La Russia di Kirill e del Cremlino nelle parole di un missionario

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“Penso che il Cremlino abbia esercitato pressioni sul patriarca Kirill. Da un lato è l’ispiratore di Putin, dall’altra è personalmente contrario all’invasione dell’Ucraina, ma non può dirglielo troppo in faccia. E’ Kirill che ha suggerito a Putin una concezione della Russia come paese chiamato a difendere la vera fede, l’ortodossia, nel mondo secolarizzato, il richiamo alla terra comune russa, al battesimo comune con gli ucraini e con tutto il mondo russo che sta al di fuori dei confini russi, in particolare quella che era l’Unione Sovietica”.

Così don Stefano Caprio, docente di Storia e cultura russa al Pontificio Istituto orientale di Roma e missionario in Russia dal 1989 al 2002, ha spiegato il sermone del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill: “Quella di Kirill era una citazione della lettera che il monaco Filofej di Pskov nel XV secolo inviò al principe di Mosca per dirgli che lo zar deve difendere la Chiesa, la Russia e il mondo intero da tre pericoli.

Innanzitutto l’eresia, compresa quella cattolica di Roma; in seguito l’invasione, con riferimento ai musulmani che volevano invadere Costantinopoli; infine la sodomia, che era ritenuta la massima espressione dell’immoralità.

Citando il gay pride, quindi, il patriarca di Mosca vuole certamente provocare la mentalità occidentale contemporanea, ma soprattutto riaffermare quella che è ritenuta essere la missione storica della Russia e della Chiesa russa, e cioè salvare il mondo dalla degradazione morale e dall’eresia”.

Però per quali ragioni si è arrivati all’invasione dell’Ucraina?

“L’invasione russa è l’ultimo atto di una ‘guerra ibrida’ in corso dal 2014 nel Donbass, dopo le proteste del Maidan, il rovesciamento a Kiev del governo filo-russo di Viktor Janukovič e l’annessione della Crimea. I russi erano già presenti sul territorio con milizie non ufficiali, che sostenevano i separatisti di Donetsk e Lugansk, di cui già da tempo riconoscevano di fatto l’indipendenza e a cui erano stati addirittura rilasciati i passaporti russi. Nella zona vi erano stati circa 15.000 morti, e le azioni militari e politiche da una parte e dall’altra si sono intensificate in questo periodo con crescente ostilità.

Negli ultimi mesi la Russia ha dimostrato non solo di voler chiudere del tutto la partita del Donbass, ma anche di cercare un confronto su tutto il confine ucraino, ammassando truppe lungo tutta la sua lunghezza, e perfino nella Bielorussia sempre più fedele a Mosca.

Si pensava che fosse più che altro un’azione dimostrativa, ma alla fine Putin ha dimostrato di avere intenzione di andare fino in fondo, lanciando l’attacco che ora sta arrivando fino alla regione occidentale di Leopoli,  alle soglie della Nato e dell’Unione europea.

Si tratta quindi di un’operazione che non si limita all’Ucraina, ma intende regolare i conti con l’intero Occidente, con motivazioni esplicite di tipo ideologico e perfino storico-filosofico, che comprendono la riparazione dei torti subiti dalla fine dell’Urss alla restaurazione di una missione russa nel mondo, come vessillo di una civiltà ortodossa di fronte alla degradazione morale degli occidentali.

Più in generale, la Russia di Putin intende distruggere la visione del mondo detta ‘globalizzazione’, che comporta la parità dei diritti e l’omologazione culturale, per affermare il ‘sovranismo’ dell’identità popolare e della prevalenza dei diritti delle maggioranze”.

Per quale motivo questo è un conflitto anche religioso e culturale?

“La cultura è strumento dell’interpretazione storica, la religione è fondamento dell’identità nazionale. E’ dal 2007, quando intervenne a Monaco di Baviera, che Putin propone la rilettura della storia russa e internazionale come una dimensione necessaria della politica e della vita sociale, attingendo a ispirazioni letterarie, filosofiche e teologiche evidentemente fornite da diversi ideologi e personalità che lo sostengono. Molti di questi sono ben noti, come Aleksandr Dugin, Vladimir Surkov e il metropolita di Pskov Tikhon (Ševkunov), e si potrebbero aggiungere diversi altri nomi.

La Chiesa ortodossa russa è in generale la fonte d’ispirazione più importante per il presidente e tutta l’élite al potere, sia per la sua presenza originaria nella storia del popolo russo, sia per l’effetto della ‘rinascita religiosa’ del post-comunismo. In questo fenomeno ci sono aspetti spontanei di ritorno alla fede e alla ricerca religiosa nella popolazione, ma anche aspetti di programmazione dall’alto, per rendere la Chiesa nuovamente una struttura ufficiale dello Stato, nella variante locale e nuova della ‘sinfonia bizantina’ dei due poteri.

Quando Vladimir Putin divenne presidente nel 2000, la Chiesa ortodossa celebrò il Sinodo del secondo millennio cristiano, in cui canonizzò l’ultimo zar Nicola II e approvò il documento sulla ‘Dottrina sociale della Chiesa’, preparato dall’allora metropolita Kirill (Gundjaev), divenuto patriarca nel 2009. Quello è il programma politico di Putin del ‘sovranismo ortodosso’, da lui ulteriormente radicalizzato nell’ultimo decennio, anche al di là delle indicazioni della Chiesa stessa”.

In quale modo può essere risanata la ‘ferita’ tra Ortodossi?

“La ferita risale all’origine stessa della Rus’ di Kiev alla fine del primo millennio: i russi non hanno mai accettato di essere ‘figli’ di Costantinopoli, e hanno sempre cercato di governarsi da soli. Dal 1441 hanno dichiarato unilateralmente la propria autocefalia, ritenendo i greci ormai eretici per aver firmato l’Unione di Firenze.

Nel 1589 costrinsero il patriarca di Costantinopoli, che si era recato in Russia a chiedere sostegno economico, a proclamare il Patriarcato di Mosca, una novità ecclesiologica imitata poi nel secolo XIX dalle altre Chiese locali e istituendo i patriarcati nazionali ortodossi. Le liti sono state molte e di vario livello, poi risanate con riconciliazioni più o meno convinte, come forse avverrà ancora tra diversi anni, ma alla base si evidenzia una fragilità ecclesiologica in tutta l’Ortodossia cristiana.

Non si tratta solo della mancanza di un primato di tipo papale, ma di una diversa interpretazione dei dogmi dei secoli patristici, che richiederebbe una discussione conciliare reale. Nel 2016 il rifiuto dei russi a recarsi al Concilio panortodosso di Creta fu la dimostrazione di questo limite storico e dogmatico, che dovrebbe far molto riflettere anche i cattolici, a loro volta spesso incerti nella definizione delle autonomie nazionali”.

L’azione diplomatica del papa può condurre alla pace?

“Il papa Francesco ha una grande autorità morale, e può fare molto per la pace. Quando si incontrò a L’Avana con il patriarca Kirill, il 12 febbraio 2016, era in gioco un’altra guerra che interessava i russi, quella in Siria contro l’Isis, e l’incontro favorì le loro azioni. Anche questo potrebbe oggi contare nell’equilibrio delle influenze religiose sulla politica e sulla guerra, e la Santa Sede ha più volte dichiarato di essere pronta a ‘fare qualsiasi cosa’ per fermare la guerra.

E’ una scelta di grande disponibilità anche cedendo alla controparte molte prerogative, una specie di ‘Ostpolitik’ sul modello di quella novecentesca, evidente anche negli accordi vaticani con la Cina, non certo meno nazionalista della Russia.

Il papa e il patriarca avevano già preso accordi per incontrarsi una seconda volta quest’anno; si pensava all’inizio dell’estate, in un territorio ‘neutro’ più vicino di Cuba. Si pensava, ad esempio, alla Finlandia, paese neutrale sia politicamente che religiosamente, che ha una parte di territorio (la Carelia) all’interno della Russia. Se si arrivasse alla ‘finlandizzazione’ dell’Ucraina, forse i due capi delle Chiese potrebbero incontrarsi proprio a Kiev, in una grandiosa riconciliazione cristiana ed europea, ma forse questo è solo un sogno”.

Recentemente lei ha scritto un libro intitolato ‘Lo zar di vetro. La Russia di Putin’, in cui analizza le proteste nelle regioni dell’Estremo Oriente russo e le rivolte nell’Occidente della ‘Russia Bianca’: per quale motivo Putin è lo ‘zar di vetro’?

“Il titolo del libro vuole suggerire l’esaurimento da parte di Putin di tutta la sua costruzione ideologico-sociale, ed era riferito agli eventi del 2020, con la solenne celebrazione dei 75 anni dalla vittoria sul nazismo rovinata dal Covid, dalle proteste in Bielorussia e dalla risonanza dell’avvelenamento dell’oppositore Aleksej Naval’nyj.

Oggi il titolo mi sembra ancora più appropriato, perché l’invasione dell’Ucraina è davvero l’arma finale del putinismo: se anche vincesse militarmente, ha ormai perso moralmente, e non solo di fronte all’opinione pubblica internazionale. In patria il presidente guerriero è sostenuto dalla metà più anziana della popolazione, ma i giovani sicuramente non lo seguono, nonostante la martellante propaganda inculcata fin dalle scuole elementari.

Non si può dire quanto Putin rimarrà al suo posto, dipenderà anche dagli esiti della guerra. Potrebbe restare presidente per un altro ventennio o magari a vita, ma sarebbe ormai una figura vuota e imbalsamata come il Brežnev degli anni ’80, che continua a ripetere roboanti annunci e proclami ideologici senza più un vero contatto con la realtà, lasciando intravedere un vuoto totale dentro e dietro di sé, come uno zar di vetro”.

(Tratto da Aci Stampa)

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