Elena del Montenegro: una regina cattolica

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Jelena Petrović Njegoš, conosciuta come Elena del Montenegro (Cettigne, Montenegro, 8 gennaio 1873 – Montpellier, Francia, 28 novembre 1952 ) morì a 79 anni. Sepolta precedentemente, dal 1952 al 2017, presso il Cimitero di Saint-Lazare, Montpellier, dal 2017 riposa nel Santuario di Vicoforte.

Per nascita apparteneva alla Casa reale Petrović-Njegoš. Suo padre era Nicola I del Montenegro, mentre la madre si chiamava Milena Vukotić. Dopo il matrimonio con il re d’Italia Vittorio Emanuele III è diventata una Savoia. Con il re ebbe 5 figli: Iolanda Margherita, Mafalda, Umberto, Giovanna e Maria Francesca, che  ricevettero affetto e cure da parte della regina.

Fedele alla religione Cristiana ortodossa, per sposarsi, dovette convertirsi al Cattolicesimo. Dalla preghiera per la beatificazione, possiamo notare come la regina si sia sempre occupata dei poveri, accrescendo la sua carità e santità restando generosa anche nelle prove della vita.

All’epoca, la capitale del Montenegro era poco più di un borgo di montagna abitato da pastori e la futura regina fu educata secondo i valori forti dell’unione familiare, ma studiò molto anche le lingue. Infatti, alla tavola dei sovrani, si parlava in francese. Le venne insegnato anche a discutere di politica e poesia. Elena era una poetessa; scriveva versi per la rivista letteraria russa Nedelja, con lo pseudonimo di Farfalla Azzurra.

Elena studiò nel collegio Smol’nyj di Pietroburgo e frequentò la corte degli Zar. Era riservata e determinata con un forte legame con le tradizioni. Aveva un animo sensibile e una mente brillante e curiosa. Amava molto la natura e il suo fiore preferito era il ciclamino. Quando suo padre si accordò coi Savoia per farle sposare il futuro re d’Italia, Vittorio Emanuele era ancora principe di Napoli.

I due si conobbero al teatro ‘La Fenice’ di Venezia, per l’Esposizione Internazionale d’Arte. Il re si innamorò e credette di aver scelto sua moglie senza intromissioni da parte della famiglia. Il 24 ottobre 1896, il giorno del matrimonio, alla cerimonia civile del Quirinale, e a quella religiosa presso Santa Maria degli Angeli mancava solo la regina del Montenegro, la quale non approvò mai la scelta della figlia di convertirsi al cattolicesimo per sposare il marito.

L’11 agosto 1900, Vittorio Emanuele diventò re. Elena, umile e discreta, invece di dedicarsi alla politica, assolse i bisogni del popolo che considerava importante come quello natio svolgendo, inizialmente, numerose iniziative caritatevoli e assistenziali. Grazie alla fede, proseguì questo impegno facendo arrivare ogni giorno il corriere a Villa Savoia con una grande borsa di cuoio, chiamata «la bolgetta» (parola sardo-savoiarda). Essa conteneva molte lettere di varie dimensioni e colori.

Custodiva anche inchiostri di varie tinte, matite di ogni tonalità, alfabeti anche in rilievo per ciechi… Il contenuto le era stato chiesto dal popolo. Fece in modo che le cucine a Sant’Anna di Valdieri e a Trinità nella Vallegesso, in provincia di Cuneo, venissero aperte per tutto l’inverno per sfamare gli abitanti con minestra, pane, carne, formaggio e marmellata. Qui potevano anche ricevere medicinali.

La regina donava giochi ai bambini poveri e vestiti per tutti. I sotterranei di Villa Savoia erano rivestiti da numerosissimi armadi. Essi erano chiamati il «deposito dei poveri», dove si trovavano: vestiti per adulti, biancheria per la casa, tessuti, corredini per neonati, culle, scarpe, cappelli, sciarpe, ombrelli, coperte… Tutto questo era perfettamente nuovo.

Inoltre, nella sua fabbrica di Roma, assunse donne aristocratiche e borghesi per produrre maglie, golfini, scarpette da neonato e vari vestiti utili ai bisognosi. A Sant’Anna di Valdieri, durante l’estate, Elena apriva un ambulatorio per i malati ed inviava i casi più gravi, i quali necessitavano la cura del mare, a Villa Helios a San Remo. Se indispensabile, li reindirizzava ai sanatori, dove le degenze duravano mesi e, a volte, anche anni. Tutto ciò era a carico di Casa Savoia.

Dopo il terremoto e maremoto di Messina del 1908, la regina prese parte ai soccorsi mentre, durante la prima guerra mondiale, svolse il compito di infermiera a tempo pieno. Con la Regina Madre, trasformò il Quirinale e Villa Margherita in ospedali. Per reperire fondi, inventò la ‘fotografia autografata’ da vendere ai banchi di beneficenza. Cessate le ostilità, propose di pagare i debiti di guerra vendendo i tesori della corona.

Dal 1911 al 1921, diventò la prima Ispettrice delle Infermiere Volontarie della Croce Rossa Italiana. Studiò medicina e ricevette la laurea ad honorem. La regina finanziò opere benefiche a favore di: encefalitici, madri povere, tubercolotici ed ex combattenti.

Nel 1921, la Garfagnana (Toscana), fu colpita da un terremoto ed Elena fece preparare, nei locali delle Cascine Nuove a San Rossore, diciassette alloggi per altrettante famiglie rimaste senza casa.

Nel cimitero di Verano (Roma) si trova una lastra di marmo sulla tomba di Rosina Pelli. Su di essa si notava subito un gruppo di gigli a lunghi steli. Sul medesimo bassorilievo, c’era una serpe che, con un morso, troncava un giglio. Il fiore era ripiegato su se stesso. In alto, Maria Santissima con Gesù Bambino fra le braccia, era pronta ad accogliere la vita che doveva salire al cielo.

Il padre della bimba uccisa, il quale era un rivoluzionario, rimase turbato e dall’immagine e dall’iscrizione scelte dalla regina. Il testo, infatti, recitava: ‘Qui dove giace/ Rosina Pelli/ vittima inespiabile/ di nefanda barbarie/ il pianto perpetuo del popolo/ lavi l’orrendo oltraggio/ gigli e rose ricordino/ l’innocente anima ascesa al regno degli angeli. Elena di Savoia Regina d’Italia Q.M.P’.

La regina visitava i quartieri poveri di Roma dove faceva visita sia ai diseredati che ai malati. Di solito, non si faceva riconoscere; molti la credevano una dama della San Vincenzo. La regina, infatti, donava denaro, consigliava, faceva iniezioni e leggeva i referti sanitari, ma anche le componenti e le posologie dei farmaci agli analfabeti. Aiutò la ricerca contro il cancro, il morbo di Parkinson e la poliomielite. Favorì la formazione professionale delle assistenti di categoria.

Nel 1927, ebbe l’alto patronato della Lega italiana per la lotta contro il cancro. Le venne dedicato l’istituto Regina Elena di Roma. Si trattava di un complesso clinico-ospedaliero importante per le sue dimensioni e gli studi scientifici.

Verso la metà degli anni ’20, cercò di debellare l’encefalite letargica, che colpiva la corteccia cerebrale, promuovendo la ‘cura bulgara’. Questa era a base di erba di Belladonna, quindi fu ostacolata da diversi medici e diffusa soltanto a partire dal 1934. I risultati furono spesso soddisfacenti.

Elena si recava spesso a Pisa, nella Clinica neurologica facente parte degli Ospedali Riuniti di Santa Chiara, per incontrare i pazienti. In casa aiutò il marito facendogli da interprete per la lingua russa, serba e greca. Tenne in ordine l’emeroteca dei giornali stranieri del re. Il 15 aprile 1937, papa Pio XI le conferì la Rosa d’oro della Cristianità. Questa era l’onorificenza massima che una donna potesse ricevere in quell’epoca da parte della Chiesa Cattolica.

Nel 1939, tre mesi dopo l’invasione tedesca della Polonia e la dichiarazione di guerra da parte di Gran Bretagna e Francia verso la Germania, Elena scrisse una lettera alle sovrane di Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Belgio, Bulgaria e Jugoslavia, per cercare di evitare la guerra… Il 9 maggio del 1946, Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto, assumendo il nome di Conte di Pollenzo e andò in esilio con Elena a Villa Jela (Alessandria d’Egitto).

Lì, i due coniugi festeggiarono il 50esimo anniversario di matrimonio. Elena rimase col marito fino al 28 dicembre 1947, quando egli morì. Tre anni dopo, la regina scoprì di avere il cancro e si trasferì a Montpellier, dove continuò ad aiutare i poveri. Era conosciuta come la ‘bonne Dame noire’ (‘La buona signora in nero’). i pescatori la conoscevano molto bene, in quanto anche ad Elena piaceva pescare. Nel novembre 1952, si sottopose ad un difficile intervento chirurgico nella clinica di Saint Cóm.

Rimasta vedova e distrutta dalla morte della figlia Mafalda, uccisa nel lager di Buchenwald il 28 agosto 1944, Elena morì pochi anni dopo, il 28 novembre 1952. Rimasta povera e sola, fu assistita dalla fedelissima camerista Rosa Gallotti. Al suo funerale parteciparono 50 mila francesi. Montpellier le ha dedicato il viale che porta al cimitero e ha innalzato alla regina anche un monumento.

Per la sua vicinanza ai malati e per la sua umanità, in occasione del cinquantesimo anniversario della sua morte, il Ministero italiano delle Comunicazioni ha emesso un francobollo con la sua effigie per ricordarla. Esso associò l’immagine della regina alla lotta contro il cancro.Nel 1960, a Messina, le fecero un monumento in marmo bianco di Carrara, che la riproduce vestita da crocerossina. Questo fu scolpito da Antonio Berti.

Il papa Pio XII, quando Elena morì, scrisse ad Umberto per fargli le condoglianze. In questa circostanza, definì la donna ‘Signora della carità benefica’.

PREGHIERA PER LA BEATIFICAZIONE

composta da S.E. mons. Louis Boffet

Seguendo Gesù Cristo

Amico e Servitore dei poveri,

Ella non ha cessato di crescere

in carità e in santità.

Noi ti domandiamo di coronare

i Suoi meriti

nella gloria del Tuo cielo.

E Tu, Serva di Dio,

intercedi per noi.

Veglia sui nostri figli

e sulle nostre Patrie.

Ottienici, sul Tuo esempio,

la generosità nella prova

e la prontezza nel servizio per gli altri:

vera espressione della carità di Cristo.

E Tu, che hai vissuto intensamente

la lacerazione tra i cristiani,

pacifica gli spiriti,

placa i rancori

e che la Pace infine rifiorisca.

Signore, noi Te lo chiediamo

per Gesù Cristo

che regna nei secoli dei secoli.

Amen.

Fonte: Wikipedia, Cristina Siccardi da Santi e Beati.it

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