Un Decreto per la trasparenza delle offerte nelle messe

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“L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”: nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ papa Francesco scriveva che la Chiesa è una casa; partendo da questa sollecitazione il Dicastero per il Clero ha emanato un decreto sull’amministrazione dei sacramenti.

Quindi il papa ha firmato tale decreto che a 34 anni dalla disciplina in materia indicata dal ‘Mos iugiter’ sottolinea come si ‘gestiscono’ le offerte per le messe: “Coscienti di questa grazia, i fedeli per mezzo dell’offerta vogliono unirsi più strettamente al Sacrificio Eucaristico aggiungendovi un sacrificio proprio e collaborando alle necessità della Chiesa e, in particolare, contribuendo al mantenimento dei suoi sacri ministri.

In questo modo i fedeli si uniscono più intimamente a Cristo che offre sé stesso e sono, in un certo senso, ancor più profondamente inseriti nella comunione con Lui. Quest’uso non solo è approvato dalla Chiesa, ma da essa è anche promosso”.

Il decreto traccia una linea storica iniziata dalle lettere di san Paolo: “L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare. Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte alla mensa episcopalis e a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito”.

Tali offerte erano considerate elemosine e non ‘prezzo’: “Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio (occasione servitii) compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come ‘prezzo di vendita’ per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco”.

Era una consuetudine: “La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insiste perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata. La dottrina cattolica, inoltre, manifestata anche dal sensus fidelium, insegna il beneficio spirituale e l’utilità, nell’economia della grazia, per le persone e i fini per i quali il sacerdote applica le Messe che celebra, nonché, in questa stessa prospettiva, il valore dell’applicazione reiterata per le stesse persone o finalità”.

Una consuetudine con regole precise: “Quanto poi all’applicazione in rapporto alla quale è stata ricevuta, nel senso suesposto, un’offerta, è stato più volte espresso il divieto di applicare una sola Messa per più intenzioni, per le quali sono state accettate rispettivamente più offerte. Tale prassi, come anche la mancata applicazione di una Messa in rapporto all’offerta accettata, sono state giudicate contrarie alla giustizia, come viene ripetutamente espresso nei documenti ecclesiastici”.

Il decreto sottolinea soprattutto la differenza tra messa per un’intenzione o semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola di Dio od in alcuni momenti della celebrazione eucaristica, e anche dalla messa per una intenzione o per una intenzione collettiva.

Comunque i donatori devono essere informati se le messe sono fatte celebrare ‘in missione’ per aiutare una comunità, in quanto le offerte hanno lo scopo di aiutare chi ne ha bisogno. Ma la cosa da evitare soprattutto è il rischio del ‘commercio sacro’ per cui anche per la celebrazione dei Sacramenti non ci devono essere ‘tariffe’ per evitare che ‘i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà’.

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