Il magistero del Beato Giovanni Paolo I, breve quanto un ciclo lunare

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“Il magistero del Beato Giovanni Paolo I, breve quanto un ciclo lunare, si è centrato sulle tre virtù teologali, premettendo tuttavia, quasi come antifona di ingresso, la meditazione sull’umiltà. Questa virtù, lo sappiamo, è stata il filo conduttore della sua esistenza… La sua humilitas contrasta fortemente la moderna ossessione per i ‘followers’ e i ‘like’ dei social, sul cui altare si sacrificano, talvolta, vite, persone, ore di lavoro e di sonno, e purtroppo spesso si immola anche la verità, del dire e del pensare”.

Con queste parole il postulatore della causa di beatificazione, card. Beniamino Stella, prefetto emerito della Congregazione per il clero, ha ricordato il beato Giovanni Paolo I durante la prima memoria liturgica ha invitato ad imitare i santi come lui:

“I Santi vanno poi imitati! Guardando a papa Luciani, raccogliamo da questo incontro, così festoso e caro al cuore, un messaggio, e portiamoci a casa, con un’immaginetta, soprattutto l’invito al cuore di copiarne una virtù, una caratteristica, un gesto, una memoria che ci ha attirato e conquistato il cuore. In questa piazza calpestiamo un suolo che lui ha amato, e respiriamo un’aria che lui ha raccolto nei suoi polmoni”.

Partendo da queste parole pronunciate nell’omelia abbiamo contattato il direttore della fondazione ‘Papa Luciani’ di Canale D’Agordo e del Museo-Casa Natale ‘Albino Luciani – Giovanni Paolo I’, Loris Serafini, per farci raccontare la Chiesa, che ‘sognava’ papa Giovanni Paolo I:

“Voleva una Chiesa più fedele al Vangelo, ai poveri, al messaggio originale di Gesù Cristo, più vicina ai diritti fondamentali dell’uomo. Una Chiesa nella quale ogni cristiano potesse sentirsi figlio, non suddito, amato, non “comandato”, partecipe, non succube. Una Chiesa che tornasse alla sua maternità originale, togliendo quelle incrostazioni secolari che rischiavano di trasformarla più in matrigna che in madre. Insomma una Chiesa fedele al Concilio Vaticano II”.

‘Io ero presente quando papa Giovanni ha aperto il Concilio l’11 ottobre 1962. Ad un certo punto ha detto: speriamo che con il Concilio la Chiesa faccia un balzo avanti. Tutti lo abbiamo sperato; però balzo avanti, su quale strada? Lo ha detto subito: sulle verità certe ed immutabili’: così ha raccontato durante l’udienza generale di mercoledì 13 settembre. Per papa Giovanni Paolo I cosa significava continuare nel solco del Concilio Vaticano II?

“Il significato era quello del proprio nome pontificale: continuare la freschezza dell’apertura verso il mondo di papa Giovanni XXIII e il coraggio di papa Paolo VI, continuando il loro progetto conciliare: una Chiesa in continuo rinnovamento in adesione fedele al programma stabilito dai vescovi di tutto il mondo, ossia, percorrere la via dell’ecumenismo, del dialogo, della ricerca della pace nel mondo, senza tuttavia cedere alle mode del momento, ma neppure senza tradire i fondamenti della fede della dottrina cristiana, guardando al futuro, senza rimpiangere il passato, ma tenendo fermi i piedi nella Tradizione più pura della Chiesa”.

In quale modo comunicava il Vangelo?

“Comunicava come faceva Gesù parlando del Padre: in parabole. Non a caso il suo primo ‘best-seller’ catechistico era intitolato ‘Catechetica in briciole’, ossia la Parola di Dio sminuzzata in modo da poter essere compresa, digerita e amata da tutti, piccoli e grandi. Utilizzava appositamente un linguaggio fresco, giornalistico, alla portata di tutti, per poter essere compreso da tutti. Gli bastava che rimanesse impresso un solo concetto, purché in profondità”.

‘E’ papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. Ed anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore’: così affermava al termine della recita dell’Angelus di domenica 10 settembre 1978. Cosa significava per lui che Dio ‘più ancora è madre’?

“Albino Luciani era abituato fin da piccolo alla presenza preponderante della donna nel proprio villaggio. Gli uomini gran parte dell’anno erano assenti per motivi di lavoro oppure perché richiamati alle armi. Il parroco del paese non mancava nelle sue omelie di ricordare come l’amore di Dio fosse paragonabile sì a quello di un padre, ma anche a quello della tenerezza di una madre.

Con questi presupposti vissuti in prima persona, Luciani poteva testimoniare, riferendosi al profeta Isaia, che i sentimenti di Dio verso di noi sono quelli di una madre nei confronti del proprio figlio, soprattutto quando sbaglia: è allora che lei gli è più vicina.

Scriveva da vescovo che quando era solo davanti al Signore, scompariva da lui la mitria lo zucchetto, l’anello pastorale e rimaneva come un bambino di fronte alla propria mamma, cioè si stringeva a Dio in un rapporto intimo, che lo faceva sentire amato e compreso come un figlio dalla propria madre”.

Con quale scopo aveva scritto gli ‘Illustrissimi’?

“Lo scopo dell’insieme di articoli scritti su ‘Il Messaggero di Sant’Antonio’ dal 1971 al 1974 era eminentemente pastorale, ossia, educare quasi catecheticamente i lettori attraverso l’uso della letteratura, della storia, delle arti per esprimersi con un linguaggio giornalistico fresco e accattivante, ma soprattutto efficace, sui problemi posti alla pastorale dal cambio della società a partire dalla fine degli anni Sessanta. Insomma la scelta di un colto stile letterario espresso però in maniera facile e intuibile per educare pastoralmente i lettori alla visione del Concilio Vaticano II e alla Dottrina della Chiesa, fortemente contestata in quegli anni”.

Ed infine per quale motivo un museo dedicato a lui

“Una forma museale su Albino Luciani nacque già all’indomani della sua morte, nel 1978, grazie alla solerzia dei parroci di Canale d’Agordo e dei loro collaboratori. Il Museo ‘Albino Luciani’, come lo conosciamo oggi, sorge invece dal connubio tra il comune e la parrocchia di Canale d’Agordo.

Il Museo ha voluto rendere alla storia un’immagine veritiera di Albino Luciani, divenuto papa, ora beato, uomo di immensa cultura, formatosi grazie ad un ‘humus’ di formatori, educatori e figure esemplari che lo hanno influenzato nella sua infanzia fin dai secoli precedenti la sua nascita.

Dunque un papa forgiato e nutrito dal proprio ambiente, tutt’altro che estraneo agli influssi culturali provenienti sia dal Nord Europa, sia da Venezia, sia dall’Oriente, tramite Aquileia. Nasce così l’idea di un museo multimediale e moderno che, insieme alla Casa natale, rende giustizia alla grandezza, alla cultura e allo spessore di papa Giovanni Paolo I”.

(Tratto da Aci Stampa)

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