Il 50° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya. L’eroismo di Amani, il N. 36 dei #VoltiDiSperanza

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Il 1° marzo 2022 abbiamo dato notizia [QUI] dell’inizio del 50° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya, con il Report 50/1 di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami.

Poi, il 4 marzo abbiamo proseguito con il reportage di Mercoledì delle Ceneri, il Report 50/2 Benedict la pazza e tre magnifici gemellini [QUI].

Il 13 marzo abbiamo presentato il Report 50/3 La terra dei baobab, l’albero cresciuto al contrario da Madogo, 6 km ad est di Garissa, in cui si parla di bambine genitalmente mutilate, come il baobab donne cresciute al contrario [QUI].

Questa mattina, 14 marzo abbiamo presentato il Report 50/4 La sofferenza di bambini come Malaika ti strappano il cuore da Watamu, con la storia di Malaika che è un angelo perché questo nome in swahili significa proprio angelo [QUI].

Proseguiamo la reportage di Don Gigi dalle parti di Jacaranda, una località che si trova a nord di Watamu, sulla costa orientale del Kenya, a 13 km da Malindi e a 125 km da Mombasa. Rinomata tra i turisti occidentali è la spiaggia di Jacaranda, con i suoi 15 chilometri di costa, gli hotel e uno dei tratti di spiagge più rinomate, suggestive, coreografiche e spettacolari del Kenya, tra le più belle al mondo. La zona è dichiarata Riserva di Biosfera dall’UNESCO e fa parte del Parco Marino di Watamu.

Jacaranda, oltre che per la spiaggia lunghissima, è conosciuta per la celebre Sardegna2 o meglio Majungu, come è chiamata dalla popolazione locale, meta di escursioni e scorpacciate di grigliata di pesce, aragoste, gamberi, ecc., in uno scenario paradisiaco con condizioni di balneabilità uniche e privilegiate rispetto ad ogni altra zona della costa nord del Kenya. Il bianco accecante della sabbia e le mille sfumature del blu del mare interagiscono e come d’incanto emergono magiche lingue di sabbia corallina che si allargano, dando vita a piscine naturali dove ci si può immergere per una nuotata o per prendere il sole oppure per una passeggiata tra gli atolli affiorati con la bassa marea facili da raggiungere a piedi, utilizzando le apposite scarpette per camminare sui coralli. Una zona ideale per chi cerca una vacanza rilassante e rigenerante a contatto con la natura. Per gli amanti della vita notturna c’è Malindi, col suo casinò, le discoteche e i locali di tendenza, molto apprezzati anche dalla nutrita comunità italiana che ci vive e che “ignora” la miseria che per cui Don Gigi è arrivato qui.

Jacaranda [*] è anche il nome di un albero. Il termine proviene dal nome vernacolare guaraní attribuito alla pianta in Brasile e che significa “fragante”. La jacaranda è simbolo di saggezza, rinascita, ricchezza e buona fortuna. Quindi, un segno di speranza… e di speranza si parla questo pomeriggio, 14 marzo 2022 nel Report 50/5 L’eroismo di Amani, il N. 36 dei #VoltiDiSperanza, che ci arriva da Jacaranda, con la storia triste ma eroica del ragazzo di nome Amani. È questo eroismo nascosto agli occhi dei turisti occidentali, che costituisce la speranza oggi.

Buon ascolto delle parole solidali di Don Gigi e delle testimonianze di speranza che riporta.

Amani #VoltiDiSperanza N. 36 in Kenya.

Un meraviglioso tramonto dipinge il cielo di arancione e poi rosso, un rosso che si spegnerà nel nero della notte, costruito attorno alla luce della luna e di miliardi di stelle, che ti entrano nel cuore. Due stanche zebre attraversano il sentiero del villaggio. Sono molto stanco ma i bambini vogliono giocare con me. Ramsi ha appena cotto sul fuoco un mango, Santina mi giocherella attorno e Nora sta girando nella brace un altro mango che si vuole mangiare.

Mangiando mango in Africa.

Il piccolino apre il mango cotto, con le dita luridissime estrae un pezzo caldo di mango e me lo mette in bocca. Se non mi prendo una bella dissenteria questa volta? Mi ricordo il rientro dall’Iraq che mi costo tre settimane per gastroenterite. Me ne frego e inghiotto contento. Il caldo mango però si impiastro sullo schermo del tablet che lo vedo mal ridotto. Lo pulisco con le maniche della camicia ma peggioro la situazione. Vicino al fuoco vi è una pentola con acqua calda, intingo il lembo della camicia rossa e detergo lo schermo.

Ora posso iniziare a scrivere di Amani, anche se la mia piccola Santina mi rompe dolcemente, chiedendomi di giocare con lei. Una scimmietta si arrampica sull’albero di cocco vicino, una grossa farfalla si posa sulla buganvillea. I colori sono meravigliosi e la natura ha la capacità di curare il cuore… e dove non arriva la natura arrivano i bambini, con la loro purezza e bontà. Ho proprio bisogno di questo contesto caldo e familiare in un viaggio denso di problemi e difficoltà cretine, fatte da persone cretine. Poi vedi loro, i bambini, guardi la natura, incontri una vecchia che ti sorride e tutto si dissolve come neve al sole.

Sono stanco questa sera. Ho iniziato la giornata con il bagno rituale nell’oceano. All’alba, mentre di nuovo il cielo si tinge di rosso, è meraviglioso nuotare 40 minuti nell’acqua salata dell’Oceano Indiano. Mi viene in mente il mare di Pizzo Calabro. Mi viene in mente quando nel 2011 avevo portato mia madre Santina a fare il bagno in questo Oceano Indiano… e mi commuovo.

«Halima nell’ospedale di Malindi in Kenya sta morendo. Ha bisogno di sangue e dialisi #EvelyneProgram2021. Venire in Africa e incontrare in lei la carne di Gesù è un grande previlegio» (Don Gigi).

La salutare nuotata ha aperto la intensa giornata fatti di incontri nelle povere capanne, della visita all’ospedale per incontrare Halima e questa sera prima di arrivare in questo villaggio dell’incontro con Amani, che è il protagonista del nostro 36° libretto della collana #VoltiDiSperanza.

In Kenya i bambini dell’orfanotrofio di Mambrui (a nord di Malindi) salutano i bambini ADASM di Bergamo.

Incontro il ragazzo in un piccolo orfanotrofio con 34 ragazzi, si trova dalle parti di Jacaranda. Siamo accolti con molto calore e il ragazzo è molto felice di vederci. La storia di Amani è triste ma eroica ed è questo eroismo nascosto che costituisce speranza oggi. Amani è nato l’11 settembre 2004 nel villaggio di Cembe, il padre si chiama Kalama e la madre Dhahabu e i due hanno 5 figli: 4 femmine e un maschio. Amani è il secondo.

Amani.

Amani non parla bene l’inglese e l’inseparabile Jimmy tradurrà tutto dal swahili. Il ragazzo mi sembra molto orgoglioso di potermi raccontare la sua storia e gli dico che potrebbe fare tanto bene in questo momento a tanti ragazzi in Italia: “Sono onorato di raccontare la mia vita, se può essere utile ai ragazzi in Italia. Prima di parlarti di me, devo raccontare di mia madre che si chiama Dhahabu. Lei lavorava forte, era il sostegno economico di tutta la famiglia. Usciva la mattina presto e tornava alla sera tardi verso le ore 10.00. Era stravolta per il lavoro. Mia madre era un muratore e impastava il cemento. La mia triste storia ha inizio quando avevo 8 anni. La mia mamma lavorava in un cantiere sulla costa di Jakaranda. Stavano svolgendo un lavoro molto lungo e pesante. Una sera finirono tardi e così mia madre si era fermata a dormire da dei parenti per non fare da sola la strada nella notte. La mattina seguente riprese a lavorare e ritornò a casa la sera. Ero seduta furono dalla capanna, mio padre era furioso e iniziò a insultarla violentemente. Le sue forti grida mi spaventavano. Mio padre ubriaco iniziò a bastonare mio madre e il sangue scorreva dalle piaghe. Non poteva neppure più reagire alla furia delle percosse. Iniziai a piangere e con me le mie sorelle. Lei mi guardò negli occhi e mi disse: ‘Amani, me ne vado per sempre. Pensa tu alle tue sorelline’. Mi diede un bacio con le labbra sporche di sangue per un dente rotto… e da allora non sappiamo più dove sia“.

La storia mi prende. I dolci occhi di Amani fanno trasparire ancora la sofferenza e il dolore, che necessitano rielaborazione e comprensione. Dico ad Amani: “Penso sia una tragedia vedere la propria madre essere presa a bastonate, grondare sangue e darti un ultimo bacio insanguinato. Deve essere un grandissimo dolore, che toglie ogni capacità di reazione, vero?”. Jimmy traduce il mio pensiero e il ragazzo mi risponde: “Rimasi in uno stato di confusione per più di dieci giorni, non riuscivo a dormire al ricordo di quelle botte. Chi mi risvegliò a forza da quel torpore è stato mio padre. Una mattina presto mi sveglia e mi dice: ti ricordi cosa ha detto tua madre? Bene ora tu devi prendere il suo posto e devi andare a lavorare. Mio padre è alcolizzato e il suo lavoro è produrre una sorta di vino locale che si estrae dalle palme. Il piccolo salario che lui riesce ad avere finisce tutto in alcol e non è in grado di darci da mangiare. Quella mattina mi dice: ‘Ti porto oggi da un pastore che ti darà lavoro”. E così, con mio padre la mattina stessa abbiamo imboccato il sentiero che porta alla casa di Ibrahim. Per un bambino piccolo svegliarsi la mattina è durissimo, ma mi svegliavo alle ore 04.30, prendevo il sentiero per essere dal mio padrone alle ore 05.00. Mungevo le mucche e dopo uscivo con loro al pascolo dove le lasciavo. Rientravo alla stalla, mangiavo qualche cosa e andavo al mercato a vendere il latte. Poi, rientravo con il magro guadagno che consegnavo al padrone e tornavo al pascolo per muovere la mandria in altri pascoli e nutrirle con arbusti ed erba differente. Così fino alla sera, in compagnia solo degli animali. Ma forse questa vita dura riusciva a darmi forza, la natura, gli animali… crescevo senza saper né leggere né scrivere”.

Guardo il ragazzo, ha una stupenda muscolatura e provo ammirazione per lui. E pongo a lui la domanda che mai avrei voluto porre: “Amani che bravo! Lavorando duramente tu sei riuscito davvero a mantenere le tue sorelline… quando ricevevi di paga al mese?”. Il ragazzo si fa triste e mi dice: “Il pastore mi voleva bene e non mi trattava male, ma mi dava 2500 scellini al mese”. Il ragazzetto si fa triste… ed io esplodo. Cosa? Solo 2500 scellini? Ma sono 19 euro al mese, il che vuol dire 60 centesimi al giorno. E dico ad Amani: “Meno male che lo sciagurato padrone ti voleva bene, perché se non fosse stato così, cosa sarebbe successo di te?“.

Il sorriso scompare dal volto di Amani ed anche Jimmy si fa triste. Un lungo momento di silenzio mostra il nostro comune risentimento e disagio: “Ma questo è autentico sfruttamento di lavoro minorile. Sai Amani, ho trovato sulle Ande del Perù Santiago, un bambino di 8 anni, che guadagnava 50 centesimi al giorno, lavorando 12 ore. Poi è stata la volta di Nasreen in Iraq. E ora sei tu che mi mostri lo sconcerto. Penso che la tua vita sarà una grande riflessione per tutti gli italiani che leggeranno il libro a te dedicato”.

Amani vuole completare il suo discorso e lo lascio parlare: “Quando portavo a casa i soldi mio padre prendeva 500 scellini e a noi bambini rimanevano solo 2000 scellini per tutto il mese: così non potevo continuare e allora nel giorno libero da questo lavoro né svolgevo un altro, sul quale mio padre non metteva mano: salivo sulle palme per raccogliere noci di cocco. Un lavoro molto pesante ma che fruttava bene!”.

Amani fa dimostrazione delle sua abilità nel scalare le palme da cocco.

Ora capisco il perché di questo fisico atletico. Arrampicarsi sugli alberi è un grande esercizio fisico. Racconta Amani: “Arrivavo a sera con le braccia e le gambe distrutte per aver scalato decine e decine di palme da cocco. Ma con in tasca alcuni preziosi scellini. Quei soldi li usavo per comperare da mangiare e per mandare a scuola le mie sorelle. Chiesi a mio padre di potermi iscrivere alla scuola. Me lo ha concesso formalmente, ma effettivamente era quasi impossibile. Ho visto i banchi della scuola forse solo 5/6 volte. Quella dura vita è andata avanti per alcuni anni e poi il padrone della mandria mi ha portato in questo orfanotrofio, dicendomi che dovevo imparare a leggere e a scrivere per avere un futuro. Qui la mia vita è completamente cambiata. Ora sono iscritto alla scuola primaria. Ho appena fatto gli esami. Spero di essere promosso e così accedere alla scuola secondaria”.

Guardo con crescente ammirazione il ragazzetto agile come una scimmia dai muscoli atletici e gli chiedo: “E le tue sorelle come vivono?”. Il ragazzo si fa triste per l’ultima volta e mi dice: “Non sono fortunate: la mia prima sorella è rimasta incinta a 17 anni ed ora è sposata con un uomo che la maltratta. Una seconda sorella ha 13 anni ed è rimasta incinta. Ora vive con il suo bambino insieme con le altre sorelline. Per vivere raccolgono e vendono legna da ardere. Mio padre alcolizzato non riesce a lavorare. Quando posso anch’io aiuto le mie sorelle a sopravvivere”.

Abbraccio forte il ragazzo e lo chiedo di farmi vedere come si arrampica sulle palme e divertito mi risponde: “Questo so fare molto molto bene”. Con una robusta corda lega i piedi e si arrampica come uno scoiattolo sulla cima, stacca due noci di cocco e ridiscende. Con il machete le spacca e mi offre il latte di cocco da bere. È buono. Guardo gli occhi felici di Amani per aver mostrato il suo talento e in quegli occhi scorgo un bacio insanguinato dato da una madre pestata a sangue, che con quel bacio ha trasformato la vita del figlio e lo ha reso responsabile delle sorelline. Quel sangue e quel bacio dato da una madre lacerata da percosse e bastonate è sicuramente il più bel bacio che Amani abbia ricevuto in tutta la sua vita. Nessun bacio potrà mai avere la potenza e la forza di quel bacio.

Ripenso a mia madre Santina e ricordo un bacio pieno di sofferenza datomi prima di morire: quel bacio ha trasformato la mia vita come quello di Amani e se oggi ho incontrato Amani è solo a motivo della sofferenza di Santina, che ha radicalmente cambiato la mia vita. Ora una vita lontano dal Vaticano e dai suoi monsignori e vicina invece ad Amani.

Nella tua vita, cerca il bacio che ha cambiato la tua vita. Spero non sia il bacio insanguinato che ha ricevuto Amani, ma sicuramente anche nella tua vita troverai la potenza di un bacio. Amani ci ha rivelato il suo segreto e ora voglio chiederti una cosa: ma nella tua vita quante volte hai dato baci potenti che hanno cambiato la vita di qualcuno? Posso dirti? In questa mia nuova vita a me è capitato spesso, ma non è merito mio, ma del bacio di mia madre. E ricordati che quando fai del bene a qualcuno non dipende da te, ma dal bene che hai ricevuto da qualcuno. Quel bacio insanguinato di una madre pestata a sangue ne è una grande prova.

Un grande albero di jacaranda in fiore.

[*] La jacaranda è un genere di piante della famiglia delle bignoniaceae, comprendente 49 specie, originarie delle regioni tropicali e subtropicali del Sud America, Centro America, Sud Africa e dei Caraibi. Il nome del genere è spesso usato a definire la specie più nota, la jacaranda mimosifolia, che appunto è citata come jacaranda o jacaranda blu, diffusa anche in Kenya. Il legno che se ne ricava, molto pregiato per la costruzione di mobili, è impropriamente chiamato palissandro.
Le specie di questo genere sono grandi arbusti o alberi di medie e grandi dimensioni, raggiungendo anche altezze di 30 m. Le foglie sono semplicemente pinnate (a forma di penna, quindi con uno stelo centrale e foglioline laterali) in alcune specie, ma doppiamente pinnate in altre. Sono spesso di grandi dimensioni. I fiori sono raccolti in pannicoli (gruppi) terminali, ogni fiore ha forma a cinque lobi confluenti in un lungo tubo, con corolla di colore dal blu al viola porpora; alcune specie hanno fiore bianco. I frutti sono capsule ovali piatte o tondeggianti allungate, contenenti piccoli semi alati.
Il termine jacaranda proviene dal nome vernacolare guaraní attribuito alla pianta in Brasile e che significa “fragante”.
La jacaranda è simbolo di saggezza, rinascita, ricchezza e buona fortuna. Secondo una leggenda amazzonica, un meraviglioso uccello di nome Mitu atterrò su un albero di jacaranda, portando sulle sue ali un’incantevole sacerdotessa indigena. La sacerdotessa, chiamata Figlia della Luna, discese dall’albero e visse tra gli abitanti del villaggio. Condivise con loro le sue conoscenze, saggezza ed etica, mostrandogli la differenza tra il bene ed il male. Quando ebbe portato a termine la sua missione tornò all’albero, che nel frattempo si era adornato di fiori e ascese al cielo, unendosi al Figlio del Sole che aveva compiuto una missione simile in un’altra zona della giungla.

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