Giovani sempre più precari e sottopagati: in Italia emerge il ‘lavoro povero’

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L’Italia non è un Paese per giovani e nemmeno per donne: anche se lo si sapeva ora è certificato dal Rapporto Inapp 2022, ‘Lavoro e formazione, l’Italia di fronte alle sfide del futuro’, presentato alla Camera dei deputati dal prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche:

“Malgrado alcuni segnali confortanti alcune debolezze del nostro sistema produttivo sembrano essersi cronicizzate, con il lavoro che appare intrappolato tra bassi salari e scarsa produttività. Per questo occorre pensare a una ‘nuova stagione’ delle politiche del lavoro, che punti a migliorare la qualità dei posti di lavoro, soprattutto per i neoassunti e per i lavoratori a basso reddito, per le posizioni lavorative precarie e con poche possibilità di carriera, dove le donne e i giovani sono ancora maggiormente penalizzati”.

Terminata l’emergenza Covid-19 dall’indagine emerge che il mercato del lavoro è intrappolato nella precarietà: dei nuovi contratti attivati nel 2021 sette su dieci sono a tempo determinato, il part time involontario coinvolge l’11,3% dei lavoratori (contro una media Ocse del 3,2%), solo il 35-40% dei lavoratori atipici passa nell’arco di tre anni a impieghi stabili, i lavoratori poveri rappresentano ormai il 10,8% del totale.

Inoltre l’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1% e dove le politiche in tema di sostenibilità sono state adottate appena dall’8,6% delle imprese. Infatti il tasso di occupazione, sceso dal 58,8 al 56,8% all’inizio della pandemia, ha ripreso a crescere solo nel 2021 e ha impiegato 18 mesi per tornare ai livelli pre-crisi.

Nei Paesi Ocse la risalita era già consistente nel secondo trimestre 2020 e si è completata in 15 mesi. Nel 2021 sono stati 11.284.591 le nuove assunzioni, con prevalenza della componente maschile: 54% contro il 46% per le donne.

Nel 2021 il 68,9% dei nuovi contratti sono a tempo determinato (il 14,8% a tempo indeterminato). Il lavoro atipico (ovvero tutte quelle forme di contratto diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato full time) rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni.

Nel 2021 il part time involontario (la quota di lavoratori che svolgono un lavoro a tempo parziale non per scelta) rappresenta l’11,3% del totale dei lavoratori contro il solo 3,2% nell’area Ocse. Allo stesso tempo la tendenza alla riduzione dell’orario di lavoro sembra non arrestarsi e il prodotto per singola ora è bloccato dal 2000 rispetto a tutti i Paesi, non solo membri dell’Ue.

Nel Rapporto è contenuta anche una riflessione sui Centri per l’impiego e sull’orientamento: dall’ultima indagine Inapp-Plus è risultato che negli anni dal 2011 al 2021 quasi un lavoratore su quattro (23%) ha trovato un posto tramite amici, parenti o conoscenti, il 9% attraverso contatti stabiliti nell’ambiente lavorativo, soltanto il 4% attraverso i Centri per l’impiego.

E nel 2021 soltanto l’11% di coloro che attualmente sono in cerca di occupazione si è rivolto ai Centri per l’impiego e si raccoglie, inoltre, nelle fasce più deboli e meno qualificate.

Ci sono poi quanti, pur lavorando (dipendente o autonomo) sono in una famiglia a rischio povertà, cioè con un reddito disponibile equivalente al di sotto della soglia di rischio povertà. Nell’ultimo decennio (2010-2020) il tasso di ‘lavoro povero’ è stato pressoché costante con un valore medio pari a 11,3% e una distanza rispetto all’Unione europea superiore mediamente del 2,1%.

L’8,7% dei lavoratori (subordinati e autonomi) percepisce una retribuzione annua lorda di meno di € 10.000, mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiori ad € 30.000, valori molto bassi se comparati con quelli degli altri lavoratori europei.

Se si considera il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere autonomamente ad una spesa improvvisa, (quindi non ha risparmi o capacità di ottenere credito), il 20% riesce a fronteggiare spese fino ad € 300 ed il 28% spese fino ad € 800. Quasi uno su tre ha dovuto posticipare cure mediche.  

Nel Rapporto si parla anche di fabbisogni di professioni e competenze: nel 2021 solo 22,8% delle imprese italiane segnala la necessità di adeguare le conoscenze e le competenze di specifiche figure professionali, nel 2017 erano un terzo.

Sono le realtà produttive medio-grandi a registrare con maggiore frequenza la necessità di aggiornare le conoscenze e le competenze del personale (37,1% per le imprese con 50-249 addetti e 40,2% per quelle con 250 addetti e oltre).

Tra le professioni ad alta qualificazione quelle tecniche sono il segmento per il quale emerge una maggior esigenza di aggiornamento in presenza di processi di innovazione di impresa. In particolare, per il 16,7% delle professioni tecniche viene indicato un fabbisogno professionale laddove sono stati avviati interventi volti a potenziare la competitività di impresa.

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