Gli studenti e la sfida sugli ‘stranieri’ nel concorso scolastico di ‘Biblia’

Condividi su...

“Il secondo aspetto linguistico è quello del termine nokhrì che viene tradotto ‘straniero’. Questa traduzione è del tutto insufficiente, soprattutto perché vi sono almeno altri due termini biblici per dire straniero, e precisamente zar e gher”: partendo da questa traccia di Amos Luzzato, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha preso spunto il lavoro  delle classi IV G, V G e V H dell’IPSIA ‘Corridoni’ di Macerata, che hanno vinto il secondo premio tra le scuole superiori del IX concorso nazionale della sezione ‘Bibbia e Scuola’ di Biblia, associazione laica di cultura biblica, indetto sul tema ‘Stranieri’, dal titolo: ‘Gher. Beati gli stranieri, perché saranno riconosciuti’ (https://youtu.be/7UQYhtAfGP0), per cui si è congratulata anche la teologa Marinella Perroni.                     

Il percorso del video muove dal libro del Levitico (da cui provengono le tre definizioni di ‘straniero’) ed approda a Gesù Cristo ed alle Beatitudini, ‘descrizioni terapeutiche’, come ha affermato in ‘Re-blog’ della rivista ‘Il Regno’ la professoressa di religione, attrice ed educatrice all’espressione teatrale, Giulia Merelli, che “danno valore a tutte le condizioni umane, anche le più difficili, perché ogni storia diventa beata quando viene ascoltata da chi ti vuole bene. Tutto diventa beato in un orizzonte di amore. La scuola dovrebbe costituire questo orizzonte…”.

Per lei il punto focale è l’incontro: “Partendo dal presupposto che ci abita dentro un mistero che, fino in fondo, non smetteremo mai di conoscere, ho condotto ciascun ragazzo a questa presa di coscienza, che diventa tanto più luminosa quanto più decidiamo di darci valore e prenderci sul serio”.

Allora ci può narrare la genesi di questo lavoro?

“Il lavoro nasce dal semplice desiderio da parte mia di dare voce a studenti, la maggior parte di origine straniera, che spesso non vengono ascoltati. In genere, facciamo fatica ad ascoltare tutti gli studenti, illudendoci che siano loro a dover apprendere da quello che noi diciamo, come se il sapere fosse un imboccare di argomenti e ragioni, portare verità.

La verità è che la verità non si porta ma funziona come un utero: in essa ti scopri contenuto. Ed ecco che l’utero è, in questo caso, l’aula in cui ci troviamo insieme: insegnante e alunno. Spesso si nasconde  dentro gli occhi accesi dei ragazzi, occhi accesi di bisogno.

Ma neppure prendendone coscienza, riesci a prenderla. Gli occhi degli studenti, di questi studenti portano un bisogno che spesso non sappiamo accogliere. Non penso di essere pronta io, in primis, ad accogliere questo bisogno ma sono sicuramente interessata nel farlo.

E’ un esercizio all’ascolto e all’umiltà. Proprio quando si perde la capacità di insegnare, quando vedi che non basta più niente per coinvolgere, quando finisce l’ultimo grido, l’ultima pretesa, inizia qualcosa di nuovo… Qualcosa che chiede ascolto disarmato”.

Perché la scelta sul tema dello straniero?

“Ho pensato, in questo caso specifico, di giocarmi con questa tema, proprio con questi studenti, gli studenti dell’Ipsia di Macerata, perché chi meglio di loro può parlarci della condizione dello straniero, emarginato, diverso, non capito?”

In quale modo questo tema ha trovato riferimenti nella Bibbia?

“Ogni testimonianza fa riferimento a un passo biblico, nello specifico al libro del Levitico e alle beatitudini evangeliche.  In questo viaggio introspettivo, sono considerati i tre termini biblici che, nell’Antico Testamento, descrivono tre condizioni di ‘straniero’ differenti: il gher (straniero residente), il nokri (straniero di passaggio) e lo zar (straniero come estraneo, lontano, diverso). Infine, viene considerato, quale compimento umano del messaggio: ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’, Gesù, esempio perfettamente umano di straniero ospitato e ospitante delle particolarità proprie e altrui”.

Come hanno ‘reagito’ gli studenti a questo tema?

“Anche in questo caso, per ogni condizione di straniero, ha parlato e raccontato qualcosa di personale uno studente diverso dall’altro. Nel caso del gher (straniero residente), Samir ha raccontato senza peli sulla lingua la sua difficoltà passata nell’essere integrato, o meglio, guardato fino in fondo e senza pregiudizi e di come questa sofferenza sia diventata nel tempo maestra per trovare il coraggio di essere se stesso fino in fondo, mostrando proprio le sue origini attraverso la bandiera del proprio paese portata come collana.

Una collana che diventa provocazione: ‘Ti fermi al tuo pregiudizio o vuoi conoscermi fino in fondo?’ Così Marius ha portato la sua fatica quotidiana, che parte dal mattino, dal suo viaggio in un autobus dove non ti fanno spazio perché sei straniero. Nel secondo caso, il nokri (forestiero di passaggio), ha parlato Alex raccontando il suo sentirsi esploratore rispettoso delle terre visitate: uno straniero che dona ascolto alle diversità degli altri, curioso di capire fino in fondo.

E poi, nel terzo caso, lo zar (il diverso), sono intervenuti Roberto e Luca. L’uno ribadendo che ciò che ci rende simili è proprio il fatto che siamo tutti diversi e l’altro sostenendo che smettiamo di sentirci stranieri non quando scompaiono le differenze ma quando, finalmente, ci sentiamo capiti da qualcuno.

A fare da sfondo, ma non in sordina, le narrazioni di altri ragazzi che non hanno voluto o, semplicemente, non hanno potuto farsi riprendere con la telecamera.

Voci che gridano il bisogno di un luogo dove sentirsi riconosciuti: uno studente che mi racconta che vorrebbe cambiare vita, trovarne una migliore dove sviluppare abitudini più sane ma che spesso tutto questo non è possibile, non gli resta possibile, perché quando cerchi di cambiare compagnia, non ti vogliono e allora torni fra chi comunque ti accoglie.

Ho accolto queste parole non come giustificazione ma come provocazione per tutti noi che ci sentiamo sicuri o che finalmente ci sentiamo insicuri, noi tutti che facciamo fatica a uscire dai nostri schemi precostituiti e luoghi comodi di un giudizio moralistico che non lascia spazio all’essere.

Altra testimonianza quella di uno studente che dice che seppure sia amato dalla sua ragazza, da suo padre, sente comunque un’estraneità a se stesso come se nessun apprezzamento bastasse a soddisfare un vuoto… E mi dice questo senso di inadeguatezza, secondo lui, è una condizione che hanno tutti, solo che in lui, magari, è sentita in modo più forte.

Il ragazzo mi ha detto, infine, che forse la soluzione non può ridursi nel trovare una persona che ti apprezza totalmente ma che occorre qualcosa di più largo e capiente, serve un posto in cui sentirsi riconosciuti, posto che per adesso riconosce nell’esempio del padre e nel lavoro che fa, esempio di coraggio e dedizione ad altri.

Si è pensato di dare voce ai pensieri degli studenti, senza modificare i loro interventi, accogliendo il loro bisogno di espressione, attraverso un’intervista maieutica, esperienza utile a tirare fuori ragionamenti profondi e non scontati dei ragazzi, senza imporre un giudizio ma accompagnando la riflessione. I ragazzi hanno reagito in modi diversi: alcuni con imbarazzo, altri hanno avvertito una possibilità: quella di far sentire la loro voce, con libertà”.

Ed infine i ringraziamenti a chi ha collaborato alla realizzazione di questo lavoro: “Ringrazio per l’aiuto educativo l’insegnante di sostegno Serena Iommi, con la quale sono riuscita a stimolare le riflessioni di alcuni studenti che, inizialmente, si sentivano in imbarazzo. Grazie al dirigente scolastico, Gianni Mastrocola, ed al direttore della sede distaccata di Macerata, Antonello Romagnoli.

E ringrazio il professore di lettere, Andrea Garbuglia, che ha pensato, memore del noto brano di Rino Gaetano, di suggerirmi le beatitudini evangeliche come ‘accompagnamento terapeutico’ per queste riflessioni. La lettura delle beatitudini evangeliche e il nominare come ‘beate’ anche le proprie condizioni di svantaggio (beati i disperati… beati i non capiti) facilitano l’apprendimento, generano benessere e fiducia reciproca, perché permettono a ciascuno di ridare dignità e valore alla propria storia.

Ogni storia è dignitosa se vissuta con le lealtà. Non esistono ferite ed errori da punire o di cui vergognarsi, esistono storie da ascoltare e che meritano di esserlo. Ogni storia, se narrata con fiducia a chi ci sa accogliere, diventa beate, beate perché amate. E tutto ciò che è amato rigenera amore in chi ha bisogno.

Grazie al pedagogista Amedeo Angelozzi, perché mi ha ascoltata. Grazie, infine, a Biblia che ha saputo dare valore a questi voci schiette”.

Ringraziamenti anche ai ragazzi delle classi IV g, V g e V h: Beluli Valmir, Ciavarella Alessandro, Ciucci Simone, Crocetti Manuel, Drudi Matteo, El Hafiani Mohamed, Forse Elia, Garbuglia Mattia, Gjinaj Davide, Ottaviani Juan Gabriel, Ramadù Paolo, Sathkumara Mudiyanselage Alex, Stagnaro Mattia, Thomson Roberto, Tiburzi Matteo, Velaj Gildjano.

Abazi Samir, Donati Luca, Giamocozzi Diego, Novac Marius Ionut, Taborri Marco, Taruschio Alessandro, Trobbiani Riccardo.

Dari Fabio, Gaglio Gianmarco, Giannini Mattia, Gigante Alex, Gnanzou Tito Yannick Landry, Kovachi Besim, Milani Filippo, Nima Canchari Sandro Rodrigo, Bacioni Kevin, Storani Andrea, Turcu Antonio Gheorghe, Xhelaj Gabriel.

Free Webcam Girls
151.11.48.50