Wael Farouq: Jusur per l’amicizia fra le culture

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Jusur è una parola araba che significa ‘ponti’, che traccia un percorso d’incontro tra il verbo ‘jàsara’ (andare, passare attraverso) con l’omonimo sostantivo che significa ‘audacia, coraggio del cuore’ ed è il nome scelto per la rivista (presentato all’Onu nel simposio internazionale ‘Intercultural and interreligious dialogue: building bridges between East and West’, alla presenza del presidente dell’Assemblea generale Csaba Korosi), diretta da Wael Farouq, intellettuale arabo già docente in diversi atenei occidentali, attualmente professore di Lingua e letteratura araba all’Università Cattolica di Milano, insieme ad Alessandro Banfi ed a Davide Perillo:

“Jusur apre le porte a tutti, nessuno escluso, non tanto ai fini di un dialogo che può concludersi in accordo o disaccordo, ma per posare insieme i mattoni di un futuro che ci riunisca, entro la ricchezza delle nostre differenze e attraverso la condivisione della bellezza. Un dialogo che va oltre la dimensione dottrinale delle religioni per accogliere tutti gli elementi che contribuiscono alla crescita della civiltà umana”.

Perché una rivista di nome ‘Jusur’?

“L’obiettivo della rivista è contenuto nel suo stesso nome, Jusur, una parola araba di forma plurale che significa ‘ponti’ e deriva dal verbo jàsara che significa ‘andare’ e ‘passare attraverso’, mentre il sostantivo jasàra significa ‘audacia’ e ‘coraggio del cuore’. Il significato di ‘andare’ e ‘passare attraverso’ allude alla volontà e al desiderio di aprire nuovi orizzonti, un cammino che richiede il secondo significato della parola: il coraggio del cuore.

Completando questo percorso, si realizzerà il terzo significato della parola: la persona diventerà un ponte, un legame tra due mondi, il mondo del presente in cui viviamo e il mondo del futuro a cui aspiriamo.

Vorremmo che questa rivista fosse quindi una strada da percorrere insieme verso il futuro. Per questo le sue porte sono aperte a tutti, nessuno escluso, per posare insieme i mattoni di un futuro che ci unisca, nella ricchezza e nel rispetto delle nostre differenze”.

In quale modo le culture curano l’amicizia e come può nascere l’amicizia fra le culture?

“La rivista è l’iniziativa di un gruppo di intellettuali che hanno la grazia e la fortuna di incontrare tante realtà culturali nel mondo e hanno capito che il miglior dialogo fra culture consiste nel far conoscere gli uni agli altri. È un dialogo che non ha argomento, non ha scopo, non richiede nessun compromesso, perché lo scopo è far conoscere.

E far conoscere non significa fornire delle informazioni, ma portare una testimonianza in cui si unisce l’informazione all’esperienza umana. Così il dialogo non sarà mai astratto, ma sarà un dialogo di vita, un’amicizia, e si passerà da un’illusoria condivisione nella fede a una reale condivisione nella vita”.

In quale modo le differenze possono essere un fattore di crescita?

“Noi siamo ‘fatti’ degli altri, non esiste nessuna civiltà o cultura che non abbia preso in prestito elementi di altre culture. L’idea alla base della rivista, centrata sulla testimonianza, è far capire la presenza degli altri dentro di sé. Quando per esempio un musulmano legge un articolo sulla bellezza del cibo nel buddismo, nel giudaismo o nel cristianesimo (come nel numero zero uscito a giugno) magari trova qualcosa di interessante e cambierà qualcuna delle sue idee su di sé e sull’altro.

Il vero dialogo è rimuovere gli stereotipi sull’altro e cambiare l’approccio nella propria cultura. Si può realizzare il multiculturalismo nello spazio pubblico solo quando viene riconosciuto dentro di sé. E l’incontro fra due mondi avviene dentro ogni persona che lavora a questa rivista. Tutti noi siamo composti di altri, riconoscere gli altri nella propria identità è il punto di partenza per creare uno spazio pubblico che accolga tutti”.

Quale importanza riveste per l’amicizia l’inaugurazione della Casa della Famiglia Abramitica ad Abu Dhabi?

“Nonostante la nobiltà dell’iniziativa, rimane un’iniziativa esclusiva, limitata alle tre religioni abramitiche. La rivista ‘Jusur’ parte invece da quel che ci unisce veramente, cioè il cuore umano. Per questo ospitiamo anche i contributi di buddisti, induisti e altre religioni, mettendo al centro il quotidiano e l’ordinario, come il cibo nel numero zero, cercando di far conoscere l’Altro attraverso la sua testimonianza.

Di conseguenza, non è un dialogo in cui ci sono due parti che cercano di trovare un interesse comune o un compromesso per convivere, ma uno spazio di conoscenza che permette di andare oltre i limiti della nostra conoscenza dell’Altro.

Le forma tradizionali del dialogo, infatti, sono limitate e il limite sono i nostri stereotipi e pregiudizi sull’Altro. Questa rivista, invece, cerca di aprirsi, ponendo la conoscenza dell’Altro come scopo finale del dialogo.

La Casa della Famiglia Abramitica parte dai fondamenti condivisi delle tre religioni abramitiche per superare la differenza. ‘Jusur’, invece, parte proprio dalla bellezza e dalla profondità della differenza, senza volerla ‘superare’, perché la differenza è la realtà che ci unisce veramente”.

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