La lingua delle curie è diversa da quella degli altri mortali. Tradotto dal latinorum: bastone e carota

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Proseguo la riflessione sulla relazione tra Chiesa e Stato in Italia in tempo di Coronavirus, condividendo due articoli (di Massimo Franco sul Corriere della Sera e Renato Farina su Libero), che in sostanza confermano le mie stesse notizie. Inoltre, faccio seguire un’intervista di Marco Tosatti per Stilum Curiae con l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò.
In realtà nella Chiesa in Italia e nel Governo dell’Italia siamo a una sorta di dispotismo rapsodico.

“C’è sempre una ragione di speranza, se si ha uno sguardo soprannaturale. Anzitutto questa epidemia ha fatto cadere molte maschere: quelle dei veri poteri, delle lobby internazionali che brevettano un virus e si apprestano a brevettarne anche il vaccino, e allo stesso tempo spingono perché sia imposto a tutti, in un clamoroso conflitto di interessi. Almeno, adesso, sappiamo chi sono e che faccia hanno” (Arcivescovo Carlo Maria Viganò).

“Renzi lo accusa senza mezzi termini di calpestare la Costituzione. Zingaretti si smarca dai suoi decreti, considerati sbagliati per le sorti del Paese. Domanda: se davvero la democrazia è in pericolo che cosa aspettano a buttarlo giù?” (Maurizio Belpietro).

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Coronavirus, una telefonata alla residenza papale a Casa Santa Marta: così il premier Conte ha «disarmato» la Cei
Le parole del Papa alla messa di ieri mattina: «Obbedienza alle disposizioni per fermare il virus». Smentita la linea dei vescovi sulle messe
di Massimo Franco
Corriere della Sera, 28 aprile 2020

Viene sempre più da chiedersi se lo scontro sia davvero tra il governo, e il Vaticano e i vescovi italiani; oppure se la dialettica a volte aspra con Palazzo Chigi non rifletta le contraddizioni e la strategia ondivaga di una Chiesa cattolica disorientata fin dall’inizio della pandemia; e alla ricerca di una linea chiara al proprio interno. Il tema è delicato, perché comporta un’analisi dei rapporti tra Francesco e la Cei.
E induce a pensare che alcune posizioni dell’episcopato siano nate dallo sforzo di interpretare il più fedelmente possibile le intenzioni del Pontefice: tranne poi essere corrette o perfino smentite nello spazio di poche ore. Anche se ieri sera, da fonti accreditate, è circolata la voce secondo la quale lunedì, poche ore dopo la dura presa di posizione della Conferenza episcopale contro le misure del governo nella fase 2, ci sarebbe stato una telefonata tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Casa Santa Marta, residenza papale dentro il Vaticano.
Da lì sarebbero nate l’ipotesi di «un protocollo per svolgere le messe in sicurezza», all’aperto, dall’11 maggio; e la presa di posizione di Francesco che ieri mattina, poco prima della messa a Santa Marta, ha scolpito poche parole suonate come appoggio al governo e frenata, se non sconfessione, delle critiche della Cei. «Preghiamo il Signore», ha detto, « perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni». Parole di grande responsabilità, accolte tuttavia con una punta di imbarazzo e di sorpresa ai vertici della Chiesa italiana. Ma non è la prima volta che succede. Già a metà marzo, quando il cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, aveva deciso dopo essersi consultato con il Papa di chiudere le chiese romane. Neanche un giorno dopo, quella decisione era stata disdetta da Francesco, che aveva spinto De Donatis a emanare un nuovo decreto, opposto al primo.
La processione solitaria del Pontefice
Il 15 marzo, un Pontefice solitario, attorniato dalla scorta — tutti senza mascherina protettiva —, aveva raggiunto a piedi la chiesa di San Marcellino in via del Corso per sostare davanti al Crocifisso ligneo del quindicesimo secolo portato in processione per sedici giorni, dal 4 al 20 agosto del 1552 per le vie di Roma, per esorcizzare la peste che infuriava in città. E questo avveniva mentre in interviste pubbliche e con comunicati ufficiali i vertici della Cei spiegavano da giorni perché fosse giusto chiudere le chiese e sospendere messe, matrimoni e funerali; e mentre Palazzo Chigi diffondeva, compiaciuto, la notizia del Papa che invitava a pregare per le autorità «spesso sole, non capite»; e che nella messa mattutina nella sua residenza a Casa Santa Marta aveva difeso alcune misure «che non piacciono al popolo. Ma è per il nostro bene». Tra ieri e oggi è accaduto qualcosa di simile. Una decina di giorni fa, a Casa Santa Marta, Francesco aveva detto che la Chiesa rischiava di essere « viralizzata» dal coronavirus. «Questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre».

La retromarcia. Chiese riaperte
Restare a Palazzo Chigi val bene una messa
Conte aveva stretto un accordo per far riaprire le chiese, ma se l’è rimangiato
Senza il benestare vaticano però rischierebbe il posto, quindi tornerà sui suoi passi
di Renato Farina
Libero, 29 aprile 2020

Vaticano, ieri mattina, 7 in punto, all’inizio della sua messa privata, “vista” da un milione e settecentomila fedeli, Franciscus dixit : “In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni”. Disposizioni di chi? Del governo, ovvio. Cioè: Viva Conte! Appena 35 ore prima la Conferenza episcopale italiana (Cei) aveva praticamente scomunicato il governo con un comunicato intitolato: “Il disaccordo dei Vescovi”. Vi si poteva leggere: “Il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri varato questa sera esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo. I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”. Cioè: abbasso Conte.
In effetti Giuseppe Conte si era palesato, alle 20 e 20 di domenica scorsa, intimando: “Questa messa non s’ha da fare, né domani né mai”. Li riteneva parte della confraternita di don Abbondio? Può essere. Del resto il silenzio accondiscendente di fronte all’atto di forza del carabiniere che in nome dello Stato, a Soncino (Cremona), era salito all’altare per bloccare il vecchio prete, la diceva lunga. Se accetti quello, ti va bene tutto, cara millenaria Chiesa di Roma. Invece la Cei si è raddrizzata con un colpo di reni, e ha reagito. Si aspettava l’ovvio sostegno del vescovo di Roma ai colleghi italici. E che fa il Papa ieri? Cambia spartito! Ha delegittimato i suoi vescovi di cui è il Primate? Confusione generale. Inevitabile.
Nella comunicazione di massa vale il sì sì, no no evangelico. E al no no dei vescovi alle disposizioni di Conte, il Papa ha replicato con un sì sì. Insomma, la sintesi umanamente parlando è: boh. In realtà la lingua delle curie è diversa da quella degli altri mortali. Poche ore dopo la Cei è tornata sulla scia di Bergoglio, con serenità assoluta: “La parola del Papa è decisiva e opportuna. Nessuno strappo con il governo”. Traduco dal latinorum: bastone e carota. Conte è cucinato, senza scandali, lacerazioni, rotture, è tornato puro come un giglio. Ha capito l’antifona e si è adeguato. Darà la messa, se non la dà, è morto.
Lo zig zag è per la diplomazia ecclesiastica come lo slalom per Gustavo Thoeni: la sua specialità olimpica. Vince aggirando le bandierine, invece di inforcarle per la precipitazione. Il salvataggio di Conte, attuato con il singhiozzo, il ti-butto da parte dei vescovi e il ti-tengo da parte del Papa, assicura la devozione dell’avvocato degli italiani, e d’ora in poi anche della Chiesa, da qui all’eternità. Il problema è che ci toccherà tenercelo.
Buone fonti, oltre che una certa pratica di vita nei citati ambienti, raccontano infatti questa storia. Proviamo a illustrarla, al seguito del titolo, il quale a sua volta parafrasa il motto di Enrico di Navarra. Costui era protestante, pur di diventare re di Francia con il titolo di Enrico IV, si fece cattolico. Disse: “Parigi val bene una messa”. Sottomise la sua coscienza al trono (1593), meritando le reprimende postume di Benedetto Croce. Il nostro peraltro modestissimo Enrico IV è, come si sarà capito, Giuseppe Conte. Il quale, pur di tenersi Palazzo Chigi si è fatto cattolicissimo, alzerà il ponte levatoio, e consentirà il ritorno in patria delle messe pubbliche bandite l’8 marzo. Non gli restava che afferrare il salvagente prima di annegare.
Dopo l’intemerata perentoria della Cei e il durissimo editoriale di Marco Tarquinio (“grave errore”) su Avvenire.it, già domenica notte e poi lunedì, Conte ha interpellato e fatto mea culpa con prelati e cardinali, su su fino a molto vicino al Papa, pur di non vedersi scappare, di sotto le ben stirate ma tremanti terga, il suo seggiolone di premier. Ha garantito alla Segreteria di Stato e quindi alla Conferenza episcopale la retromarcia a tutto gas dell’esecutivo. Sostenendo di aver dovuto cedere alle pressioni compatte di estrema sinistra e “cattolici adulti”, inaspettatamente uniti nel divieto. Rimedio – ha giurato -, aggiusto, lasciatemi lo spazio temporale e morale per non fare la figura di chi ha ceduto di schianto come il ponte Morandi all’urto clericale. Il Papa che ha un fiuto e una prontezza di riflessi micidiale, gli ha rinnovato al volo la patente di guida.
La sostanza è pertanto questa. Christus vincit, o qualcosa del genere, come sul Ponte Milvio. Nonostante tutti i suoi guai, la secolarizzazione, le lotte tra fazioni, chi in Italia ha ancora potere è proprio la Chiesa. Quando i vescovi e il Papa sono uniti e attaccano, oppure si dividono tatticamente, per raggiungere il medesimo scopo, o ti adegui o sloggi. Impossibile reggere per qualunque governo, se ce li hai contro. E Giuseppe Conte ha avuto una fifa blu, lunedì notte. Sapeva di essere in torto. Aveva tradito il patto. Per la fase 2, aveva promesso ai vescovi e al Vaticano di riaprire le messe per il popolo. C’era stata una serrata trattativa, nelle settimane precedenti. Infine l’accordo c’era, con tutte le dovute mascherine, i guanti, le distanze sociali, la particola deposta dalle dita protette del sacerdote sulla palma coperta del fedele, lasciandola cadere senza contatti neppure di plastica. Addirittura l’obbligo di prenotazione e posto nominale chiesa per chiesa, ovviamente solo le più grandi, per internet o per telefono, come allo stadio. Otto messe festive per disperdere il gregge ed evitare rischi. Fattibile? Fattibilissimo. Le parrocchie sono all’avanguardia nel web, se non altro per portare da mangiare alle famiglie dei poveri, ciascuna ha il suo catalogo. Era stato compilato per tranquillizzare i tecnici alla Cagliostro, favorevoli alle tabaccherie ma ostili alle sagrestie, un piano di 13 pagine, preciso al millimetro, da mettere in fuga non solo il Covid-19, ma anche i suoi successori numero 20 e 21. Ok ha detto Conte, giurin giuretta, come si spergiura all’oratorio. E la ministra dell’interno Luciana Lamorgese l’aveva confermato in modo altisonante su Avvenire il sì, due giorni prima del fatale no. Un no che è stato non solo perentorio, ma irridente. Dire di sì ai funerali preferibilmente all’aperto per 15 parenti, nel numero spiritoso dei pirati dell’Isola del tesoro sulla cassa del morto, ha passato il segno. Da qui i toni inusitati dei vescovi. Pare che a pronunciare il no siano stati l’ultrasinistro, pupillo del Quirinale e di Avvenire, Roberto Speranza, e il cattolico ex dc Dario Franceschini, ministro della cultura, il quale avrebbe obiettato: “E allora perché no ai concerti rock?”.
Conte ha avuto paura di cascare giù dalla sedia damascata di Palazzo Chigi e di scivolare come una slavina di budino fino alle sue antiche consuetudini.
Possibile che freghi ancora i vescovi (e il Papa)? Se così fosse, Francesco che è impulsivo ma assai “furbo” (come ha detto di sé), lo disarcionerebbe con due parole bene aggiustate, dopo averlo ieri incollato alla sella.
Tranquilli però, Palazzo Chigi val bene una messa.

Intervista a Viganò: Conte, delirio di onnipotenza indecoroso. E illegale
di Marco Tosatti
Stilum Curiae, 29 aprile 2020

Oggi vi offriamo un’intervista con l’arcivescovo Carlo Maria Viganò. Che tocca tutti i temi principali del momento che stiamo vivendo Italia e nella Chiesa.  Pensiamo di dover ringraziare l’arcivescovo per la franchezza e il coraggio con cui ha espresso opinioni che molte persone condividono, e timori che molti vivono. L’intervista esce il 29 aprile, memoria di Santa Caterina da Siena.

Eccellenza, l’ultimo Decreto del Presidente Giuseppe Conte ha disatteso le speranze della CEI e protratto il lockdown delle Messe in tutta Italia. Alcuni canonisti ed esperti di diritto concordatario hanno espresso molte riserve sul comportamento del Governo. Qual è il suo pensiero al riguardo?
Il Concordato tra la Santa Sede e lo Stato Italiano riconosce alla Chiesa, come suo diritto nativo, la piena libertà e autonomia nello svolgimento del proprio Ministero, che vede nella celebrazione della Santa Messa e nell’amministrazione dei Sacramenti la propria espressione sociale e pubblica, in cui nessuna autorità può interferire, nemmeno con il consenso della stessa Autorità ecclesiastica, la quale non è padrona ma amministratrice della Grazia veicolata dai Sacramenti.
La giurisdizione sui luoghi di culto spetta quindi in toto ed esclusivamente all’Ordinario del luogo, che decide in piena autonomia, per il bene delle anime affidate alle sue cure di Pastore, le funzioni che ivi si celebrano e da chi debbano essere celebrate. Non spetta al Primo Ministro autorizzare l’accesso alle chiese, né tantomeno legiferare su cosa possa o non possa fare il fedele o il Ministro del culto.
Al di là di questo, sono molto autorevoli i pronunciamenti di eminenti giuristi e magistrati – anche della Suprema Corte – che eccepiscono sulla legittimità di legiferare per il tramite di Decreti del Presidente del Consiglio, con i quali sono violati i diritti superiori e prevalenti garantiti dalla Costituzione della Repubblica Italiana. Anche se non stessimo parlando della Religione Cattolica, particolarmente tutelata dal suo status speciale, la sospensione del diritto alla libertà di culto implicato dai Decreti del Primo Ministro è chiaramente illegittima, e confido che vi sarà chi vorrà dichiararlo ufficialmente, ponendo fine a questo indecoroso delirio d’onnipotenza dell’Autorità civile non solo dinanzi a Dio e alla Sua Chiesa, ma anche nei confronti dei fedeli e dei cittadini.

Molti fedeli e sacerdoti si sono sentiti abbandonati e poco tutelati dalla Conferenza Episcopale e dai Vescovi.
Occorre precisare, a scanso di equivoci, che la Conferenza Episcopale non ha alcuna autorità sui Vescovi, i quali hanno piena giurisdizione nella propria Diocesi, in unione con la Sede Apostolica. E questo è ancor più importante nel momento in cui abbiamo compreso quanto la CEI sia fin troppo accondiscendente, anzi succube, nei riguardi del Governo italiano.
I Vescovi non devono aspettare che un organismo senza alcuna giurisdizione dica loro cosa fare: spetta a loro decidere come comportarsi, con prudenza e saggezza, per garantire ai fedeli i Sacramenti e la celebrazione della Messa. E lo possono fare senza dover chiedere né alla CEI né tantomeno allo Stato, la cui autorità finisce davanti al sagrato delle nostre chiese, e lì deve fermarsi.
È inaudito che la Conferenza Episcopale Italiana continui a tollerare un tale abuso, che lede il diritto divino della Chiesa, viola una legge dello Stato e crea un gravissimo precedente. E credo che anche il comunicato emesso domenica sera rappresenti una prova della consentaneità dei vertici dell’Episcopato non solo ai mezzi, ma anche ai fini che si propone questo Governo.
Il silenzio supino della CEI, e di quasi tutti gli Ordinari, rende evidente una situazione di subalternità allo Stato che non ha precedenti, e che giustamente è stata percepita dai fedeli e dai sacerdoti come una sorta di abbandono a se stessi: ne sono emblematico esempio le scandalose irruzioni della forza pubblica in chiesa, addirittura durante la celebrazione della Messa, con un’arroganza sacrilega che avrebbe dovuto suscitare una immediata e fermissima protesta da parte della Segreteria di Stato. Si sarebbe dovuto convocare l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, presentando una dura Nota di Protesta per la gravissima violazione del Concordato da parte del Governo, riservandosi di richiamare il Nunzio Apostolico in Italia, qualora non fosse stato ritirato il provvedimento illegittimo.
Il Cardinale Parolin, nella veste di sponsor del Presidente Conte, si trova in grande imbarazzo ed in conflitto di interessi. Appare evidente che, invece di tutelare la sovranità e la libertà della Chiesa in fedeltà alla sua alta funzione istituzionale di Segretario di Stato, il Cardinale Parolin ha vergognosamente scelto di schierarsi a fianco dell’amico avvocato. Nemmeno gli interessi economici del cosiddetto volontariato cattolico potrebbero giustificare una tale opzione.

A quali interessi si riferisce? 
Mi riferisco alla scandalosa spartizione dei fondi pubblici destinati all’ospitalità degli immigrati clandestini, di cui papa Bergoglio e la CEI sono in gran parte beneficiari e, allo stesso tempo, strenui promotori. Altro conflitto d’interessi, questo, che pone la Chiesa in una posizione di riconoscenza nei riguardi dello Stato, rendendo non del tutto illegittimo il sospetto che i molteplici silenzi della CEI, compreso quello cui abbiamo assistito in questi mesi in occasione della presunta pandemia, siano motivati dal timore di vedersi sfumare i lucrosi proventi dell’accoglienza. Non dimentichiamo che i fondi derivanti dall’8×1000 vanno riducendosi sempre più, confermando l’allontanamento dei fedeli italiani da una Chiesa che pare non aver altro scopo se non quello di favorire la sostituzione etnica fortissimamente voluta dall’élite globalista. Temo che questo trend si confermerà nei prossimi mesi, in risposta al silenzio dei Vescovi.

In tutto questo, la posizione di Papa Francesco sembra contraddittoria: all’inizio ha ordinato al Cardinale Vicario di chiudere le chiese di Roma prima ancora che Conte emanasse il Decreto; poi lo ha messo in imbarazzo, smentendolo pubblicamente e facendole riaprire. Ha incoraggiato le Messe in streaming e poi ha parlato di gnosi, incoraggiando la CEI a prender posizione contro il Governo; ma proprio ieri ha raccomandato ai fedeli obbedienza alle disposizioni dei Decreti…
Bergoglio non è nuovo a questo genere di cambiamenti repentini. Come tutti ben ricordano, prima che scoppiasse lo scandalo in seno all’Ordine di Malta relativo alla distribuzione di preservativi nei suoi ospedali, Francesco aveva scritto una lettera al Patrono, Card. Burke, nella quale gli impartiva chiarissime disposizioni circa il suo dovere di vegliare sull’Ordine affinché fosse seguita con scrupolosa fedeltà la morale cattolica. Ma quando la notizia divenne di pubblica ragione egli non esitò a sconfessare Sua Eminenza, commissariando l’Ordine, esigendo le dimissioni del Gran Maestro e reintegrando il Consigliere che era stato espulso proprio perché responsabile di quella deplorevole violazione della morale.
Nel caso da Lei ricordato, il Cardinale Vicario ha cercato di difendere la propria correttezza, spiegando che l’ordine di chiudere le chiese gli era stato impartito da Sua Santità. Nel caso più recente della CEI, il Comunicato diramato domenica sera aveva evidentemente un’approvazione del Presidente Cardinale Bassetti, che a sua volta doveva essersi consultato con Francesco. Sconcerta che, nel volgere di poche ore, il pulpito di Santa Marta sconfessi la CEI e inviti i fedeli e i sacerdoti ad un’obbedienza verso le disposizioni del Governo che non solo è indebita, ma è anche una violazione delle coscienze, deleteria per la salute delle anime.
Nessuno intende esporre i fedeli al possibile contagio, ammesso e non concesso che esso sia un’eventualità così temibile; ma le dimensioni delle nostre chiese e purtroppo il numero assai esiguo dei fedeli che normalmente le frequentano, consentono di rispettare le distanze di sicurezza tanto per la preghiera individuale quanto per la celebrazione del Santo Sacrificio o di altre cerimonie. Evidentemente i solerti legislatori non vanno in chiesa da lungo tempo…
Non dimentichiamo che i fedeli hanno il diritto, oltre che il dovere, di assistere alla Messa, di confessarsi, di ricevere i Sacramenti: questo è un diritto che viene loro dall’esser membra vive del Corpo Mistico in virtù del Battesimo. I Pastori hanno quindi il sacro dovere – anche a rischio della loro salute e della stessa vita, quando richiesto – di assecondare questo diritto dei fedeli, e di ciò dovranno rispondere a Dio, non al Presidente della CEI né tantomeno al Presidente del Consiglio.

Nei giorni scorsi S.E. Mons. Giovanni d’Ercole ha lanciato un severo monito a Conte e al “comitato scientifico” in cui ha intimato: “Bisogna che ci diate il diritto al culto, sennò ce lo riprendiamo”. Parole forti e coraggiose, che sembrano lasciar intendere un certo risveglio nelle coscienze dei Pastori.
Monsignor D’Ercole ha parlato come parla un vero Vescovo, con l’autorità che gli viene da Cristo. Come lui, ne sono sicuro, ci sono moltissimi altri Pastori e sacerdoti che sentono la responsabilità nei confronti delle anime loro affidate. Ma tanti tacciono, più per non sollevare gli animi che per pavidità. Proprio in questo tempo pasquale risuona nella liturgia la parabola evangelica del Buon Pastore; Gesù vi menziona anche i mercenari a cui non sta a cuore la salvezza delle pecorelle: cerchiamo di non rendere vano il monito divino e l’esempio del Salvatore, che dà la vita per le pecore!
Mi permetto di rivolgermi ai miei confratelli nell’Episcopato: credete che, quando in Messico o in Spagna chiusero le chiese, proibirono le processioni, vietarono l’uso dell’abito religioso in pubblico, le cose siano iniziate diversamente? Non permettete che con la scusa di una presunta epidemia si limitino le libertà della Chiesa! non permettetelo né da parte dello Stato, né da parte della CEI! Il Signore vi chiederà conto delle anime che sono morte senza Sacramenti, dei peccatori che non hanno potuto riconciliarsi con Lui, dell’aver voi permesso che, per la prima volta nella storia a partire dall’Editto di Costantino, fosse proibito ai fedeli di celebrare degnamente la Santa Pasqua. I vostri sacerdoti non sono pavidi, ma eroici testimoni, e soffrono per gli ordini arbitrari che impartite loro. I vostri fedeli vi implorano: non restate sordi al loro grido!

Sono parole che sembrano invitare alla disobbedienza all’autorità ecclesiastica ancor prima che a quella civile.
L’obbedienza è ordinata alla Verità e al Bene, altrimenti è servilismo. Siamo arrivati ad un tale ottundimento delle coscienze che non ci rendiamo più conto di cosa significhi “dare testimonianza alla Verità”: crede che Nostro Signore ci giudicherà per esser stati obbedienti a Cesare, quando questo significa disobbedire a Dio? Non è forse tenuto il Cristiano all’obiezione di coscienza, anche sul lavoro, quando ciò che gli è richiesto viola la Legge divina? Se la nostra Fede si basasse solo sull’obbedienza, i Martiri non avrebbero nemmeno dovuto affrontare i tormenti a cui li condannava la legge civile: sarebbe bastato obbedire e bruciare un grano d’incenso alla statua dell’Imperatore.
Non ci troviamo ancora, almeno in Italia, dinanzi alla scelta cruciale tra la vita e la morte; ma ci viene chiesto di scegliere tra il dovere di onorare Dio e di renderGli culto, e l’obbedienza prona ai diktat di sedicenti esperti, mille volte contraddetti dall’evidenza dei fatti.
Trovo paradossale che in questo inganno, che va ormai disvelandosi anche ai più moderati osservatori di quanto accade intorno a noi, si imponga al Popolo di Dio l’ingrato compito di dover testimoniare la propria Fede dinanzi ai lupi, senza poter avere al proprio fianco i loro Pastori. Ecco perché esorto i miei Confratelli a riprendere con fierezza il proprio ruolo di guide, senza accampare come pretesto l’ossequio a norme illegittime e irragionevoli. Faccio mie le parole di Monsignor D’Ercole: “Non abbiamo bisogno di favori da voi: abbiamo un diritto da rivendicare e questo diritto va riconosciuto”!

Qualcuno potrebbe pensare che le sue parole siano “divisive” in un momento in cui è facile esasperare gli animi già provati dei cittadini.
L’unità nella Fede e nella Carità si fonda sulla salvezza delle anime, non in loro danno: non bastano né le “interlocuzioni” della CEI né i sorridenti incontri papali con il Primo Ministro, al quale si è concessa un’indulgente collaborazione, che svela connivenze e collaborazionismo. Proclamare la verità è necessariamente “divisivo”, perché la verità si oppone all’errore, come la luce si oppone alle tenebre. Così ci ha detto il Signore: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” Lc. 12, 51
Ammesso e non concesso che il coronavirus sia così virulento e così mortale da giustificare la segregazione di un intero popolo, anzi del mondo intero, ebbene: proprio in questo momento vengono negati i sacramenti e la Messa quando sono maggiormente necessari per la salvezza eterna?

Da quanto ha detto, Eccellenza, mi pare di comprendere qualche sua perplessità sulla natura del Coronavirus: è una mia impressione o crede – come affermano molti medici – che qualcuno abbia voluto approfittare della pandemia per altri scopi?
Non è questa la sede per esprimere le mie riserve sulla cosiddetta “pandemia”: credo che scienziati autorevoli abbiano saputo dimostrare quello che veramente accade, e quello che viceversa si fa credere alle masse, attraverso un controllo capillare dell’informazione che non esita a ricorrere alla censura per mettere a tacere le voci di dissenso. Mi pare tuttavia evidente che il Covid-19 abbia fornito un’ottima occasione – voluta o meno, lo sapremo presto – per imporre alla popolazione una limitazione della libertà che non ha nulla di democratico, né tantomeno di buono.
Sono prove tecniche di dittatura, in cui si osa addirittura programmare il tracciamento delle persone, con la scusa della salute e di una ipotetica futura recrudescenza del virus. Si pensa di poter imporre un regime tirannico in cui persone non elette da nessuno pretendono di stabilire cosa è lecito e cosa non lo è, quali cure imporre e quali punizioni infliggere per chi vi si vuol sottrarre. Cosa ancor più grave, tutto questo avviene con l’avallo di parte della Gerarchia: se ce lo avessero raccontato qualche anno fa, non ci avremmo creduto.

Una parola di speranza, per concludere?
C’è sempre una ragione di speranza, se si ha uno sguardo soprannaturale. Anzitutto questa epidemia ha fatto cadere molte maschere: quelle dei veri poteri, delle lobby internazionali che brevettano un virus e si apprestano a brevettarne anche il vaccino, e allo stesso tempo spingono perché sia imposto a tutti, in un clamoroso conflitto di interessi. Almeno, adesso, sappiamo chi sono e che faccia hanno.
Sono cadute anche le maschere di quanti si prestano a questa farsa, lanciando allarmi ingiustificati e seminando il panico tra la gente, creando una crisi non solo sanitaria, ma anche economica e politica di livello mondiale. Anche in questo caso sappiamo chi sono e qual è il loro progetto.
Infine, è caduta la maschera dell’anonimato di tante persone buone. Ci siamo resi conto di quanta generosità, quanta abnegazione, quanta bontà vi sia ancora in giro, nonostante tutto. Medici, infermieri, sacerdoti e volontari, certamente; ma anche tanti senza volto e senza nome che aiutano il vicino, che portano conforto a chi soffre, che si svegliano dal torpore e iniziano a comprendere quel che succede intorno a loro. Un risveglio del Bene, di cui è senza dubbio autore il Signore. Egli governa le sorti della Chiesa e del mondo, e non permetterà che il Male prevalga.
Non dimentichiamo che – come ho ricordato recentemente – Nostra Signora di Fatima ha promesso a Suor Lucia che prima della fine dei tempi un Papa avrebbe consacrato la Russia al Suo Cuore Immacolato, e che a questo gesto di obbedienza sarebbe seguito un periodo di pace. Affidiamo quindi noi stessi, le nostre famiglie e la nostra cara Italia sotto il manto della Vergine Santissima, confidando fiduciosi nelle Sue parole.

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