaticano alla sua società di copertura slovena. Becciu ha detto che pensava che il denaro sarebbe stato utilizzato per pagare una società di sicurezza britannica per negoziare il rilascio di una suora colombiana che era stata presa in ostaggio dai militanti islamici in Mali nel 2017. Marogna, anche lei sotto processo, ha negato ogni addebito.

Nessuna figura del processo era così intrigante come Monsignor Alberto Perlasca, che dirigeva l’Ufficio amministrativo che gestiva il fondo sovrano della Segreteria di Stato, con un patrimonio stimato di 600 milioni di euro. Fu proprio Perlasca a firmare i contratti alla fine del 2018 cedendo il controllo operativo della proprietà londinese al broker londinese Gianluigi Torzi, un altro imputato accusato di aver poi estorto al Vaticano 15 milioni di euro per riavere la proprietà. A causa del suo intimo coinvolgimento nell’affare, Perlasca fu inizialmente uno dei principali sospettati. Ma dopo il primo interrogatorio, ha licenziato il suo avvocato, ha cambiato la sua versione e ha iniziato a collaborare con i pubblici ministeri. Perlasca sfuggì al rinvio a giudizio e gli fu addirittura consentito di figurare come parte lesa, consentendogli eventualmente di ottenere risarcimento danni. Solo nel corso del processo emerse che Perlasca era stato indotto a cambiare la sua storia per rivoltarsi contro Becciu, il suo ex capo.

In un processo ricco di colpi di scena surreali, forse nessuno è stato così sbalorditivo come quando è emerso, che una figura controversa del passato vaticano, ha avuto un ruolo da protagonista nell’aiutare Perlasca a cambiare la sua testimonianza. La specialista in pubbliche relazioni Francesca Immacolata Chaouqui aveva precedentemente prestato servizio in una commissione papale incaricata di indagare sulle torbide finanze del Vaticano. È conosciuta negli ambienti vaticani per il suo ruolo nello scandalo “Vatileaks” del 2015-2016, quando fu condannata dallo stesso tribunale per aver cospirato a divulgare documenti vaticani riservati ai giornalisti e ricevette una condanna a 10 mesi con sospensione della pena. Chaouqui nutriva apertamente rancore contro Becciu perché lo incolpava di aver sostenuto l’accusa Vatileaks contro di lei. Apparentemente ha visto l’investimento nella proprietà londinese come un’opportunità per regolare i conti. E così è emerso, alla fine del 2022, quando Perlasca è stato interrogato come testimone, che Chaouqui aveva organizzato un elaborato complotto con un amico di famiglia di Perlasca per convincere il prelato a rivoltarsi contro Becciu. “Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui ti avrei mandato questo messaggio”, ha scritto Chaouqui a Perlasca in un sms che è stato ammesso come prova. «Perché il Signore non permette che i buoni siano umiliati senza riparazione. Ti perdono, Perlasca, ma ricordati che mi devi un favore. Diddi, il pubblico ministero, non ha detto quali eventuali accuse siano pendenti per chiunque sia coinvolto nella saga delle testimonianze di Perlasca.

Francesco ha chiarito fin dall’inizio di sostenere fortemente i pubblici ministeri nelle loro inchieste. Ma il processo ha dimostrato che il suo coinvolgimento è andato ben oltre il semplice incoraggiamento. Gli avvocati della difesa hanno scoperto che il Papa aveva segretamente emesso quattro decreti durante le indagini a beneficio dei pubblici ministeri, consentendo loro di effettuare intercettazioni e detenere sospetti senza il mandato di un giudice. Gli avvocati hanno gridato allo scandalo, sostenendo che tale interferenza da parte di un monarca assoluto in un sistema legale in cui il Papa esercita il potere legislativo, esecutivo e giudiziario supremo ha violato i diritti fondamentali dei loro clienti e li ha privati di un giusto processo. Diddi ha sostenuto che i decreti servivano da “garanzia” per i sospettati.

Inoltre, dei testimoni hanno affermato che Francesco era ben consapevole degli aspetti chiave degli accordi in questione, e in alcuni casi li autorizzava esplicitamente:

  • L’ex capo dell’agenzia di intelligence finanziaria sotto processo ha detto che Francesco gli ha chiesto esplicitamente di aiutare la Segreteria di Stato a negoziare l’accordo di uscita con Torzi;
  • Becciu ha testimoniato che Francesco aveva approvato la spesa fino a un milione di euro per negoziare la libertà della suora;
  • L’ex segretario di Becciu, anche imputato, ha detto che Francesco era così soddisfatto dell’esito della trattativa Torzi che ha pagato per una cena celebrativa di gruppo in un elegante ristorante di pesce romano.

In una gerarchia religiosa in cui l’obbedienza ai superiori è un elemento fondamentale di una vocazione, gli avvocati della difesa hanno sostenuto che i loro clienti subalterni si limitavano a obbedire agli ordini dal Papa in giù. Ciò includeva la negoziazione della strategia di uscita con Torzi, precedentemente sconosciuto al Vaticano ma coinvolto nell’accordo da un amico di Francesco. “Torzi è stato presentato da Giuseppe Milanese, che era amico del papa, quindi perché non dovremmo fidarci di lui?”, ha detto Massimo Bassi, avvocato di un altro degli imputati. Milanese non è imputato. Torzi ha negato ogni addebito.

Infine, riportiamo la presa di posizione di un’altra firma prestigiosa, il vaticanista analista Andrea Gagliarducci, per l’autorevole agenzia ACI Stampa, che in un articolo di due giorni fa, ha tirato le somme dopo più di 80 udienze in più di 2 anni di dibattimento.

Processo Palazzo di Londra, la sentenza il 16 dicembre
Sono terminate le controrepliche delle difese. Il Cardinale Parolin scrive una lettera. La posta in gioco
di Andrea Gagliarducci
ACI Stampa, 13 dicembre 2023


L’ultimo colpo di scena è una lettera firmata dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e indirizzata al Promotore di Giustizia Alessandro Diddi, che ribadisce la volontà di portare avanti il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e di punire eventuali comportamenti criminali. Il testo è irrituale, come è irrituale tutto il processo, che si avvia alla conclusione. Perché il 16 dicembre (…) i giudici del Tribunale vaticano si riuniranno in camera di consiglio e definiranno il dispositivo della sentenza.

Nel pomeriggio di sabato 16 dicembre, dunque, si saprà se il cardinale Becciu e altri nove imputati saranno condannati o assolti. Si saprà se le accuse rimarranno quelle che sono o verranno derubricate a reati minori. Si saprà, soprattutto, se il presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, avrà abbracciato la tesi dell’accusa, indebolitasi fortemente nel corso del processo, o se invece avrà fatto proprie le ragioni delle difese.

In realtà, il tema del processo va oltre gli imputati e i capi di accusa. Il procedimento ha fortemente indebolito l’istituzione vaticana, e in particolare la Segreteria di Stato che si considera parte lesa in questo momento, ma che in realtà è stata più danneggiata dall’interno dell’istituzione che non dal comportamento dei presunti affaristi.

Quattro rescripta di Papa Francesco sono intervenuti nel procedimento, dando poteri praticamente illimitati al promotore di giustizia, mettendo anche a rischio la stabilità e l’equilibrio del sistema giudiziale vaticano. E la credibilità internazionale della Santa Sede ha vacillato, al di là della narrativa (molto italiana, per la verità) che rappresenta una Santa Sede sempre più trasparente e amata dai valutatori europei.

In realtà, MONEYVAL ha censurato la situazione nel suo ultimo rapporto sulla Santa Sede, e non era stata tenera con i giudici vaticani nemmeno in precedenza, mentre il Gruppo Egmont, che mette insieme le unità di intelligence finanziaria di tutto il mondo, aveva disconnesso la Santa Sede dal circuito sicuro di comunicazione interna perché, con il raid nella sede dell’Autorità di Informazione Finanziaria, non c’era più sicurezza di autonomia e di messa in sicurezza di dati confidenziali.

Ma il processo appare essere anche qualcosa di più, ovvero una sorta di “colpo di Stato”, o di restaurazione. Perché con la legge antiriciclaggio del 2012 la Santa Sede aveva preso una strada internazionale, tagliando i rami che la legavano a doppio filo all’Italia e guardando piuttosto al mondo e agli standard internazionali.

Ma oggi tutto parla di nuovo italiano in Vaticano, dai vertici dell’Autorità di Supervisione e Informazione Finanziaria, che si è rifatta il trucco con un cambio di nome, ai promotori di giustizia, che hanno tutti altri incarichi in Italia e che ora, con l’ultima modifica alla normativa, hanno ottenuto di poter essere tutti part time. Nessuno, insomma, si dedica al Vaticano al cento per cento, e questo contro tutte le raccomandazioni internazionali. In fondo, sarebbe un “colpo di Stato” se ci fosse uno Stato ben strutturato. La lettera di Parolin che legittima il lavoro del tribunale e del promotore di giustizia, può essere, alla fine, la certificazione di una debolezza strutturale.

Fatte queste premesse, vale la pena prima di tutto riavvolgere il nastro per comprendere di cosa tratta il processo.

I tre filoni di indagine

Il processo si divide in tre tronconi principali.

Il primo filone riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che – inizialmente all’oscuro della Segreteria di Stato – mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il pieno controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone si concentra sul contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.

Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

La lettera del Cardinale Parolin

È alla fine dell’udienza dell’11 dicembre, che ospita le repliche del promotore di Giustizia e delle parti civili alle arringhe dei difensori, che l’ufficio del promotore di giustizia presenta una “Dichiarazione di Sua Eminenza il Segretario di Stato a conferma della richiesta e della manifestazione delle volontà di perseguire i reati accertati e contestati”. La dichiarazione è una lettera, sollecitata dallo stesso promotore, e datata 6 novembre, in cui, dopo una breve premessa, il Cardinale Parolin fa sapere che “anche facendo seguito alla posizione già assunta, confermo l’istanza di perseguire e punire tutti i reati su cui si agisce su istanza di parte e di cui la Segreteria di Stato è considerata parte offesa”.

La lettera è particolarmente irrituale. È come se un presidente del Consiglio inviasse al procuratore capo una lettera da leggere nella settimana in cui c’è il pronunciamento della sentenza, fatto che sarebbe considerato una pressione indebita. Non viene considerato tale in Vaticano, dove comunque la volontà del Papa è sempre considerata sovrana. E la lettera di Parolin si sovrappone ad un’altra lettera, questa volta inviata dal Papa agli officiali della Segreteria per l’Economia, e pubblicata sul sito della SPE. Nella lettera, che fa seguito ad un incontro del Papa con gli officiali del dicastero economico del 13 novembre, Papa Francesco chiede lealtà ai principi della Chiesa, nota che c’è un deficit importante ogni anno, e chiede a ciascuno di “essere pronto a rinunciare al proprio interesse particolare”, dando anche una idea di quello che si aspetta dagli investimenti.

Una lettera che suona come un monito indiretto, pubblicata ora, considerando che la natura degli investimenti della Santa Sede e della loro presunta natura speculativa sono stati oggetto di scrutinio e anche di accuse da parte del promotore di Giustizia.

La replica del Promotore di Giustizia

Il Promotore di Giustizia ha visto, nel corso del dibattimento, la sua tesi accusatoria smontata in ogni parte. Ci sta, in un dibattimento. Colpisce, però, come il lavoro delle difese abbia concorso a operare un vero e proprio cambio di narrativa nel processo. Tutte le difese hanno lamentato una decontestualizzazione dei fatti contestati, una vaghezza dei capi di accusa, una interpretazione del diritto ad hoc per alcune circostanze.

Foto di copertina e titolo: Giotto, Ciclo della vita di Cristo, Ingresso a Gerusalemme (dettaglio), 1304-1306, affresco, Cappella degli Scrovegni, Padova.

In questi giorni di attesa del Santo Natale (l’Avvento) svolgiamo lo sguardo al tempo che precede la Santa Pasqua di Risurrezione del Signore (la Quaresima). Gesù, proseguendo avanti agli altri salendo verso Gerusalemme (Lc 19,28-40), disse: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Atti 18,9: «E una notte in visione il Signore disse a Paolo: Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere».

Atti 24,20: «Quale colpa han trovato in me quando sono comparso davanti al sinedrio, se non questa sola frase che gridai stando in mezzo a loro: A motivo della risurrezione dei morti io vengo giudicato oggi davanti a voi!».

Atti 19,32: «Intanto, chi gridava una cosa, chi un’altra; l’assemblea era confusa e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi».

«Il diavolo si rallegra nel confondere gli uomini, è una persona che ha bisogno di confonderli. È difficile confondere uomini e donne? No! Ora dirò qualcosa che suona molto cinico ma dico sul serio: il diavolo sa che Dio ha posto dei limiti all’intelligenza umana quindi è estremamente facile per lui creare confusione e agire» (Alice von Hildebrand).

Preghiamo il Signore
che ispira i giudici vaticani
ad uscire dalla confusione che regna,
a non tacere
e a parlare in Verità e Giustizia.

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