I paradossi del cattolicesimo borghese (2). Grazia e natura: una lezione non compresa!
Per un momento chiediamoci : «Che cosa è la grazia?». Senza fare il resoconto delle risposte che la chiesa, nel corso dei secoli, ha dato, possiamo definire la grazia, dal punto di vista antropologico, come il naturale desiderio di vedere Dio. Essendo questo, come ha sottolineato il grande teologo de Lubac ormai più di sessanta anni fa, un desiderio proprio di ogni uomo, un desiderio, cioè, che è inscritto nella natura di ogni uomo, la grazia è data a tutti.
Questa semplice affermazione ha una portata teologica straordinaria e per questo quando venne evidenziata dal noto gesuita francese attirò asprissime critiche. Per comprendere le implicazioni di questa definizione facciamo delle domande: «Perché, se la grazia è universale, alcuni sono cristiani e altri no? Perché, nella chiesa, dopo anni di discernimento, alcuni sono consacrati ministri e altri no? A cosa serve il discernimento vocazionale?».
Il problema che sta dietro a queste domande sta nel fatto che noi pensiamo e agiamo “secondo gli uomini e non secondo Dio”. Dio da’ a tutti la grazia senza distinzioni, senza discriminazioni, senza porre barriere, senza escludere nessuno. Egli ha creato e voluto l’uomo inscrivendo nella sua natura il desiderio di vederlo. L’uomo è, pertanto, capace di entrare in relazione con Lui: questa è la sua natura.
Come può Dio, che è amore, dare la grazia ad alcuni e ad altri no? La Sacra Scrittura ci attesta, tanto nel Primo Testamento quanto nel Secondo Testamento, che non esiste una natura umana perfetta ma c’è una natura umana, sempre imperfetta davanti a Dio, che viene raggiunta dalla sua misericordia e viene trasformata. Dio da’ la grazia ad ogni uomo non per i suoi meriti ma a motivo del suo sovrabbondante amore.
Per Dio esistono uomini che sono stati raggiunti dalla sua benevolenza e l’hanno accolta e uomini che non l’hanno accolta. A quest’ultimi egli non toglie la sua grazia, non elimina il suo amore ma attende. Il Dio di Gesù Cristo, come mostra più nota della parabole evangeliche (Lc 15), è un Dio che pazientemente sa attendere anche se suo figlio si è perso nella ricerca della felicità.
Così, anche a livello vocazionale, come si può credere che ci siano uomini particolarmente meritori tanto da essere consacrati sacerdoti e altri no? Ecco perché un certo discernimento vocazionale non genererà mai un rinnovato ministero ordinato. Infatti se non si parte dal punto fermo della gratuità della grazia, il discernimento sarà sempre sulle capacità e sulla maturità che il candidato al sacerdozio possiede o no. Gesù ha scelto Pietro come apostolo perché era migliore di altri?
Il rischio che si corre è un implicito pelagianesimo, credere cioè che se si ha una determinata umanità si può accedere al sacramento dell’Ordine. “Non può essere contro natura ciò che viene dalla volontà di Dio perché la sua volontà è la natura di ogni essere creato”: così afferma Agostino in La città di Dio.
Amaramente occorre constatare che la lezione di de Lubac, a distanza di molti decenni, non è stata ancora compresa. Dovremmo come singoli e come comunità imparare a ragionare e agire a partire dal primato della grazia che è capace di convertire il cuore di ogni uomo. Se credessimo di più in Dio, nel fatto che Egli sa fare bene il suo “mestiere”, forse certe storture nella Chiesa non esisterebbero!
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