Giacomo Pigni racconta l’abitare nella città con lo stile dell’Azione Cattolica
Nell’anniversario della festa della Repubblica il presidente Sergio Mattarella visitò Codogno per commemorare i cittadini morti per la pandemia del Covid 19 ricordando le onorificenze assegnate al merito della Repubblica: “Siamo stati testimoni di migliaia di gesti solidali, coraggiosi, di testimonianze di altruismo, di abnegazione e spesso di felice inventiva nell’aiuto a chi ne aveva bisogno. Si è manifestato un patrimonio morale presente nel nostro Paese, spesso sommerso, che va esaltato, che va posto a frutto. E’ il sommerso del bene. Che va fatto affiorare, va fatto prevalere, affinché caratterizzi in modo positivo la ricostruzione che attende la nostra società”.
Tra i nuovi ‘cavalieri’ c’è anche Giacomo Pigni (classe 1995), aderente all’Azione Cattolica ambrosiana e volontario dell’Auser Ticino-Olona, che ha coinvolto studenti che hanno iniziato a fare chiamate di ascolto per dare compagnia alle persone sole, a cui abbiamo chiesto cosa significa per lui essere cavaliere della repubblica:
“Teoricamente è un riconoscimento dato a chi con le sue azioni ha reso onore o merito alla Repubblica. Per me rappresenta un grandissimo monito a meritarsi questo riconoscimento con un continuo impegno al servizio della comunità. Penso che la scelta del Presidente della Repubblica di premiare storie come la mia vada letta come simbolica e volta ad indicare un modo, tra i tantissimi, per servire il proprio paese”.
Perché hai scelto questo ‘progetto’?
“Mi è venuto spontaneo. Era un bisogno reale del territorio. In questo ho riconosciuto subito lo spirito appreso in Azione Cattolica, dove ho scoperto quanto sia bello e naturale sentire il dovere di fare cose semplici. E’ importante stare dentro una comunità con uno spirito di appartenenza. Quel bisogno, quella domanda interpellava proprio me. Auser è un’associazione di volontari, persone anziane, che aiutano a loro volta ultra-ottantenni della zona.
L’obiettivo è di coinvolgere anziani, pensionati, ancora in salute, per sostenere chi è in casa o è malato. In quei mesi di pandemia i volontari erano proprio i soggetti più a rischio, che non potevano essere esposti a un pericolo così grande. Così, insieme ad altri amici, ho cominciato a creare una rete di volontari giovani per sostituire quelli rimasti bloccati a causa delle restrizioni. Siamo stati 30 giovani in tutto che garantivamo servizio di chiamate con frequenza settimanale e servizio spesa, anche con il supporto della Protezione Civile”.
Quale è stato il motivo per cui ha scelto di impegnarsi nella città?
“Non vi è un motivo particolare. Vi è un bisogno a volere impiegare buona parte del mio tempo in questo modo. Ho quasi l’ansia di perdere tempo senza poter lasciare un segno. E’ questa probabilmente la necessità di ricercare un senso. Ritengo che sia innaturale non interessarsi al luogo in cui si vive perché vi è un legame inscindibile tra gli abitanti di un luogo e il luogo stesso. Negare questo legame fa star male entrambi i soggetti, sia gli abitanti che il luogo”.
Perché occorre fare esperienza di volontariato?
“E’ un’opportunità per conoscere le persone, il territorio in cui si vive e capire meglio anche se stesso. Nessuno si salva da solo, come dice papa Francesco. Il volontariato aiuta a entrare in questa mentalità”.
Come aderente di Azione Cattolica in quale modo è possibile stare dentro la storia?
“Come dicevo prima penso che nella storia si debba stare cercando di lasciare un segno, ‘la propria impronta sul mondo’. Bisogna capire la natura di questo segno. E’ ovvio che mi riferisco ad un’impronta positiva sul mondo, un’impronta che parta da un giusto protagonismo (posso fare qualcosa…) e sia rivolta ad un ‘noi’ più importante (…per gli altri)”.
Dopo questa pandemia come ricostruire le relazioni?
“Penso che si debba partire dal senso di solitudine che abbiamo provato ancora di più durante il lock-down.E’ vero che è c’è forse più paura dell’altro ma allo stesso tempo l’essere isolati nelle proprie case ha forse accesso nella mente di qualcuno che l’altro è importante in quanto mi definisce, senza di lui non so chi sono io. E’ questa la relazione definita nella sua essenzialità. Per ricostruire le relazioni serve concretamente darsi da fare, creare spazi di incontro di ogni tipo e natura, avere pazienza e lottare contro chi mette l’io prima del noi”.
In questa situazione quale è il ‘compito’ dell’Azione Cattolica?
“Il compito della AC è quello di darsi da fare per portare con più forza nella società i suoi pilastri: preghiera, condivisione e servizio. Sembra una banalità ma non lo è per via delle relazioni che stanno dietro a questi pilastri. La prima è quella con Dio, la più complicata e la più essenziale, quella che ti ricorda la necessità di affidarsi e di fidarsi. La seconda è quella con gli altri che, come dicevo prima, è fondamentale per definire sé stessi. La terza è quella per gli altri che dà senso alla propria vita”.
(Foto: Azione Cattolica Milano)