A Bari le sfide della fede

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“Come cattolici vorremmo farci promotori di aperture, di spazi, in modo che entità che oggi non comunicano tra di loro possano venire, sedersi, parlare, riconciliarsi e trovare mediazioni per una maggiore giustizia che è la base per la fraternità e l’amicizia”: lo ha affermato mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, facendo riferimento al ‘desiderio di pace, di riconciliazione e di perdono’.

I vescovi cattolici, riuniti a Bari per l’incontro di riflessione e spiritualità, vogliono ‘ascoltare insieme il Vangelo e capire quello che Gesù chiede a noi oggi qui’. Anche mons. Paolo Bizzeti, vicario apostolico di Anatolia, ha detto che i cristiani debbono essere testimoni di una nuova umanità: “Noi cristiani dobbiamo essere primizia di un’umanità nuova, come affermiamo da sempre, e testimoniarlo con le parole e soprattutto con i fatti”.

Mentre nella conferenza stampa i vescovi hanno ribadito che il Mediterraneo è una ‘casa comune’, ma i suoi abitanti hanno bisogno di conoscersi di più, di incrementare gli scambi culturali e di fede, in un clima di pace, di rispetto e di amicizia, sia tra le diverse Chiese cristiane, sia tra le religioni, in primis tra cristiani e musulmani.

In merito ai rapporti tra cristiani e musulmani, p. Francesco Patton, custode di Terra Santa, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha riferito che la dichiarazione di Abu Dhabi, firmata dal Pontefice e dall’imam di Al Ahzar è stata inserita tra le materie di studio in tutte le scuole della Custodia: “E’ una pietra angolare. I nostri studenti, sia cristiani che musulmani non possono non conoscerla. Inoltre la Dichiarazione è entrata nel curriculum dei seminaristi che si avviano al sacerdozio o alla vita consacrata”.

Il card. Juan José Omella y Omella, arcivescovo di Barcellona, ha elogiato l’esperienza dei ‘corridoi umanitari’ italiani: “Ci preoccupa, però, anche la necessità di costruire lì, nei paesi in via di sviluppo, le condizioni perché non debbano fuggire forzosamente da guerra, fame e miseria, affinché possano partire solo se lo desiderano…

Come frutto concreto per il futuro vorrei che da questo incontro sinodale delle Chiese che si affacciano sul Mediterraneo nascesse una volontà comune di impegnarci insieme, unendo gli sforzi. Certamente una delle vie da percorrere è quella dei corridoi umanitari, come state facendo qui in Italia. Noi in Spagna ancora non li abbiamo.

Tutta Europa dovrebbe impegnarsi maggiormente nella soluzione di questo grande problema, che sta particolarmente a cuore alla Chiesa ma che coinvolge tutti, e solo se tutti cercheremo una soluzione insieme potrà essere risolto”.

Nella relazione centrale la teologa Giuseppina De Simone ha riflettuto sulla ‘traditio fidei’: “I Paesi del Mediterraneo vivono una situazione religiosa molto differenziata. Ci sono certamente i Paesi dell’Europa  occidentale attraversati dalla secolarizzazione nei suoi esiti contemporanei.

Ma la secolarizzazione tocca anche i Paesi dell’est capaci di custodire la presenza cristiana persino durante gli anni bui della dittatura comunista e, in forme diverse, pure le terre d’Oriente e i Paesi del Nord Africa, apparentemente immuni, per cultura e tradizione, rispetto ad ogni separazione tra ciò che è di Dio e ciò che è degli uomini”.

La teologa ha messo al centro della sua riflessione il valore della libertà religiosa: “Portato tanto dei fondamentalismi religiosi quanto, in alcuni casi,  del processo di razionalizzazione messo in atto dalla  modernità, è poi la  messa in discussione, troppo spesso drammatica, della libertà religiosa.

E’ il mancato riconoscimento della libertà di esprimere la propria fede, il mancato rispetto delle scelte che ne derivano,  ma ancor di più la persecuzione, o anche la semplice discriminazione, che nei confronti dei cristiani sta conoscendo una crescita esponenziale nell’indifferenza generale, e il martirio di molti, cristiani e non solo,  uccisi unicamente a motivo della loro fede”.

Ha rivalorizzato la pietà popolare: “La pietà popolare non è semplicemente uno spazio di traduzione e di elaborazione elementare dei contenuti della fede. Essa è ‘luogo teologico’, in cui questi stessi contenuti  emergono con immediatezza e secondo una modalità che non ha eguali, un ambito in cui siamo chiamati a imparare dallo Spirito che è all’opera, una risorsa da riscoprire per un rinnovato slancio missionario…

Ora l’esperienza di fede mediterranea appare caratterizzata prima di tutto dalla capacità di tenere insieme una complessità di elementi in una dialettica non esclusiva ma inclusiva. Essa esprime la ricerca incessante di comunione, pur nella irrisolta tensione, tra individuo e comunità; tra memoria e creatività; tra unità e pluralità; tra uomo e creato; tra terra e mare; tra le tenebre del dramma e la solarità della festa”.

Altro aspetto, che caratterizza le religioni mediterranee, è il senso di comunità: “La fede popolare esprime  plasticamente quella socialità che è propria della gente mediterranea e che si lascia avvertire nella contrattazione prolungata al mercato, nella vivacità dei cortili e dei vicoli, nella forza che, nonostante tutto permane, dei legami familiari e parentali. La fede popolare è qui sempre chiaramente comunitaria, nasce dal tessuto delle relazioni sociali e ad esse rimanda, in una fitta trama di legami che si innervano su un preciso territorio e in una ritualità che aggrega e disegna una comune identità”.

L’ultimo aspetto che caratterizza la religiosità mediterranea è l’ospitalità: “Nella rivelazione biblica lo straniero e l’ospite sono manifestazioni della presenza divina. E nel cristianesimo l’accoglienza dell’altro come fratello sgorga dal cuore stesso della Pasqua  del Signore Gesù che ha distrutto in sé stesso l’inimicizia. Siamo dinanzi alla via maestra dell’annuncio del Vangelo.

Accogliere l’altro spalancare  le porte del cuore, costruire una cultura dell’incontro, trame di dialogo e di fraternità vissuta come accade in tanti dei Paesi da cui veniamo. Accogliersi reciprocamente. Nella tradizione di fede dei popoli del Mediterraneo si avverte dunque tutta la ricchezza della mediterraneità, si coglie con chiarezza quanto essa sia il frutto di sedimentazioni e di scambi e come il Vangelo abbia agito e agisca ancora quale fermento capace di far emergere ciò che di bello di vero e di santo c’è nel cammino dei popoli orientandolo verso la costruzione di un mondo fraterno”.

Infine ha elencato le testimonianze dei ‘nuovi’ martiri, che hanno la forza di rigenerare la fede: “E’ la via del martirio che ha i nomi e i volti dei monaci di Tibhirine, di mons. Pierre Claverie, di don Andrea Santoro, di Charles de Foucauld, dei martiri albanesi e di quelli della Chiesa copta: persone che hanno condiviso fino in fondo la vita e la sorte del popolo in mezzo al quale erano stati chiamati ad annunciare il Vangelo,che non hanno lasciato la terra dove il Signore li aveva condotti neppure di fronte al crescere della violenza, che hanno continuato a testimoniare l’amore e la stima per la loro gente, rimanendo lì, fino alla fine, con tutti gli altri”. 

Ha concluso l’incontro affermando che nelle terre del martirio la fede è viva: “Colpisce nel racconto dei cristiani che continuano a vivere nelle terre martirizzate dalla violenza del fanatismo il senso profondo di questa condivisione. Ed è per questo, forse, che lì dove le vite dei martiri sono state spezzate la testimonianza del Vangelo non si è interrotta, ma continua a passare,come testimonianza di dialogo e di fraternità possibile, di mano in mano, unendo ancora vite e fedi diverse”.

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