Mons. Palmieri: nella realtà si vive la speranza

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“Carissima! Carissimo! Se hai aperto questa lettera, forse ti ha spinto la curiosità. Il tema della speranza ti ha provocato? Oppure ti interessa sapere cosa viene proposto dalla nostra Diocesi per l’anno giubilare? O ancora niente di tutto questo… Con questo piccolo testo che hai tra le mani vorrei condividere con te qualche riflessione sulla speranza, a partire da un’affermazione dell’apostolo Paolo che mi sembra molto bella: la speranza non delude, perché l’amore ci è stato riversato nel cuore per mezzo dello Spirito Santo. In questo versetto è sintetizzato tutto ciò che troverai in questa lettera”.

Così inizia la lettera pastorale di mons. Gianpiero Palmieri, arcivescovo di Ascoli Piceno e vescovo di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, che ha voluto riflettere sui ‘pellegrini di speranza’: “Non ti scrivo solo a titolo personale, ma come guida di una comunità cristiana (per questo userò il ‘noi’), di cui ti senti parte, oppure da cui hai preso le distanze benché cristiana/o, oppure a cui sei totalmente estranea/o”.

Nella lettera pastorale il vescovo ha invitato a vivere nella realtà: “Se ci guardiamo attorno con attenzione notiamo che troppe persone preferiscono vivere nell’illusione piuttosto che abitare la realtà. Ci si rifugia nel virtuale, possibilmente in ciò che ci consegna un po’ di leggerezza e di distrazione, come se ci si dovesse allontanare da qualcosa che pesa sul cuore e che non riusciamo ad affrontare.

Le relazioni sui social, ad esempio, sono molto più gestibili rispetto a quelle in carne ed ossa e meno inquietanti, specie quando l’altro mi interpella. Rimanere soli con i propri pensieri fa emergere le domande ‘vere’, quelle che provocano, e non siamo più preparati a questi momenti di meditazione sul reale… se in fondo vivo abbastanza bene così, perché crearmi problemi dove non ci sono?”

Tale fuga dalla realtà induce al ‘male di vivere’: “In realtà tante persone percepiscono nel loro mondo interiore una sorta di male di vivere. Se si prova a confrontarsi su questo, molti accennano a stanchezza o spossatezza, ma in realtà si ha l’impressione che questo atteggiamento abbia radici più profonde. Non si tratta di stanchezza legata a reali problemi di salute, né della ‘stanchezza buona’ di chi ha affrontato una fatica fisica o psichica temporanea, quella che si supera con una notte di riposo e un po’ di tranquillità”.

Tale ‘male di vivere’ dipende dalla mancanza di speranza: “Parliamo di un’altra stanchezza, più sottile e persistente. Qui abbiamo a che fare con un deficit di speranza. Si guarda al futuro e lo si vede così incerto e problematico, da non avere voglia di affrontarlo. Quando questa percezione della realtà diventa radicata e pervasiva, ecco che si manifesta in modo inquietante, specie tra i ragazzi e le ragazze: mancanza di entusiasmo e di prospettive per la propria esistenza, assenza di interesse per il mondo in cui siamo inseriti, una certa tendenza al vittimismo, alla fuga o alla violenza gratuita… sono tutte facce della stessa medaglia”.

Mancanza di speranza che impatta sulla natalità: “Ad un primo sguardo le cause di questo calo di speranza ci appaiono quelle di cui spesso si parla quando ci incontriamo: l’improvviso mutare degli equilibri politici mondiali, le guerre che ci sgomentano e che sono alle nostre porte, il cambiamento climatico che sembra portare irreversibilmente ad un pianeta non più vivibile, la crisi economica che fa perdere potere di acquisto ai nostri soldi e che crea sempre più disuguaglianze, una convivenza sociale sempre più segnata da competizione, mancanza di rispetto delle regole, violenza e manipolazione degli altri invece di gentilezza e rispetto.

Tutto vero. Queste situazioni ci spaventano e minano la nostra fiducia nel futuro. Ma in realtà c’è anche un’altra radice di cui tener conto. Abbiamo smesso di credere davvero a quelle ‘narrazioni’ che ci permettevano di avere speranza, che ne erano a fondamento”.

Ricordando ‘La vita è bella’ di Roberto Benigni mons. Palmieri ha sottolineato l’importanza della famiglia per formare l’attitudine alla speranza: “E’ proprio importante ciò che viviamo in famiglia perché si formi in noi l’attitudine a sperare! Qualche tempo fa un papà, con un bambino di tre anni, mi disse: da giovane ero narcisista e menefreghista! Non avrei mai immaginato che mi sarei ritrovato da adulto, grazie a questo figlio, a pensare che la sua vita vale molto più della mia, che lui viene prima di tutto…. Mi ha colpito tanto il discorso di questo papà”.

Solo attraverso la generatività si ama: “Grazie al suo bambino, egli ha imparato ad amare. Ora: nascere in un contesto familiare così, in un clima che si origina e si nutre di amore, pur in mezzo a mille fragilità ed errori dei propri genitori, non è cosa da poco. Chi lo sperimenta, sente nel profondo che potrà cadere tante volte nella vita, ma avrà sempre nel cuore la forza di rialzarsi, avrà nel suo DNA la speranza. Di generazione in generazione, quindi, noi ci trasmettiamo la speranza grazie all’amore che ci scambiamo: La speranza non delude, perché l’amore ci è stato riversato nel cuore”.

Ed a tale speranza umana quella cristiana non toglie nulla, anzi offre una vita completa: “La visione cristiana aggiunge a questa riflessione una convinzione decisiva: nell’interiorità di ogni uomo è presente Dio, lo Spirito Santo, fin da quando viene al mondo. Questo significa che Dio alimenta dal di dentro la speranza degli uomini, li spinge a lottare, a non rassegnarsi, a cercare di collaborare con tutti per realizzare il bene. La Pasqua di Gesù vuole rivelarci che niente, neppure la morte, può spegnere la speranza nel cuore di un uomo”.

Per questo motivo la Pasqua è un punto ‘fermo’: “La Pasqua di Gesù è l’àncora della nostra speranza: lo Spirito del Risorto agisce in ogni angolo del mondo e in ogni cuore umano per portare avanti il regno di Dio, vale a dire, nel linguaggio di Gesù, il mondo come Dio lo sogna: il regno di pace, giustizia, fraternità, amore… Dio non lo sogna soltanto: lo realizza con l’aiuto degli uomini, suscitando nel cuore delle persone, per mezzo dello Spirito, la determinazione a sperare e a lottare. Che bello vedere anche oggi, in ogni popolo, cultura e religione, profeti appassionati e determinati, che credono nella forza del bene!

La speranza è allora una ‘fiducia nella vita’ che contiene anche indirettamente, talvolta inconsapevolmente, una ‘fiducia nel Dio che dona la vita’, nel Dio che porta avanti il suo regno nel mondo per mezzo dello Spirito del Risorto”.

Per questo il vescovo ha invitato a vivere la vita come pellegrinaggio: “Nel Giubileo si cammina, ma gustando tutta la pienezza di significato di questo movimento dei piedi e del corpo, fatto da soli o in tanti, non importa. Si tratta prima di tutto di uscire di casa senza fretta, dandosi un tempo ampio per raggiungere un luogo dove incontrare il Signore”.

E’ un invito a ripercorrere le tappe fondamentali della propria vita: “Ti invito a meditare durante il cammino, ripensando alla tua esistenza, ai luoghi che hai attraversato durante la tua vita, ai compagni di pellegrinaggio che più hai amato, a quello che si è depositato dentro di te grazie ai tanti incontri e alle tante vicende di cui sei stato protagonista…

Lascia affiorare alla tua memoria tutto: dolori e gioie, errori e scelte decisive, peccati e bene compiuto. Questo tempo di meditazione ti aiuterà a scoprire che la tua vita non è stato un andare a vuoto, ma un pellegrinaggio: il tuo cammino, anche se non lineare e forse pieno di strade sbagliate o di tentazioni di ritornare indietro, è sempre stato accompagnato dal Signore”.

E’ un invito a scegliere un’azione da compiere: “Si tratta di scegliere un’azione che risuoni con il cammino della tua vita, dando un significato personale alla tua conversione battesimale. Ecco qualche suggerimento: potresti decidere di visitare un anziano solo o un ammalato, farti vicino a qualcuno che sta vivendo un momento difficile (come un detenuto) o aiutare un ragazzo a fare i compiti a casa. Forse, più semplicemente, senti il desiderio di dedicare più tempo a ascoltare i tuoi familiari o i tuoi colleghi di lavoro.

Puoi dare una mano come volontario alla mensa o all’emporio Caritas o impegnarti in un gesto ecologico insieme a altre persone (pulire uno spazio trascurato da tutti). Potresti anche decidere di visitare il cimitero per pregare per i defunti più dimenticati o per le vittime di una tragedia, come il terremoto. Ci sono infinite possibilità!

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