Papa Francesco prega per le famiglie con invito alla preghiera ‘umile’

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Nella messa mattutina a Santa Marta, sempre in streaming, papa Francesco ha pregato  per le famiglie, costrette a restare a casa con i figli ed i nonni per l’emergenza coronavirus, esortando a pregare con umiltà, senza la presunzione di sentirsi giusti:

“Oggi vorrei ricordare le famiglie che non possono uscire di casa. Forse l’unico orizzonte che hanno è il balcone. E lì dentro, la famiglia, con i bambini, i ragazzi, i genitori… Perché sappiano trovare il modo di comunicare bene tra loro, di costruire rapporti di amore nella famiglia, e sappiano vincere le angosce di questo tempo insieme, in famiglia. Preghiamo per la pace delle famiglie oggi, in questa crisi, e per la creatività”.

Commentando le letture del giorno, tratte dal Libro del profeta Osea e dal Vangelo di san Luca, in cui Gesù racconta la parabola del fariseo e del pubblicano, il papa ha esortato a fare una preghiera umile, senza presunzione: “Nel Vangelo Gesù ci insegna come pregare. Ci sono due uomini, uno un presuntuoso che va a pregare, ma per dire che è bravo, come se dicesse a Dio: ‘Guarda, sono così bravo: se hai bisogno di qualcosa, dimmi, io risolvo il tuo problema’.

Così si rivolge a Dio. Presunzione. Forse lui faceva tutte le cose che diceva la Legge, lo dice: ‘Digiuno due volte alla settimana, pago le decime di tutto quello che possiedo’… Questo ci ricorda anche altri due uomini. Ci ricorda il figlio maggiore della parabola del figliol prodigo, quando dice al padre: ‘Io che sono così bravo non ho la festa, e questo, che è un disgraziato, tu gli fai la festa…’.

Presuntuoso. L’altro, di cui abbiamo sentito la storia in questi giorni, è quell’uomo ricco, un senza-nome, ma era ricco, incapace di farsi un nome, ma era ricco, non gli importava nulla della miseria degli altri. Sono questi che hanno sicurezza in sé stessi o nel denaro o nel potere”.

Eppoi ha tracciato anche l’atteggiamento del pubblicano, che si riconosce peccatore: “Poi c’è l’altro, il pubblicano. Che non va davanti all’altare, no, resta a distanza. ‘Fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’.

Anche questo ci porta al ricordo del figliol prodigo: si accorse dei peccati fatti, delle cose brutte che aveva fatto; anche lui si batteva il petto: ‘Tornerò da mio padre e [gli dirò]: padre, ho peccato’. L’umiliazione. Ci ricorda quell’altro, il mendicante, Lazzaro, alla porta del ricco, che viveva la sua miseria davanti alla presunzione di quel signore. Sempre questo abbinamento di persone nel Vangelo”.

Con questa parabola Gesù spiega il modo di pregare, che è umile e semplice: “In questo caso, il Signore ci insegna come pregare, come avvicinarci, come dobbiamo avvicinarci al Signore: con umiltà. C’è una bella immagine nell’inno liturgico della festa di san Giovanni Battista.

Dice che il popolo si avvicinava al Giordano per ricevere il battesimo, ‘nuda l’anima e i piedi’: pregare con l’anima nuda, senza trucco, senza travestirsi delle proprie virtù. Lui, lo abbiamo letto all’inizio della Messa, perdona tutti i peccati ma ha bisogno che io gli faccia vedere i peccati, con la mia nudità. Pregare così, nudi, con il cuore nudo, senza coprire, senza avere fiducia neppure in quello che ho imparato sul modo di pregare…

Pregare, tu e io, faccia a faccia, l’anima nuda. Questo è quello che il Signore ci insegna. Invece, quando andiamo dal Signore un po’ troppo sicuri di noi stessi, cadremo nella presunzione di questo [fariseo] o del figlio maggiore o di quel ricco al quale non mancava nulla. Avremo la nostra sicurezza da un’altra parte… La strada è abbassarsi.

L’abbassamento. La strada è la realtà. E l’unico uomo qui, in questa parabola, che aveva capito la realtà, era il pubblicano: “Tu sei Dio e io sono peccatore”. Questa è la realtà. Ma dico che sono peccatore non con la bocca: col cuore. Sentirsi peccatore”.

Ecco l’atteggiamento; pregare riconoscendo il proprio peccato: “Non dimentichiamo questo che il Signore ci insegna: giustificare sé stessi è superbia, è orgoglio, è esaltare sé stessi. E’ travestirsi da quello che non sono. E le miserie rimangono dentro. Il fariseo giustificava sé stesso… Il Signore ci insegni a capire questo, questo atteggiamento per incominciare la preghiera.

Quando la preghiera la incominciamo con le nostre giustificazioni, con le nostre sicurezze, non sarà preghiera: sarà parlare con lo specchio. Invece, quando incominciamo la preghiera con la vera realtà (‘sono peccatore, sono peccatrice’) è un buon passo avanti per lasciarsi guardare dal Signore. Che Gesù ci insegni questo”.

Al termine della celebrazione eucaristica il papa ha invitato a fare la Comunione spirituale: “Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mai. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. E come già venuto, Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che abbia mai a separarmi da Te”.

Inoltre il papa ha sottolineato ancora alcune indicazioni per confessarsi in questi giorni riferendosi ai numeri 1451 e 1452 del Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato da san Giovanni Paolo II: “Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa la contrizione è detta ‘perfetta’ (contrizione di carità).

Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale. Dunque, in attesa di poter ricevere l’assoluzione da un sacerdote non appena le circostanze lo permetteranno, è possibile con questo atto essere subito perdonati”.

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