Da Gerusalemme l’annuncio di vita pasquale

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Pasqua diversa a Gerusalemme con le chiese ed il Santo Sepolcro chiusi a causa del coronavirus, non solo vuota di pellegrini e visitatori, ma anche di gran parte dei suoi abitanti, soprattutto dopo la chiusura delle scuole (anche cristiane) di ogni ordine e grado e l’annullamento di tutte le prenotazioni alberghiere per i mesi di marzo e aprile, mesi che di solito vedono un enorme aumento del numero di pellegrini provenienti da tutto il mondo per celebrare la Resurrezione di Gesù in Terra Santa. Lo stesso a Betlemme.

E l’amministratore apostolico del patriarcato dei latini di Gerusalemme, mons. Pierbattista Pizzaballa, nell’omelia di Pasqua  ha parlato della fragilità umana: “Rinchiusi nelle nostre case e limitati negli spostamenti, abbiamo capito quanto importante sia ciò che ora ci viene impedito: libertà nei movimenti, la scuola, il lavoro, la partecipazione alla vita di gruppo, il tempo con gli amici e così via.

E’ vero: spesso accade che impariamo ad apprezzare ciò che abbiamo, quando lo perdiamo. E così è stato per queste possibilità che ora ci mancano. Ma vi è un’altra assenza che abbiamo conosciuto in questi giorni, non meno importante: la possibilità di celebrare la salvezza. Il non potere celebrare la salvezza, durante questo Triduo Santo, in questo contesto di paura e di incertezze, ci ha reso ancora più consapevoli della nostra fragilità e dei nostri limiti”.

Ha anche evidenziato che l’ingegno umano non può garantire la salvezza: “Abbiamo compreso che la parola salvezza non è legata solo alla capacità della scienza di risolvere i grandi problemi del momento (cosa di cui siamo comunque tutti desiderosi e grati), ma è connessa innanzitutto con il mistero che abita la natura umana, e che non riusciamo a possedere completamente.

Per questo, l’impossibilità a celebrare i misteri della salvezza durante questa settimana ci è parsa ancora più dura. Perché per noi questo mistero non è un enigma insolubile, la salvezza non è una chimera. Il mistero della salvezza per noi ha un nome: ‘Cristo, risorto dai morti’, il quale ‘non muore più; la morte non ha più potere su di lui’ e ora è ‘seduto alla destra di Dio’”.

Nell’omelia l’amministratore apostolico ha sottolineato che in questa domenica pasquale si celebra l’amore di Dio per l’uomo: “Questo è ciò che celebriamo oggi: non solo il trionfo della vita sulla morte, ma dell’amore di Dio, che arriva non solo a morire con noi, a morire per noi, ma arriva anche a portarci insieme a Lui, oltre la morte. Dio Padre non abbandona l’uomo Gesù nella morte, ma lo salva, gli dona una vita che è per sempre, e chiama anche noi a questa stessa vita”.

Questa domenica è il primo giorno della settimana: “In questo primo giorno della nuova creazione, Maria di Magdala e, chiamati da lei, Pietro e Giovanni vanno al sepolcro. Persone che hanno visto morire la persona amata, che hanno incontrato la morte. Hanno pensato che questa morte potesse mettere fine ai giorni, che non ci potesse più essere un altro giorno, che non ci sarebbe stato più nessun giorno ‘uno’.

Tutti e tre fanno le stesse cose: vanno, corrono e guardano. Sono i verbi di chi cerca ancora, nonostante tutto. Non sanno bene cosa cercare, perché una sola cosa è per loro ormai certa: Gesù è morto, e non lo si potrà più incontrare”.

L’Amore è più forte della morte: “Davvero c’è qualcosa di più forte della morte. Nella fede, essa diventa il luogo dove il Signore viene, dove ci visita, dove ci porta oltre. Paradossalmente, diventa il luogo dove noi, più che in ogni altro luogo, possiamo conoscere la potenza del suo amore, dove possiamo fare esperienza della sua fedeltà”.

Ed i gesti che annunciano la nuova vita sono evidenti: “Annunciamo che Cristo risorto è la nostra speranza quando con i nostri gesti di amore e condivisione sappiamo indicare come dare un senso e una prospettiva al vissuto, anche il più doloroso; quando testimoniamo con gesti concreti che la vita ha senso se si apre agli affetti, all’amore, e quando le nostre azioni e le nostre opere sono affidate alla Sua carità e non alla nostra superbia. Siamo troppo ripiegati sulle nostre paure e siamo troppo spaventati da quanto sta accadendo…

Se li cercheremo, dunque, troveremo i segni della Sua presenza, perché ovunque nel mondo ancora oggi c’è chi è uscito dal suo cenacolo per spezzare il suo pane per amore di ogni uomo. Chiediamolo anche per noi, per le nostre comunità a volte così ripiegate e chiuse su se stesse. Chiediamo la grazia e la forza di alzare lo sguardo e di aprire gli occhi per vedere i segni del Risorto tra noi”.

Ed ha concluso l’omelia chiedendo di credere che Cristo è risorto veramente: “La fede non cancella il carattere drammatico dell’esistenza, ma ci apre gli occhi e il cuore ad una prospettiva di salvezza, di vita eterna, di gioia. È ciò che celebriamo nel giorno di Pasqua ed è ciò che vogliamo celebrare con la vita. Che il sepolcro spalancato di Cristo, dunque, spalanchi anche i nostri sepolcri!”

Mentre nell’omelia della veglia pasquale aveva sottolineato la bellezza della Pasqua: “Senza la fede pasquale, ogni consolazione, ogni impegno per la giustizia e la pace sarà una ricetta di corto respiro per il cuore dell’uomo che anela a risorgere…

da questo sepolcro vuoto, e nel vuoto che sperimentiamo ciascuno a suo modo, io annuncio ancora una volta che Cristo è vivente e soffia su di noi e sulla Chiesa il Suo Spirito di vita: che questa Pasqua sia ancora una nuova creazione e il caos del mondo ritrovi per essa ordine e bellezza. E Dio ci doni i suoi occhi per vedere le cose buone che Lui compie per quelli che credono e sperano nel Suo amore”.

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