8 febbraio giornata mondiale di preghiera e di riflessione contro la tratta

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Il denaro che alimenta la tratta delle persone è ‘macchiato di sangue’: così si è espresso papa Francesco nel videomessaggio mensile per le intenzioni di preghiera per denunciare la piaga del traffico di persone: ‘Il denaro dei loro affari sporchi, subdoli, è macchiato di sangue’.

La registrazione del video è stata curata dalla sezione ‘Migranti e Rifugiati’ del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale; il filmato accompagna le iniziative per la prossima Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone di oggi, promossa da Talitha Kum, la Rete Internazionale della Vita Consacrata che, da oltre 10 anni, cerca di contrastare il fenomeno della tratta attraverso 44 reti internazionali.

40.000.000 di vittime nel mondo (anche se è impossibile definire un numero preciso), il 72% delle quali sono donne o bambine, con differenze anche significative legate all’area geografica di riferimento: i dati dell’ultimo ‘Global report on trafficking in persons’, redatto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine non lascia margini di dubbio su un fenomeno in aumento:

le ultime cifre certe, raccolte in 142 stati membri dell’Onu, sono del 2016-2017 e confermano come lo sfruttamento sessuale resti la principale finalità della tratta (59%, in gran parte donne), seguito dallo sfruttamento lavorativo (34%, in gran parte uomini). Il 30% delle vittime complessive sono minori.

Ecco perché la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone (che si celebra l’8 febbraio, giorno della memoria liturgica di santa Giuseppina Bakhita, la suora canossiana sudanese che, da bambina, fu rapita all’età di 8 anni e più volte venduta come schiava) assume un’importanza sempre più necessaria. Dal 2015, ogni anno, religiosi, religiose e laici di tutto il mondo si impegnano ad accendere una luce contro la tratta nel proprio paese, per lasciare un segno visibile in memoria delle vittime e delle persone sopravvissute.

In Italia sono tante le iniziative in programma: la Comunità Papa Giovanni XXIII promuove incontri in collaborazione con le diocesi locali; ‘Talitha Kum’, la rete mondiale della vita consacrata impegnata contro lo sfruttamento di esseri umani, invita fedeli e non a una massiccia partecipazione agli eventi di ‘Insieme contro la tratta’, in partenariato con il Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, la Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e il Jesuit Refugee Service.

In occasione della sesta Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone si svolgerà a Roma, alle ore 18.30 nella basilica di sant’Antonio al Laterano, una veglia di preghiera presieduta dal card. Michael Czerny, sotto-segretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale. Durante l’incontro, animato principalmente da giovani, è prevista la condivisione di due testimonianze. ‘Talitha Kum’ invita inoltre a ritrovarsi il giorno dopo alle ore 10 a Castel Sant’Angelo per partecipare, dopo una marcia, all’Angelus in piazza San Pietro.

Dalla preparazione delle veglie di preghiera abbiamo estrapolato alcune testimonianze, di cui una dalla Bulgaria: “Io sono stata venduta dai miei famigliari ad una banda che mi ha portata in Italia. Dopodiché mi hanno venduta ad un’altra banda di rumeni che mi hanno chiusa in una casa per una settimana, mi hanno minacciata, mi hanno presa a botte, mi hanno obbligata a prostituirmi…

Personalmente mi hanno picchiata, mi hanno spento le sigarette addosso, mi hanno mandata sulla strada. Mi picchiavano tutti i giorni perché dovevo portargli almeno mille euro al giorno. Fino al giorno in cui Don Oreste e Don Aldo sono passati, mi hanno vista sulla strada e mi hanno chiesto quanto soffrivo. Gli ho risposto che soffrivo tanto. Allora mi hanno portata via dalla strada, mi hanno salvata. Ora io sto bene, sono felice e desidero tanto che tutte le altre ragazze che sono ancora schiave possano essere libere come me”.

Anche dalla Nigeria si può leggere lo stesso racconto: “Avevo deciso di lasciare il mio Paese, la Nigeria, dopo la morte di mio padre. Volevo aiutare mia madre e i miei fratelli. Arrivata in Italia con la promessa di un lavoro, mi ritrovai sulla strada, sotto le direttive di una madame che mi sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche.

Pensavo che una volta saldato il debito mi sarei liberata da questo incubo. Ma loro chiedevano sempre più soldi. Sola e senza documenti finii in carcere, pur essendo innocente”.

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