Il papa chiede di essere profeti di Gesù
Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, celebrata nella basilica di san Pietro, papa Francesco ha benedetto i palli che sono conferiti al Decano del Collegio cardinalizio e agli Arcivescovi Metropoliti nominati nel corso dell’anno. Il Pallio verrà poi imposto a ciascun Arcivescovo Metropolita dal Rappresentante Pontificio nella rispettiva Sede Metropolitana. Dopo il rito di benedizione dei Palli, il papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con i cardinali dell’Ordine dei Vescovi e l’Arciprete della Basilica Papale di San Pietro, il card. Angelo Comastri, consegnando due parole distintive di questi due apostoli: unità e profezia.
La prima parola sottolineata nell’omelia è l’unità: “Celebriamo insieme due figure molto diverse: Pietro era un pescatore che passava le giornate tra i remi e le reti, Paolo un colto fariseo che insegnava nelle sinagoghe. Quando andarono in missione, Pietro si rivolse ai giudei, Paolo ai pagani. E quando le loro strade si incrociarono, discussero in modo animato, come Paolo non si vergogna di raccontare in una lettera.
Erano insomma due persone tra le più differenti, ma si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, dove spesso si discute ma sempre ci si ama. Però la familiarità che li legava non veniva da inclinazioni naturali, ma dal Signore. Egli non ci ha comandato di piacerci, ma di amarci. E’ Lui che ci unisce, senza uniformarci”.
Il papa ha tratto spunto dalla prima lettura per narrare come ha affrontato la persecuzione la comunità di Gerusalemme: “Dalla preghiera attingono coraggio, dalla preghiera viene un’unità più forte di qualsiasi minaccia. Il testo dice che ‘mentre Pietro era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui’. L’unità è un principio che si attiva con la preghiera, perché la preghiera permette allo Spirito Santo di intervenire, di aprire alla speranza, di accorciare le distanze, di tenerci insieme nelle difficoltà”.
La preghiera costituisce l’unità: “Dio si attende che quando preghiamo ci ricordiamo anche di chi non la pensa come noi, di chi ci ha chiuso la porta in faccia, di chi fatichiamo a perdonare. Solo la preghiera scioglie le catene, solo la preghiera spiana la via all’unità”.
La consegna dei palli ricorda l’unità delle Chiese: “Il pallio ricorda l’unità tra le pecore e il Pastore che, come Gesù, si carica la pecorella sulle spalle per non separarsene mai. Oggi poi, secondo una bella tradizione, ci uniamo in modo speciale al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Pietro e Andrea erano fratelli e noi, quando possibile, ci scambiamo visite fraterne nelle rispettive festività: non tanto per gentilezza, ma per camminare insieme verso la meta che il Signore ci indica: la piena unità”.
La seconda parola riguarda la profezia: “Oggi abbiamo bisogno di profezia, di profezia vera: non di parolai che promettono l’impossibile, ma di testimonianze che il Vangelo è possibile. Non servono manifestazioni miracolose, ma vite che manifestano il miracolo dell’amore di Dio. Non potenza, ma coerenza. Non parole, ma preghiera. Non proclami, ma servizio. Non teoria, ma testimonianza.
Non abbiamo bisogno di essere ricchi, ma di amare i poveri; non di guadagnare per noi, ma di spenderci per gli altri; non del consenso del mondo, ma della gioia per il mondo che verrà; non di progetti pastorali efficienti, ma di pastori che offrono la vita: di innamorati di Dio. Così Pietro e Paolo hanno annunciato Gesù, da innamorati”.
Il papa ha concluso l’omelia sottolineando che a tutti è stato dato il dono della profezia, trasformandoci nel nome: “Anche per noi c’è una profezia simile. Si trova nell’ultimo libro della Bibbia, dove Gesù promette ai suoi testimoni fedeli ‘una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo’.
Come il Signore ha trasformato Simone in Pietro, così chiama ciascuno di noi, per farci pietre vive con cui costruire una Chiesa e un’umanità rinnovate. C’è sempre chi distrugge l’unità e chi spegne la profezia, ma il Signore crede in noi e chiede a te: ‘Vuoi essere costruttore di unità? Vuoi essere profeta del mio cielo sulla terra?’. Lasciamoci provocare da Gesù e troviamo il coraggio di dirgli: Sì, lo voglio!”.
Durante l’Angelus papa Francesco ha invitato i fedeli ad affidare la vita a Dio, perché essa è dono: “Così può finalmente darci la grazia più grande, quella di donare la vita. Sì, donare la vita. La cosa più importante della vita è fare della vita un dono.
E questo vale per tutti: per i genitori verso i figli e per i figli verso i genitori anziani. E qui mi vengono in mente tanti anziani, che sono lasciati soli dalla famiglia, come se fossero materiale di scarto. E questo è un dramma dei nostri tempi: la solitudine degli anziani. La vita dei figli e dei nipoti non si fa dono per gli anziani.
Farci dono per chi è sposato e per chi è consacrato; vale ovunque, a casa e al lavoro, e verso chiunque abbiamo vicino. Dio desidera farci crescere nel dono: solo così diventiamo grandi. Noi cresciamo se ci doniamo agli altri. Guardiamo a san Pietro: non è diventato un eroe per essere stato liberato dal carcere, ma per aver dato la vita qui. Il suo dono ha trasformato un luogo di esecuzioni nel bel luogo di speranza in cui ci troviamo”.
(Foto: Vatican Media)