Papa Leone XIV: dalla morte nasce la vita nuova
“Oggi rinnoviamo la bella consuetudine, in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, di celebrare l’Eucaristia in suffragio dei Cardinali e dei Vescovi che ci hanno lasciato durante l’anno appena trascorso, e con grande affetto la offriamo per l’anima eletta di papa Francesco, che è deceduto dopo aver aperto la Porta Santa ed impartito a Roma ed al mondo la Benedizione pasquale. Grazie al Giubileo tale celebrazione (per me la prima) acquista un sapore caratteristico: il sapore della speranza cristiana”: questa mattina papa Leone XIV ha presieduto la celebrazione eucaristica in suffragio dei cardinali (8) e dei vescovi ed arcivescovi (134) defunti nel corso dell’anno, anche per papa Francesco, scomparso lo scorso 21 aprile.
Nell’omelia papa Leone XIV ha commentato l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus: “La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci illumina. Anzitutto lo fa con una grande icona biblica che, potremmo dire, riassume il senso di tutto questo Anno Santo: il racconto lucano dei discepoli di Emmaus. In esso si trova plasticamente rappresentato il pellegrinaggio della speranza, che passa attraverso l’incontro con Cristo risorto”.
Nell’omelia il papa ha raccontato il dolore e lo scandalo davanti alla morte di ‘un fragile’: “Il punto di partenza è l’esperienza della morte, e nella sua forma peggiore: la morte violenta che uccide l’innocente e così lascia sfiduciati, scoraggiati, disperati. Quante persone (quanti ‘piccoli’!) anche ai nostri giorni subiscono il trauma di questa morte spaventosa perché sfigurata dal peccato. Per questa morte non possiamo e non dobbiamo dire ‘laudato sì’, perché Dio Padre non la vuole, ed ha mandato il proprio Figlio nel mondo per liberarcene.
E’ scritto: il Cristo doveva patire queste sofferenze per entrare nella sua gloria e donarci la vita eterna. Lui solo può portare su di sé e dentro di sé questa morte corrotta senza esserne corrotto. Lui solo ha parole di vita eterna (trepidanti lo confessiamo qui vicino al Sepolcro di San Pietro) e queste parole hanno il potere di far ardere nuovamente la fede e la speranza nei nostri cuori”.
E la morte cede la strada alla speranza: “Quando Gesù prende il pane tra le sue mani che erano state inchiodate alla croce, pronuncia la benedizione, lo spezza e lo offre, gli occhi dei discepoli si aprono, nei loro cuori sboccia la fede e, con la fede, una speranza nuova. Sì! Non è più la speranza che avevano prima e che avevano perduto. E’ una realtà nuova, un dono, una grazia del Risorto: è la speranza pasquale”.
Da questo momento nasce una vita nuova: “Come la vita di Gesù risorto non è più quella di prima, ma è assolutamente nuova, creata dal Padre con la potenza dello Spirito, così la speranza del cristiano non è la speranza umana, non è né quella dei greci né quella dei giudei, non si basa sulla sapienza dei filosofi né sulla giustizia che deriva dalla legge, ma solo e totalmente sul fatto che il Crocifisso è risorto ed è apparso a Simone, alle donne e agli altri discepoli. E’ una speranza che non guarda all’orizzonte terreno, ma oltre, guarda a Dio, a quell’altezza e profondità da dove è sorto il Sole venuto a rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte”.
Ecco, quindi, il motivo per cui si può cantare l’ultima strofa del Cantico delle Creature (‘Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale’): “L’amore di Cristo crocifisso e risorto ha trasfigurato la morte: da nemica l’ha fatta sorella, l’ha ammansita… Siamo addolorati, certo, quando una persona cara ci lascia. Siamo scandalizzati quando un essere umano, specialmente un bambino, un ‘piccolo’, un fragile viene strappato via da una malattia o, peggio, dalla violenza degli uomini”.
La speranza cristiana trasforma il corpo: “Come cristiani siamo chiamati a portare con Cristo il peso di queste croci. Ma non siamo tristi come chi è senza speranza, perché anche la morte più tragica non può impedire al nostro Signore di accogliere tra le sue braccia la nostra anima e di trasformare il nostro corpo mortale, anche il più sfigurato, ad immagine del suo corpo glorioso”.
Questo è il significato di cimitero: “Per questo, i luoghi di sepoltura, i cristiani non li chiamano ‘necropoli’, cioè ‘città dei morti’, ma ‘cimiteri’, che significa letteralmente ‘dormitori’, luoghi dove si riposa, in attesa della risurrezione…
Carissimi, l’amato Papa Francesco e i fratelli Cardinali e Vescovi per i quali oggi offriamo il Sacrificio eucaristico, questa speranza nuova, pasquale, l’hanno vissuta, testimoniata e insegnata. Il Signore li ha chiamati e li ha costituiti quali pastori nella sua Chiesa, e col loro ministero essi (per usare il linguaggio del Libro di Daniele) hanno ‘indotto molti alla giustizia’, cioè li hanno guidati sulla via del Vangelo con la saggezza che viene da Cristo, il quale è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”.
E sempre oggi con un chirografo il papa ha stabilito che san John Henry Newman sia il Santo Patrono della Pontificia Università Urbaniana: “Considerata la richiesta del Venerato Fratello, il Signor Cardinale Luis Antonio Gokim Tagle nella sua qualità di Gran Cancelliere della Pontificia Università Urbaniana, che ha fatto sua la proposta del Delegato Pontificio Rettore Magnifico del medesimo Ateneo, dispongo che San John Henry Newman, Cardinale di Santa Romana Chiesa e Dottore della Chiesa, nato il 21 febbraio 1801 a Londra, morto l’11 agosto 1890 a Edgbaston, canonizzato il 13 ottobre 2019 in Piazza San Pietro, sia proclamato Patrono della Pontificia Università Urbaniana, affinché interceda per tale Istituzione accademica e sia, per quanti in essa si formano al servizio missionario della Chiesa, modello luminoso di fede e di ricerca sincera della verità”.
(Foto: Santa Sede)




























