Il 50° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya. La sofferenza di bambini come Malaika ti strappano il cuore

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Il 1° marzo 2022 abbiamo dato notizia [QUI] dell’inizio del 50° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya, con il Report 50/1 di Mons. Luigi (Don Gigi) Ginami. Poi, il 4 marzo abbiamo proseguito con il reportage di Mercoledì delle Ceneri, il Report 50/2 Benedict la pazza e tre magnifici gemellini [QUI].

Ieri, domenica 13 marzo abbiamo presentato il Report 50/3 La terra dei baobab, l’albero cresciuto al contrario, da Madogo a 6 km ad est da Garissa, in cui Don Gigi ci parla di bambine genitalmente mutilate, donne cresciute al contrario come il baobab [QUI]. Proseguiamo oggi il reportage con la presentiamo del Report 50/4 La sofferenza di bambini come Malaika ti strappano il cuore, che Don Gigi scrive con la storia da Watamu di Malaika, che è un angelo, perché questo nome in swahili significa proprio angelo.

Watamu – che significa “gente dolce” in swahili – è una piccola città costiera kenyota, a circa 110 km a nord-est da Mombasa e 15 km a sud di Malindi. Si estende sul tratto di costa di Watamu Beach, che va dal Mida Creek al villaggio di Mayungu e verso l’entroterra fino al villaggio di Gede. Tutti questi posti che Don Gigi visita sulle rive dell’Oceano Indiano, i turisti italiani non conoscono per la miseria della gente del posto, ma per le loro spiagge, gli alberghi e i resort di lusso. La povera gente non sa neanche della guerra in Ucraina, nello Yemen o in decini di altri Paesi nel mondo, mentre i turisti occidentali vengono qui per dimenticare pure la guerra in Ucraina, iniziata nel 2014 e non il 24 febbraio 2022, quando ce ne siamo accorti. Figuriamoci che vogliono essere “disturbati” dalla povertà e dallo squallore di questi posti dove prendono il sole. “Davanti alla sofferenza tutti rischiamo di essere stupidi, forse perché proprio non la vogliamo o perché ci disgusta. Come davanti a quella oggi in Ucraina, oppure come quella di queste povere capanne del Kenya dimenticato”, dice Don Gigi.

Partendo dal Mida Creek e procedendo verso nord, la costa di Watamu è formato dalla spiaggia di Short beach, Garoda beach, Long beach, Turtle Bay, dalla baia denominata Blue Lagoon, dalla baia denominata Watamu Bay, dalla spiaggia di Ocean Breeze, dal tratto di scogliera di Kanani e dalla lunga spiaggia di Jacaranda (il luogo di cui ci parla nel prossimo Report 50/5). Turtle Bay e Blue Lagoon sono separate da una stretta striscia di sabbia che culmina con un promontorio roccioso chiamato Kibirijini. Turtle Bay e Watamu Bay si allungano, rispettivamente verso sud e verso nord, per diventare delle lunghe strisce sabbiose di fronte ad una barriera corallina che corre per chilometri lungo la costa. Blue Lagoon è la più piccola e a forma di un semicerchio allungato. Il collegamento col mare aperto è piuttosto ambio e disseminato di isolotti rocciosi.

Il comprensorio di Watamu è parte integrante del Parco nazionale marino e riserva di Watamu e, più in particolare, la spiaggia Garoda-Turtle Bay è protetta come Parco Marino in quanto, lungo questo tratto di spiaggia, non è difficile imbattersi in nidi di tartarughe marine nel mese di marzo. L’economia di Watamu è principalmente basata sul turismo e sulle attività ad esso legate. Molti, infatti, sono i resort e le strutture ricettive per turisti. Watamu è una meta per il turismo di tutto il mondo sebbene la maggior parte dei turisti sia di origini italiane e inglesi. Sono moltissimi gli italiani che hanno deciso di trasferirsi stabilmente o stagionalmente nelle zone di Watamu e Malindi, creando attività commerciali come ristoranti, agenzie di safari e strutture e servizi per il turista.

Ma non è di questo “paradiso occidentale in Africa” che Don Gigi ci parla, ma del suo entroterra, che i turisti si guardano bene a visitare. Buon inizio di questa settimana, 18° giorno dall’invasione russa in Ucraina del 24 febbraio scorso e buon ascolto con il cuore del racconto di Don Gigi, e delle testimonianze che riportiamo di seguito.

Malaika, la triste vicenda di una bimba di 9 anni sfruttata in Kenya.

Sono in Kenya e qui le notizie della guerra non giungono, ma questi poveri che incontro, curano anche il mio modo di vedere la vita. In Africa i bambini soffrono e il loro dolore è molto forte. Dove vi è povertà e guerra i bambini soffrono immensamente. Questo ti strappa il cuore, come ha fatto Malaika con me.

La nostra Associazione Amici di Santina Zucchinelli Onlus prende fortemente in considerazione la sofferenza dei piccoli.

Ricordo in Perù di Santiago, un bimbo di 8 anni che lavorava dodici ore vendendo caramelle e bibite all’angolo della piazza principale di Juliaca sulle Ande. Ricordo in Iraq devastato dalla guerra di Nasreen, che aveva la sindrome postraumatica da stress e camminava come uno zombie all’età di 12 anni. Ora è la volta in Kenya di Malaika, che è un angelo perché questo nome in swahili significa proprio “angelo”.

La incontriamo alle porte del suo villaggio Watamu. Fa molto caldo ed è il primo pomeriggio di una giornata afosa. Devo dire davvero grazie a Jimmy che mi segue nel ritmo massacrante di queste giornate, piene di incontri fino all’ultimo secondo.

Malaika è nata il 30 dicembre 2012 e dunque a dicembre compirà 10 anni. Ha una graziosa gonna verde ma molto consunta e lacera. È visibilmente denutrita, non assomiglia per nulla ai nostri bambini italiani paffutelli. Lei ha vissuto una brutta storia di sfruttamento ed è per questo che incontro la sua famiglia.

Brenda, la zia di Malaika che ci accoglie, parla inglese. Ci sediamo per terra su una stuoia fuori dalla capanna. “Ciao Don Gigi, grazie per tuo interessamento al grande dramma della mia piccola nipote. Ti voglio presentare anche mia mamma Mariam, di 70 anni”. L’ anziana donna mi sorride e noto due grandi buchi per orecchini, frutto di una antica tradizione tribale, che deforma le orecchie con grossi buchi. Mariam non parla inglese, solo swahili ed è Jimmy che mi traduce il suo breve saluto, datomi con voce flebile. Ha un volto assente, anche se molto sereno. Sembra raccolta in un suo mondo interiore, che la placa e le dona tranquillità.

Venti metri da noi un grande ramo secco di palma cade, facendo un forte rumore. Da una capanna in lontananza giunge a noi una dolcissima nenia di una donna che sta allattando il suo bambino. Guardo la ragazza seduta alla porta seduta su un tronco e la saluto con la mano, lei risponde con un grande sorriso e poi rivolge il suo incantevole sorriso al suo piccolino. Tolgo dallo zaino i fogli ed inizio a prendere nota dei nomi e delle più importanti notizie. Brenda ha 46 anni e la piccola Malaika è figlia del fratello Edward, che è morto di Aids nel 2015. Sua madre si chiama Janet.

Brenda inizia a raccontare: “Don Gigi, vedi quel sentiero dal quale sei arrivato? Quel sentiero da direttamente sulla strada provinciale che scorre non lontano da qui”. Certo replico, siamo arrivati in moto da questo sentiero. “Era il 6 gennaio 2021 e nel primo pomeriggio vedo arrivare verso la capanna una bambina tutta sporca, piena di lividi. Piangeva disperata, con fortissimi singhiozzi. La bambina era confusa ed affamata, non siamo riusciti a placare il suo pianto e chiediamo chi sia. Non risponde e continua a piangere disperatamente, disorientata e forse anche con il terrore nel cuore. Sulla schiena ha un piccolo zainetto consunto. Delicatamente glielo tolgo e lei lascia fare. Ci sono pochi laceri indumenti e una tessera sanitaria da cui abbiamo appreso che la bimba si chiama Malaika e che il suo cognome è quello di mio figlio, Edward. Mia madre è scoppiata a piangere. Da quando aveva tre anni non avevamo più visti Malaika e per lei eravamo delle estranee. Mia madre piangente la prende in braccio e forse le sue lacrime curano le ferite esteriori e quelle esteriori delle bastonate che la piccola dimostra sulle sue gambe”.

La nonna capisce di cui stiamo parlando e Jimmy interviene a tradurre dallo swahili all’inglese. Mariam guarda Malaika, che sta disegnando tranquilla sulla sabbia un disegno e dice: “Ho abbracciato forte la piccolina e le ho detto: ‘Non avere paura, sono tua nonna, la mamma del tuo papà, che è morto quando avevi tre anni e che forse non ricordi nemmeno’. La piccolina mi ha risposto con un segno della testa, dicendo di sì. Sorrido a lei contenta e la presento la zia Brenda. Piano piano la bambina di 8 anni si è placata. Le ho tolto i luridi vestiti e le metto un cambio pulito preso dagli altri nipoti. Poi le ho preparto del manzo arrostito e l’ha divorato. Le ho chiesto da quanto tempo non mangiava e mi ha risposto che erano tanti giorni. Queste erano le prime parole che mi ha detto, offrendomi un grande sorriso”.

Brenda mi vuole dare del tè caldo, ma preferisco la mia più “sicura” acqua confezionata e lei riprende suo racconto: “La bambina era contenta di mangiare e si sentiva amata, cosa che prima non avveniva. Si è rivolto a me e mi ha detto: ‘La mia mamma mi ha abbandonato sulla strada statale. Siamo arrivate da Mombasa da dove eravamo partite con la corriera all’alba. Non immaginavo nemmeno quello che mi stava per accadere. Con una motocicletta siamo arrivate sulla statale al punto dove mi ha lasciato. Ha fatto fermare la moto, mi ha messo lo zainetto sulle spalle e mi ha detto: addio, cammina su quel sentiero ed arriverai alla tua nuova casa. Senza darmi un bacio, senza una carezza, è saltata sulla moto ed è fuggita. Mi sono messa ad inseguire la moto gridando: mamma, mamma! Ma niente da fare, la moto è scomparsa all’orizzonte!’”.

«Il vero soldato non combatte perché ha qualcuno davanti a sé che odia, ma il vero motivo per il quale un vero soldato combatte, è perché ha sulle sue spalle qualcuno che ama e per il quale ha senso vivere. Tu, alle tue spalle, hai qualcuno che ami? Jambo! [Ciao in swahili]» (Don Gigi).

Siamo solo ad un anno di distanza da quel fatto raccontato da Malaika. Un anno fa nessuno avrebbe immaginato questa folle guerra scatenata in Europa da Putin. Il gesto di Janet – la sciagurata madre di Malaika – l’anno scorso aveva un sapore assoluto di cattiveria, perché non potevamo paragonarlo al bombardamento di un ospedale pediatrico ucraino. Loro non sanno della guerra in Europa e neppure la possono immaginare. Pensano che la cattiveria di Janet sia assoluta, non conoscendo delle cattiverie peggiori, che noi apprendiamo ogni giorno.

In effetti, la bambina è visibilmente disturbata. La prendo in braccio. Si lascia coccolare e chiedo a Jimmy di tradurre: “Jambo [Ciao], Malaika. Voglio conoscere la tua storia, mi dici qualcosa? È vero quello che ha raccontato la nonna?”. Insisto una seconda volta e Jimmy traduce, lei guarda lontano verso il sentiero. Quando Jimmy propone per la terza volta la domanda, lei scoppia a piangere e corre dalla nonna. Mi sento un orribile stupido. Davanti alla sofferenza tutti rischiamo di essere stupidi, forse perché proprio non la vogliamo o perché ci disgusta. Come davanti a quella oggi in Ucraina, oppure come quella di queste povere capanne del Kenya dimenticato.

Malaika si calma e sua zia Brenda prosegue il racconto: “Don Gigi, devi sapere che alla morte di mio fratello Edward, Janet si è messa con un altro uomo ed ha portato con sé Malaika, che aveva solo tre anni. Per sei anni la bambina ha vissuto letteralmente in schiavitù. Ci ha raccontato che la madre ed il compagno la prendevano a bastonate e ancora oggi, quando qualcuno prende un bastone, lei scappa. Guarda, sulla gamba sinistra ha due cicatrici dovuti alle bastonate e poi pizzicotti. Mangiava insieme ai cagnolini i resti del pasto degli adulti”.

Inorridisco, mentre Brenda continua: “Si alzava alle 5, puliva la squallida casa in affitto, poi accudiva ad un bimbo di 7 mesi, suo fratello da parte di madre e usciva solo per andare al mercato dove veniva caricata di pesi esagerati per una bimba di 5 o 6 anni. Un inferno”.

Incuriosito, domando se la bambina andava a scuola. La donna si fa triste: “Vedi Don Gigi, per imbrogliare lo stato l’hanno iscritta alla scuola, ma ci è andata solo sporadicamente tre o quattro volte l’anno. La piccola non sa né leggere né scrivere e ho dovuto iscriverla nuovamente alla scuola”.

Guardo triste la piccolina, che sta terminando il bellissimo disegno sulla sabbia. Anche lei mi guarda, viene tra le mie braccia e il cuore mi scoppia dalla commozione. Questi abbracci curano l’animo da ferite e lacerazioni provocate da idioti. Idioti dappertutto: in Italia, in Ucraina, ma anche in Kenya. Purtroppo, questa volta li ho incontrato anche qui. Ma lo sguardo e l’abbraccio della piccola mi curano profondamente e mi fanno pace. Chiedo a lei se mi può lasciare un regalo. Corre dalla nonna e le dice: “Nonna, posso prenderti la collanina che hai al collo e che ti ho regalato questa mattina? A te ne faccio un’altra. Voglio regalare questa al Padre”. La nonna se la toglie con un sorriso, la bambina lentamente me la mette al collo e mi dice: “Ricordati di me e non comportarti mai come hanno fatto con me!”.

Miei occhi si riempiono di lacrime. In sella alla motocicletta con Jimmy tocco la collanina e mi dico: finché Dio ci concederà i bambini, la guerra non vincerà sulla bontà. E nel mio cuore la bontà di Malaika oggi ha vinto la guerra di Putin. La bontà delle piccole vittime ucraine vince sul male della guerra. Per fare che questo avvenga, occorre solo pregare. La preghiera e la bontà dei bambini salverà il mondo.

Oggi, a Jacaranda porto a pranzo Santina, Nora, Ramsi, Abraham, Isac e Bendera. Sono ancora bambini, sì, perché la loro bontà mi prepara a rientrare umilmente in una Europa che soffre, avendo toccato Gesù nella gente che soffre in Africa.

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