Papa Francesco: la fraternità è la medicina alla pandemia

Condividi su...

“L’anno 2020 è stato segnato dalla grande crisi globale della pandemia COVID-19, che si è  drammaticamente mutata in crisi sociale ed economica ed ha investito tutti i settori della vita  umana. Nonostante le difficoltà, la Sua azione, Santità, è proseguita incessantemente portando a chi  è nel bisogno e nell’angoscia la consolazione e l’incoraggiamento della Sua parola anche attraverso  il sapiente utilizzo dei mezzi di comunicazione. Malgrado le limitazioni imposte dalla pandemia,  attraverso i media e altro, la Sua guida spirituale non è mai venuta meno. Abbiamo sentito la Sua  presenza molto vicina e la sua preghiera per l’umanità sofferente”.

Con queste parole il decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Georgios F. Poulides, ambasciatore di Cipro presso la Santa Sede, ha rivolto un indirizzo di omaggio a papa Francesco durante l’udienza ai membri del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede per la presentazione degli auguri per il nuovo anno, che era stato rimandato per la sciatalgia di papa Francesco, il quale ha incentrato il discorso sul valore della fraternità, annunciando il viaggio in Iraq:

“Parimenti, è mio desiderio riprendere a breve i Viaggi Apostolici, cominciando con quello in Iraq, previsto nel marzo prossimo. I viaggi costituiscono, infatti, un aspetto importante della sollecitudine del Successore di Pietro per il Popolo di Dio sparso in tutto il mondo, come pure del dialogo della Santa Sede con gli Stati.

Inoltre, essi sono spesso l’occasione propizia per approfondire, in spirito di condivisione e di dialogo, il rapporto tra religioni diverse. Nel nostro tempo, il dialogo interreligioso è una componente importante nell’incontro fra popoli e culture.

Quando è inteso non come rinuncia alla propria identità, ma come occasione di maggiore conoscenza e arricchimento reciproco, esso costituisce un’opportunità per i leader religiosi e per i fedeli delle varie confessioni e può sostenere l’opera dei leader politici nella loro responsabilità di edificare il bene comune”.

Il papa ha sottolineato che la pandemia ha messo in crisi lo stile di vita attuale: “Fin dall’inizio è parso infatti evidente che la pandemia avrebbe inciso notevolmente sullo stile di vita cui eravamo abituati, facendo venire meno comodità e certezze consolidate.

Essa ci ha messo in crisi, mostrandoci il volto di un mondo malato non solo a causa del virus, ma anche nell’ambiente, nei processi economici e politici, e più ancora nei rapporti umani.

Ha messo in luce i rischi e le conseguenze di un modo di vivere dominato da egoismo e cultura dello scarto e ci ha posto davanti un’alternativa: continuare sulla strada finora percorsa o intraprendere un nuovo cammino”.

Per il papa la pandemia ha dimostrato che nessuno è un’isola: “E’ poi indispensabile che i notevoli progressi medici e scientifici compiuti nel corso degli anni, i quali hanno permesso di sintetizzare in tempi assai brevi vaccini che si prospettano efficaci contro il coronavirus, vadano a beneficio di tutta quanta l’umanità.

Esorto pertanto tutti gli Stati a contribuire attivamente alle iniziative internazionali volte ad assicurare una distribuzione equa dei vaccini, non secondo criteri puramente economici, ma tenendo conto delle necessità di tutti, specialmente di quelle delle popolazioni più bisognose”.

Ed ha chiesto l’accessibilità a tutti dei vaccini: “Ad ogni modo, davanti a un nemico subdolo e imprevedibile qual è il Covid-19, l’accessibilità dei vaccini deve essere sempre accompagnata da comportamenti personali responsabili tesi a impedire il diffondersi della malattia, attraverso le necessarie misure di prevenzione a cui ci siamo ormai abituati in questi mesi.

Sarebbe fatale riporre la fiducia solo nel vaccino, quasi fosse una panacea che esime dal costante impegno del singolo per la salute propria e altrui”.

Inoltre la crisi pandemica ha provocato una crisi economica e sociale: “La chiusura dei confini a causa della pandemia, unitamente alla crisi economica, ha accentuato anche diverse emergenze umanitarie, tanto nelle zone di conflitto quanto nelle regioni colpite dal cambiamento climatico e dalla siccità, nonché nei campi per rifugiati e migranti.

Penso particolarmente al Sudan, dove si sono rifugiate migliaia di persone in fuga dalla regione del Tigray, come pure ad altri Paesi dell’Africa sub-sahariana, o alla regione di Cabo Delgado in Mozambico, dove tanti sono state costretti ad abbandonare il proprio territorio e si trovano ora in condizioni assai precarie.

Il mio pensiero va pure allo Yemen e alla all’amata Siria, dove, oltre ad altre gravi emergenze, l’insicurezza alimentare affligge gran parte della popolazione e i bambini sono stremati dalla malnutrizione”.

Uno sguardo particolare è stato posto sulla condizione dei migranti: “Lo scorso anno ha visto pure un ulteriore aumento dei migranti, i quali, complice la chiusura dei confini, sono dovuti ricorrere a percorsi sempre più pericolosi.

Il flusso massiccio ha peraltro incontrato una crescita del numero dei respingimenti illegali, spesso attuati per impedire ai migranti di chiedere asilo, in violazione del principio di non-respingimento (non-refoulement).

Molti vengono intercettati e rimpatriati in campi di raccolta e di detenzione, dove subiscono torture e violazioni dei diritti umani, quando non trovano la morte attraversando mari e altri confini naturali”.

Ed ha sollecitato i ‘corridoi umanitari’: “I corridoi umanitari, implementati nel corso degli ultimi anni, contribuiscono certamente ad affrontare alcune delle suddette problematiche, salvando numerose vite.

Tuttavia, la portata della crisi rende sempre più urgente affrontare alla radice le cause che spingono a migrare, come pure esige uno sforzo comune per sostenere i Paesi di prima accoglienza, che si fanno carico dell’obbligo morale di salvare vite umane.

Al riguardo, si attende con interesse la negoziazione del Nuovo Patto dell’Unione Europea sulla migrazione e l’asilo, pur osservando che politiche e meccanismi concreti non funzioneranno se non saranno sostenuti dalla necessaria volontà politica e dall’impegno di tutte le parti in causa, compresi la società civile e i migranti stessi”.

Per questo il papa ha auspicato pace in Terra Santa: “La fiducia reciproca fra Israeliani e Palestinesi deve essere la base per un rinnovato e risolutivo dialogo diretto tra le Parti per risolvere un conflitto che perdura da troppo tempo.

Invito la Comunità internazionale a sostenere e a facilitare tale dialogo diretto, senza pretendere di dettare soluzioni che non abbiano come orizzonte il bene di tutti. Palestinesi e Israeliani, ne sono certo, nutrono entrambi il desiderio di poter vivere in pace”.

E pace per il Medio Oriente, la cui presenza cristiana è indispensabile: “Parimenti, auspico un rinnovato impegno politico nazionale e internazionale per favorire la stabilità del Libano, che è attraversato da una crisi interna e rischia di perdere la sua identità e di trovarsi ancor più coinvolto nelle tensioni regionali.

E’ quanto mai necessario che il Paese mantenga la sua identità unica, anche per assicurare un Medio Oriente plurale, tollerante e diversificato, nel quale la presenza cristiana possa offrire il proprio contributo e non sia ridotta a una minoranza da proteggere.

I cristiani costituiscono il tessuto connettivo storico e sociale del Libano e ad essi, attraverso le molteplici opere educative, sanitarie e caritative, va assicurata la possibilità di continuare a operare per il bene del Paese, del quale sono stati fondatori.

Indebolire la comunità cristiana rischia di distruggere l’equilibrio interno e la stessa realtà libanese. In quest’ottica va affrontata anche la presenza dei profughi siriani e palestinesi.

Inoltre, senza un urgente processo di ripresa economica e di ricostruzione, si rischia il fallimento del Paese, con la possibile conseguenza di pericolose derive fondamentaliste”.

Pace è stata auspicata anche per la Libia: “Pace auspico pure per la Libia, anch’essa lacerata da un ormai lungo conflitto, con la speranza che il recente ‘Forum del dialogo politico libico’, tenutosi in Tunisia nel novembre scorso sotto l’egida delle Nazioni Unite, consenta effettivamente l’avvio dell’atteso processo di riconciliazione del Paese”.

Inoltre il papa ha evidenziato anche le situazioni di altre zone del mondo: “Preoccupazione destano pure altre aree del mondo. Mi riferisco in primo luogo alle tensioni politiche e sociali nella Repubblica Centrafricana; come pure a quelle che interessano in generale l’America Latina, le quali hanno radici nelle profonde disuguaglianze, nelle ingiustizie e nella povertà, che offendono la dignità delle persone.

Parimenti, seguo con particolare attenzione il deterioramento dei rapporti nella Penisola coreana, culminato con la distruzione dell’ufficio di collegamento inter-coreano a Kaesong; e inoltre la situazione nel Caucaso meridionale, dove permangono diversi conflitti congelati, alcuni riaccesisi nel corso dell’anno passato, che minano la stabilità e la sicurezza dell’intera regione”.

Non poteva mancare il riferimento all’emergenza educativa: “Inoltre, l’aumento della didattica a distanza ha comportato pure una maggiore dipendenza dei bambini e degli adolescenti da internet e in genere da forme di comunicazione virtuali, rendendoli peraltro più vulnerabili e sovraesposti alle attività criminali online.

Assistiamo a una sorta di ‘catastrofe educativa’. Vorrei ripeterlo: assistiamo a una sorta di ‘catastrofe educativa’, davanti alla quale non si può rimanere inerti, per il bene delle future generazioni e dell’intera società…  

Tuttavia, non tutti hanno potuto vivere con serenità nella propria casa e alcune convivenze sono degenerate in violenze domestiche.

Esorto tutti, autorità pubbliche e società civile, a supportare le vittime della violenza nella famiglia: sappiamo purtroppo che sono le donne, sovente insieme ai loro figli, a pagare il prezzo più alto”.

Infine, citando Dante Alighieri, il papa ha sottolineato il valore della libertà, specialmente quella religiosa: “Le esigenze di contenere la diffusione del virus hanno avuto ramificazioni anche su diverse libertà fondamentali, inclusa la libertà di religione, limitando il culto e le attività educative e caritative delle comunità di fede.

Non bisogna tuttavia trascurare che la dimensione religiosa costituisce un aspetto fondamentale della personalità umana e della società, che non può essere obliterato; e che, nonostante si stia cercando di proteggere le vite umane dalla diffusione del virus, non si può ritenere la dimensione spirituale e morale della persona come secondaria rispetto alla salute fisica.

La libertà di culto non costituisce peraltro un corollario della libertà di riunione, ma deriva essenzialmente dal diritto alla libertà religiosa, che è il primo e fondamentale diritto umano.

E’ dunque necessario che essa venga rispettata, protetta e difesa dalle Autorità civili, come la salute e l’integrità fisica. D’altronde, una buona cura del corpo non può mai prescindere dalla cura dell’anima”.

(Foto: Santa Sede)

151.11.48.50