Papa Francesco chiede ai sacerdoti la fedeltà a Gesù
Stamattina papa Francesco ha celebrato nella basilica di san Pietro la messa crismale del Giovedì Santo, in cui è istituito il sacerdozio, riprendendo le parole del profeta Isaia, in cui Dio sigilla un patto che apre alla speranza:
“Essere sacerdoti è, cari fratelli, una grazia, una grazia molto grande, che non è in primo luogo una grazia per noi, ma per la gente; e per il nostro popolo è un dono grande il fatto che il Signore scelga, in mezzo al suo gregge, alcuni che si occupino delle sue pecore in modo esclusivo, come padri e pastori. E’ il Signore stesso a pagare il salario del sacerdote: ‘Io darò loro fedelmente il salario’. E Lui è buon pagatore, benché abbia le sue particolarità, come quella di pagare prima gli ultimi”.
Mentre la lettura dell’Apocalisse specifica in cosa consiste tale salario: “E’ il suo Amore e il perdono incondizionato dei nostri peccati a prezzo del suo sangue versato sulla Croce: ‘Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre’.
Non c’è salario maggiore dell’amicizia con Gesù. Non c’è pace più grande del suo perdono. Questo lo sappiamo tutti. Non c’è prezzo più caro di quello del suo Sangue prezioso, che non dobbiamo permettere sia disprezzato con una condotta indegna”.
E’ un invito ad essere fedeli al popolo: “La gente lo merita e anche ne ha bisogno. Il Vangelo di Luca ci dice che, dopo che Gesù ebbe letto il passo del profeta Isaia davanti alla sua gente e si fu seduto, ‘gli occhi di tutti erano fissi su di lui’. Anche l’Apocalisse ci parla oggi di occhi fissi su Gesù, dell’attrazione irresistibile del Signore crocifisso e risorto che ci porta ad adorare e a riconoscere… La grazia finale, quando il Signore risorto ritornerà, sarà quella di un riconoscimento immediato: lo vedremo trafitto, riconosceremo chi è Lui e chi siamo noi, peccatori; niente più”.
Il papa ha invitato i sacerdoti a fissare gli occhi su Gesù: “Al termine della giornata fa bene guardare al Signore, e che Lui ci guardi il cuore, insieme al cuore delle persone che abbiamo incontrato.
Non si tratta di contabilizzare i peccati, ma di una contemplazione amorosa in cui guardiamo alla nostra giornata con lo sguardo di Gesù e vediamo così le grazie del giorno, i doni e tutto ciò che ha fatto per noi, per ringraziare.
E gli mostriamo anche le nostre tentazioni, per riconoscerle e rigettarle. Come vediamo, si tratta di capire che cosa è gradito al Signore e che cosa vuole da noi qui e ora, nella nostra storia attuale”.
Gli occhi su Gesù vuol dire distoglierli dagli idoli: “Lasciare che il Signore guardi i nostri idoli nascosti ci rende forti davanti ad essi e toglie loro il potere. Lo sguardo del Signore ci fa vedere che, in realtà, in essi noi glorifichiamo noi stessi, perché lì, in quello spazio che viviamo come se fosse esclusivo, si intromette il diavolo aggiungendo un elemento molto maligno:
fa sì che non solo ‘compiacciamo’ noi stessi dando briglia sciolta a una passione o coltivandone un’altra, ma ci conduce anche a sostituire con essi, con quegli idoli nascosti, la presenza delle Divine Persone, del Padre, del Figlio e dello Spirito, che dimorano dentro di noi. E’ qualcosa che di fatto accade”.
Ed ha messo in guardia dalla ‘mondanità spirituale’: “Il suo criterio è il trionfalismo, un trionfalismo senza Croce. E Gesù prega affinché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità. Questa tentazione di una gloria senza Croce va contro la persona del Signore, che si umilia nell’Incarnazione e che, come segno di contraddizione, è l’unica medicina contro ogni idolo. Essere povero con Cristo povero e ‘perché Cristo ha scelto la povertà’ è la logica dell’Amore e non un’altra”.
Poi ha chiesto di non essere troppo ‘attaccati’ alle statistiche: “Coloro che hanno questo idolo nascosto si riconoscono per il loro amore alle statistiche, quelle che possono cancellare ogni tratto personale nella discussione e dare la preminenza alla maggioranza, che, in definitiva, diventa il criterio di discernimento. E’ brutto.
Questo non può essere l’unico modo di procedere né l’unico criterio nella Chiesa di Cristo… In questo fascino per i numeri, in realtà, ricerchiamo noi stessi e ci compiacciamo del controllo assicuratoci da questa logica, che non s’interessa dei volti e non è quella dell’amore. Ama i numeri. Una caratteristica dei grandi santi è che sanno tirarsi indietro così da lasciare tutto lo spazio a Dio”.
La fede non è funzionalismo: “Il nostro Padre è il Creatore, ma non uno che solamente fa “funzionare” le cose, ma Uno che ‘crea’ come Padre, con tenerezza, facendosi carico delle sue creature e operando affinché l’uomo sia più libero. Il funzionalista non sa gioire delle grazie che lo Spirito effonde sul suo popolo, delle quali potrebbe ‘nutrirsi’ anche come lavoratore che si guadagna il suo salario.
Il sacerdote con mentalità funzionalista ha il proprio nutrimento, che è il suo ego. Nel funzionalismo lasciamo da parte l’adorazione al Padre nelle piccole e grandi cose della nostra vita e ci compiacciamo dell’efficacia dei nostri programmi”.
Quindi Gesù è la strada: “Gesù Cristo, essendo segno di contraddizione, che non sempre è qualcosa di cruento o di duro, poiché la misericordia è segno di contraddizione e molto di più lo è la tenerezza, fa sì che questi idoli si rivelino, che si veda la loro presenza, le loro radici e il loro funzionamento, e così il Signore li possa distruggere, questa è la proposta: dare spazio perché il Signore possa distruggere i nostri idoli nascosti. E dobbiamo ricordarli, stare attenti, perché non rinasca la zizzania di questi idoli che abbiamo saputo nascondere tra le pieghe del nostro cuore”.
Il papa ha concluso l’omelia con un’invocazione a san Giuseppe: “E che ci ottenga anche la grazia di non arrenderci nell’arduo compito di discernere questi idoli che, tanto frequentemente, nascondiamo o si nascondono.
E chiediamo pure a san Giuseppe che, là dove dubitiamo su come fare meglio le cose, interceda per noi affinché lo Spirito ci illumini il giudizio, come illuminò il suo quando era tentato di lasciare ‘in segreto’ ( lathra) Maria, in modo che, con nobiltà di cuore, sappiamo subordinare alla carità ciò che abbiamo appreso per legge”.
(Foto: Santa Sede)