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Nella Giornata di preghiera per le vocazioni suor Raffaella Spiezio invita a coniugare preghiera e carità

“In questa LXII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero rivolgervi un invito gioioso e incoraggiante ad essere pellegrini di speranza donando la vita con generosità. La vocazione è un dono prezioso che Dio semina nei cuori, una chiamata a uscire da sé stessi per intraprendere un cammino di amore e di servizio. Ed ogni vocazione nella Chiesa (sia essa laicale o al ministero ordinato o alla vita consacrata) è segno della speranza che Dio nutre per il mondo e per ciascuno dei suoi figli”: così scriveva papa Francesco nel messaggio ‘Pellegrini di speranza: il dono della vita’ in occasione della 62^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, in programma 11 maggio.
Da questo inizio del messaggio abbiamo dialogato con la ‘Figlia di Carità’ di san Vincenzo de’ Paoli, suor Raffaella Spiezio, responsabile della comunità ‘Casa Papa Francesco’ di Quercianella a Livorno, è una comunità educativa a dimensione familiare nata nel 2015 da un’intuizione delle ‘Figlie della Carità’ in collaborazione con la Caritas diocesana, che accoglie bambini fino a 16 anni, progettata e realizzata pensando al bene dei bambini, valorizzando il contatto con la natura e predisponendo ampi spazi all’aperto per i momenti di gioco e di fraternità.
Per quale motivo in questa giornata il papa rivolge l’invito ad essere pellegrini di speranza?
“Da molto tempo la domenica del Buon Pastore è dedicata alla giornata delle vocazioni. Questo anno si inserisce in una cornice speciale, perché è all’interno dell’anno del giubileo. Per tale motivo Papa Francesco ci ha invitati ad essere pellegrini Speranza, per ricordarci che la nostra vita si realizza in un cammino e nella ricerca della felicità che il Signore a pensato per ognuno di noi. La vocazione cristiana – in tutte le sue forme, dal sacerdozio alla vita consacrata, fino alla vocazione laicale e familiare – è sempre una risposta a una chiamata che porta luce, senso, fiducia e speranza. Essere pellegrini per mettersi in cammino con fiducia; testimoniare il Vangelo con la vita, diventando segno concreto di speranza nel mondo; accogliere la propria vocazione come un dono a servizio degli altri”.
Perchè papa Francesco nel messaggio si è rivolto proprio ai giovani con l’invito ad essere ‘protagonisti’ nel cammino vocazionale?
“Papa Francesco aveva sempre creduto molto nei giovani ed aveva chiesto loro sempre di essere protagonisti nel loro cammino, mettendosi in gioco e donando la propria con coraggio e libertà. Donare la loro vita soprattutto nel servizio ai piccoli e agli ultimi. Il papa aveva fiducia che i giovani erano capaci di saper ascoltare la chiamata di Dio e di poter rispondere in modo creativo e concreto.
Inoltre incoraggiava i giovani a ‘svegliare il mondo’, a ‘sognare in grande’ ed ad essere ‘coraggiosi cercatori di senso’. In un’epoca segnata da incertezze, conflitti e crisi di senso, i giovani sono chiamati a testimoniare con la loro vita che seguire Cristo è fonte di gioia e speranza”.
In quale modo è possibile discernere il proprio cammino vocazionale?
“Atteggiamento necessario per discernere la propria vocazione è innanzitutto avere il cuore e la mente aperta e disponibile. E’ necessario mettersi in ascolto della Parola di Dio, della vita così come si presenta e di una guida spirituale. Ci sono degli strumenti concreti che possono aiutare nel cammino e sono: la direzione spirituale, che vuol dire essere accompagnati da una persona di fede che ci aiuti a rileggere la nostra vita quotidiana alla luce della Parola di Dio. Nessuno può discernere da solo.
Esperienze di servizio: è importante e necessario conoscere sé stessi nel servizio e nel dono agli altri. Ciò avviene attraverso la vita comunitaria: vivere e condividere nella fraternità il proprio cammino, la propria ricerca di felicità, il proprio bisogno profondo di relazione. Ma è fondamentale una preghiera personale e comunitaria. Tutto questo facendo dei piccoli passi ogni giorno, affidandosi al Signore della vita e a chi ci mette accanto nel cammino”.
Cosa vuol dire compiere un cammino di discernimento?
“Significa intraprendere un percorso interiore, personale e spirituale… E’ un mettersi in ricerca della volontà di Dio per fare delle scelte autentiche, libere, belle e responsabili. Papa Francesco ha insistito molto nel dire che è un mettersi in ascolto dello Spirito Santo, non è una ricetta pronta ma è una dinamica di vivere”.
In quale modo è possibile coniugare preghiera e carità?
“Per noi ‘Figlie della Carità’ coniugare queste due dimensioni vuol dire vivere una fede concreta, è contemplare Cristo nel povero, amarlo con tenerezza… La preghiera è sempre abitata dalla storia dei poveri, non è mai una preghiera intimistica. San Vincenzo De’ Paoli diceva ‘non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama’. La preghiera si fa sempre azione, diventa contemplazione.
San Vincenzo De’ Paoli inoltre diceva che a volte era necessario ‘lasciare Dio per Dio’ lasciare la preghiera per ritrovarlo nella vita dei piccoli e nei fragili perché lì c’è Dio come meditiamo nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo”.
‘Abbiate un cuore grande che nulla trova difficile per amore di Dio’, scriveva santa Luisa de Marillac: allora tutto è facile?
“Non è facile ma questa frase dice che l’amore rende possibile anche ciò che sembra impossibile. La ricerca della propria vocazione non è una strada senza fatica, ostacoli o dubbi ma non è questo ciò che è importante ma è la ricerca di una vita da vivere in pienezza donata a Dio per gli altri.
San Vincenzo e santa Luisa hanno vissuto in un’epoca particolare, dove i poveri se trovati a chiedere aiuto venivano messi nelle carceri. Non c’era posto per loro da nessuna parte. San Vincenzo è stato il rivoluzionario della Carità. Mettersi al servizio del fratello allarga il cuore. Tutto cambia quando ci fidiamo di Dio e si sceglie di amare. Chi dona la sua vita con coraggio: nel cuore del povero troverà il sogno di Dio per se e per il mondo la speranza”.
Rimini festeggia il 175° anniversario del prodigio della sua Patrona

«Nel Vangelo di Giovanni – afferma mons. Nicolò Anselmi, vescovo di Rimini – Gesù, dalla croce, affida il discepolo amato a Maria: ‘Ecco tua madre’. È un gesto che ci ricorda come l’amore di Dio si compia anche attraverso la tenerezza e la misericordia di Maria, madre della Chiesa e madre di ciascuno di noi. Nel cuore di questo Anno Giubilare, il tema della misericordia assume un significato ancora più profondo: Dio non guarda i nostri peccati, ma ci offre sempre la possibilità di ricominciare. Il suo perdono è la prima, fondamentale forma di misericordia: un invito continuo alla conversione, alla fiducia, alla speranza.
La festa della Madonna della Misericordia di Rimini quest’anno assume un carattere speciale. Ricorrono infatti i 175 anni dal miracolo degli occhi, un evento che continua a parlare al cuore dei fedeli, richiamandoci alla presenza viva di Maria nella nostra storia e nel nostro cammino di fede. Non a caso, il Santuario è stato scelto tra i diciotto luoghi giubilari della nostra Diocesi, segno di una grazia che continua a fluire. La solennità sarà arricchita anche dalla partecipazione della parrocchia di Fiumicino di Savignano sul Rubicone, che animerà la processione con suggestivi quadri viventi realizzati da bambini, ragazzi e adulti: un gesto bello e coinvolgente, che unisce generazioni diverse nella devozione e nella bellezza.
Desidero inoltre sottolineare un gesto particolarmente significativo: il quadro della Madonna della Misericordia sarà portato anche in carcere, a testimonianza che nessun luogo è escluso dalla carezza di Dio. Anche dietro le sbarre, Maria guarda i suoi figli con occhi pieni di amore. Affidiamoci dunque a Lei, Madre della Misericordia, perché ci accompagni con dolcezza verso una fede sempre più viva e un cuore sempre più aperto agli altri».
Il Santuario della Madonna della Misericordia, affidato alla cura pastorale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, si prepara a vivere un’intensa settimana di celebrazioni ad iniziare dal triduo di preparazione, predicato da don Vincenzo Giannuzzi, Missionario del Preziosissimo Sangue, che accompagnerà i fedeli attraverso tre giornate, ciascuna dedicata a un’intenzione particolare.
Mercoledì 7 maggio sarà la giornata del malato, durante la quale verrà amministrato il Sacramento dell’Unzione degli Infermi. Giovedì 8 maggio, giornata dedicata alla vita e alle vocazioni, si terrà alle ore 21:00 la catechesi di fra’ Roberto Pasolini, Predicatore della Casa Pontificia. Venerdì 9 maggio la comunità si riunirà per una giornata di preghiera per la pace, con la veglia mariana delle ore 21:00.
I festeggiamenti proseguiranno sabato 10 maggio alle ore 20:30, con la solenne concelebrazione eucaristica nella Basilica Cattedrale presieduta da mons. Nicolò Anselmi. Al termine della Messa si svolgerà la processione con il quadro prodigioso della Madonna della Misericordia. Domenica 11 maggio alle ore 21:00, si terrà un concerto in onore della Madonna curato dalla Cappella Musicale Malatestiana.
Lunedì 12 maggio, festa liturgica della Madonna della Misericordia, alle ore 11:15 si terrà la Santa Messa presieduta da don Benedetto Labate, direttore della Provincia Italiana dei Missionari del Preziosissimo Sangue, mentre alle 18:00 seguirà una celebrazione animata dalla Famiglia Salesiana di Rimini, presieduta dal direttore don Roberto Smeriglio. Infine, mercoledì 14 maggio alle ore 18:00, si terrà una solenne celebrazione presieduta dal cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo emerito di Genova. Nel corso della settimana i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria degli istituti Maestre Pie e Sant’Onofrio renderanno omaggio a Maria con una simbolica offerta floreale.
«La festa della Madonna della Misericordia – evidenzia don Giuseppe Pandolfo, Missionario del Preziosissimo Sangue e rettore del Santuario – rappresenta un appuntamento di grande significato non soltanto per la comunità cristiana, ma per l’intera cittadinanza riminese e non solo. Nel corso degli anni, questo evento ha profondamente segnato la vita della città, contribuendo alla trasformazione della piccola chiesa di Santa Chiara nell’attuale Santuario della Madonna della Misericordia, oggi mèta di numerosi pellegrini, fedeli e turisti. Un sentito ringraziamento a tutti i collaboratori del Santuario che, a vario titolo, hanno contribuito alla preparazione degli eventi; alle autorità civili e militari che prenderanno parte ai festeggiamenti; al sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, e alla diocesi di Rimini, nella persona del vescovo, mons. Nicolò Anselmi».
Fondazione Kon e Rondine lanciano l’ ‘Impresa di Pace’: nel numero speciale di Forbes Italia il racconto delle 32 aziende che hanno raccolto la sfida

La pace passa anche attraverso le aziende? E’ possibile guidare un’impresa facendo del dialogo e dei valori un terreno fondante sul quale costruire un approccio diverso all’economia? Lo assicurano i protagonisti del mondo imprenditoriale italiano, che già fanno di questo approccio una scelta di vita e di affari.
La pace si costruisce anche attraverso l’impresa. Questa la sfida lanciata da Francesco Ferragina, presidente della Fondazione Kon e di KON Group SpA ambassador di Rondine che condividendo i fondamenti del suo Metodo per la trasformazione del conflitto ha raccolto esperienze di valore di 32 aziende di diversi settori e dimensioni che, con il loro operato, dimostrano come il dialogo e la collaborazione possano tradursi in una vera e propria strategia di crescita e impatto sociale: esempi concreti di imprese che hanno scelto di essere protagoniste di questa rivoluzione, condividendo le loro esperienze e best practice in un’ottica di crescita collettiva. Un racconto a più voci accolto dal numero speciale che Forbes Italia in uscita oggi 10 aprile ha dedicato a un tema inedito e rivoluzionario: l’Impresa di Pace.
Questo numero speciale di Forbes Italia “non si limita a presentare una teoria – come anticipa Alessandro Rossi, Direttore editoriale, Forbes Italia nel suo editoriale – ma sviluppa un concetto che prende forma attraverso quattro articoli distinti e complementari, che gettano luce su un’idea capace di trasformare profondamente il nostro modo di intendere l’impresa, il conflitto, il valore economico e un nuovo modo di pensare la pace in un’epoca di grandi cambiamenti.
Introduce il volume l’articolo di Francesco Ferragina, Presidente della Fondazione Kon che, insieme al Vice-Presidente e al Consigliere delegato della stessa, ha contribuito alla realizzazione di questo numero. La Fondazione nasce dal desiderio di donare l’esperienza e le competenze tecniche dei professionisti della KON S.p.A. a beneficio di organizzazioni del Terzo Settore, permettendo lo scambio tra servizi e saperi e, soprattutto, offrendo tempo e risorse per generare un cambiamento sociale concreto.
“L’impresa è una comunità che interagisce con il mondo esterno e, per questo, ha il potenziale di influenzare profondamente il tessuto sociale – afferma Ferragina nel suo intervento. – Se vogliamo costruire un futuro sostenibile, dobbiamo diffondere la consapevolezza che Impresa e Pace sono due concetti strettamente connessi”. Il ruolo dell’impresa di pace diventa dunque cruciale, integrando obiettivi economici con valori etici e sociali per generare un impatto positivo e duraturo nelle comunità in cui opera.
L’iniziativa parte da una consapevolezza chiara: l’impresa non è solo un motore economico, ma anche un laboratorio di relazioni umane, un luogo in cui si può generare fiducia, innovazione e coesione sociale. Questa l’idea alla base dell’intervento di Franco Vaccari, Fondatore e Presidente di Rondine, che da oltre trent’anni forma leader provenienti da contesti di guerra, ‘nemici’ tra loro, promuovendo il Metodo Rondine per la trasformazione creativa dei conflitti: un metodo fondato sull’ascolto e sulla valorizzazione delle differenze che viene così applicato anche all’ecosistema aziendale, trasformando le imprese in veri e propri ‘habitat della fiducia’, dove il conflitto da ostacolo diventa risorsa per il cambiamento e la crescita condivisa.
Nel suo intervento, Vaccari delinea il profilo dell’ ‘imprenditore di pace’: un leader consapevole che sceglie di costruire la propria azienda come spazio generativo di fiducia, trasformando la gestione delle relazioni e dei conflitti in una leva strategica per il successo: “La pace non è assenza di guerra, ma un processo attivo che si realizza attraverso azioni quotidiane – scrive Vaccari –. Le imprese hanno il potere di rendere la pace un’esperienza viva e tangibile, radicata nel tessuto sociale ed economico”.
Una visione sostanziata dal contributo di Stefano Zamagni, economista di riferimento per l’economia civile il quale evidenzia nell’impresa di pace la capacità di rispondere alle esigenze di un’economia che guarda al futuro in una prospettiva di sviluppo sostenibile e umano, in cui profitto e bene comune non solo non si escludono, ma si sostengono a vicenda.
L’ultimo contributo quello di don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del lavoro, che affronta il tema della responsabilità della costruzione della pace e ricordando come l’enciclica Fratelli tutti, individui nell’attività degli imprenditori “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti” definisce la pace come “frutto della capacità di pensarsi comunità di destino”.
Un progetto che ha ricevuto anche la benedizione del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, che pure in un momento così difficile per la salute del Santo Padre, ha trovato il tempo di ricevere il gruppo degli ideatori del progetto e dedicare un pensiero alle Imprese di Pace.
Il percorso tracciato da Rondine si inserisce perfettamente nell’alveo dell’Economy of Francesco, l’iniziativa lanciata da Papa Francesco per promuovere un modello economico più giusto e sostenibile. L’”imprenditore di pace” diventa così il protagonista di un cambiamento necessario, un catalizzatore di innovazione che unisce etica e profitto per costruire un mondo più equo.
La collaborazione tra Rondine e Kon Group ha già portato a iniziative concrete, come l’inserimento del Premio “Imprese di Pace” all’interno dei Sustainability Awards, evento annuale che si svolge presso Borsa Italiana e premia le aziende più virtuose nel campo della sostenibilità. Quest’anno, per la prima volta, verrà riconosciuto il ruolo di quelle imprese che fanno della pace un valore fondante del proprio operato, adottando strategie e modelli di governance ispirati alla cultura del dialogo e della responsabilità sociale.
L’invito lanciato da Fondazione Kon e Rondine è chiaro: esplorare e approfondire il concetto di Impresa di Pace, affinché sempre più aziende possano accogliere questa sfida epocale e adottare l’approccio rivoluzionario di Rondine per contribuire attivamente a un futuro di pace e prosperità per tutti.
Si desidera ringraziare tutte le imprese che hanno deciso di mettersi in gioco per avviare un cambiamento rilevante:
ABOCA Massimo Mercati
ALMA Carla Casini
AUTOMHA Franco Togni
BANCA INVESTIS Stefano Vecchi
BARACLIT Luca Bernardini
BRUNELLO CUCINELLI Brunello Cucinelli
COMERIO Riccardo Comerio
EPTA Marco Nocivelli
EUSIDER Maria Anghileri
Cartotecnica FAVINI srl Eugenio Eger
GILARDONI Marco Gilardoni
GRAZIANO RICAMI Graziano Giordani
GREENENERGY Angelo Bruscino
GUNA Alessandro Pizzoccaro
I.CO.P. Piero Petrucco
ITALCER Graziano Verdi
ITALPREZIOSI Ivana Ciabatti
LUNELLI FERRARI SPUMANTI Matteo Lunelli
MELY’S MAGLIERIA Marco Sanarelli
OPEN-ES Stefano Fasani
SAPIO Maurizio Colombo
SAVIOLA Alessandro Saviola
SBS Sandro Storti
SESA S.p.A. Paola Castellacci
SODAI Marzia Chiesa
STARHOTELS Elisabetta Fabri
TAMPIERI Davide Tampieri
TRANSITALIA Luigi D’Auria
URBANI TARTUFI Olga Urbani
VENTIVE Roberto Sfoglietta
VGV Fabrizio Vicari
YAMAMAY Barbara Cimmino
Comunicare speranza: la vita e l’arte di Chris Cappell

“Comunicare speranza: la vita e l’arte di Chris Cappell” è il tema di un incontro con i giovani che si è tenuto all’Università Europea di Roma, nell’ambito del Laboratorio di comunicazione “Non sei un nemico!”, attività del Centro di Formazione Integrale che incoraggia una cultura di dialogo, di accoglienza e di ascolto degli altri.
Chris Cappell è il nome d’arte di Christian Cappelluti, cantautore di grande talento scomparso nel 1998 a soli 22 anni. La sua storia e i suoi ideali hanno ispirato la vita di tanti ragazzi nel mondo. Ne hanno parlato, all’Università Europea di Roma, Jacopo Cherzad, Responsabile della Fondazione Christian Cappelluti ETS, e il giornalista Carlo Climati, Direttore del Laboratorio di comunicazione. Jacopo Cherzad ha mostrato i tanti frutti nati dalla memoria di Christian, come i progetti della Fondazione che porta il suo nome e che è diventata un’occasione di speranza e solidarietà.
“Le tante attività che la Fondazione porta avanti, ispirandosi al pensiero di Christian, si concentrano principalmente sull’educazione e sui bisogni dei più giovani”, ha spiegato Jacopo Cherzad. “I progetti sono diffusi su quattro continenti: dalla costruzione del Chris Cappell College di Anzio a quello gemello di Paravur in India, dalle borse di studio alla Wake Forest University nel North Carolina ai tanti interventi umanitari in Africa. Negli anni, migliaia di giovani e giovanissimi hanno beneficiato dell’attività della Fondazione e hanno conosciuto la storia di Christian, sentendolo come un amico”. Carlo Climati ha illustrato l’arte poetica di Chris Cappell e i messaggi di speranza dei suoi testi, ascoltando alcune canzoni insieme ai ragazzi presenti all’incontro.
“Nel suo Messaggio per la 51ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Francesco ha invitato a comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo. Nell’anno del Giubileo, che ha come tema la speranza, la vita di Chris Cappell rappresenta un bellissimo esempio per tutti noi”, ha concluso Carlo Climati. “L’incontro all’Università Europea di Roma è una bella opportunità per riflettere sui grandi ideali che la vita di un giovane può ispirare per sempre. Il meraviglioso dono di Christian è quello di offrirci uno sguardo verso l’infinito e una visione di speranza nel domani”.
Papa Francesco: la vocazione è un pellegrinaggio di speranza

Nel Messaggio per la Giornata di preghiera per le vocazioni, in programma domenica 11 maggio, papa Francesco invita ad affidarsi a Dio che ‘non delude’ mai ed ad essere ‘Pellegrini di speranza: il dono della vita’: “In questa LXII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, desidero rivolgervi un invito gioioso e incoraggiante ad essere pellegrini di speranza donando la vita con generosità. La vocazione è un dono prezioso che Dio semina nei cuori, una chiamata a uscire da sé stessi per intraprendere un cammino di amore e di servizio. Ed ogni vocazione nella Chiesa (sia essa laicale o al ministero ordinato o alla vita consacrata) è segno della speranza che Dio nutre per il mondo e per ciascuno dei suoi figli”.
E’ un particolare invito ai giovani a non perdere la fiducia: “In questo nostro tempo, molti giovani si sentono smarriti di fronte al futuro. Sperimentano spesso incertezza sulle prospettive lavorative e, più a fondo, una crisi d’identità che è crisi di senso e di valori e che la confusione digitale rende ancora più difficile da attraversare. Le ingiustizie verso i deboli e i poveri, l’indifferenza di un benessere egoista, la violenza della guerra minacciano i progetti di vita buona che coltivano nell’animo”.
Ma nello stesso tempo è un invito alla Chiesa all’accoglienza: “Eppure il Signore, che conosce il cuore dell’uomo, non abbandona nell’insicurezza, anzi, vuole suscitare in ognuno la consapevolezza di essere amato, chiamato e inviato come pellegrino di speranza. Per questo, noi membri adulti della Chiesa, specialmente i pastori, siamo sollecitati ad accogliere, discernere e accompagnare il cammino vocazionale delle nuove generazioni. E voi giovani siete chiamati ad esserne protagonisti, o meglio co-protagonisti con lo Spirito Santo, che suscita in voi il desiderio di fare della vita un dono d’amore”.
Un messaggio rivolto ai giovani con l’invito a dare una risposta alla vita, come hanno fatto i santi: “E’ necessario prendere coscienza che il dono della vita chiede una risposta generosa e fedele. Guardate ai giovani santi e beati che hanno risposto con gioia alla chiamata del Signore: a Santa Rosa di Lima, San Domenico Savio, Santa Teresa di Gesù Bambino, San Gabriele dell’Addolorata, ai Beati (tra poco Santi) Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati e a tanti altri. Ciascuno di loro ha vissuto la vocazione come cammino verso la felicità piena, nella relazione con Gesù vivo. Quando ascoltiamo la sua parola, ci arde il cuore nel petto e sentiamo il desiderio di consacrare a Dio la nostra vita! Allora vogliamo scoprire in che modo, in quale forma di vita ricambiare l’amore che Lui per primo ci dona”.
Per questo la vocazione non va disgiunta dalla speranza: “Ogni vocazione, percepita nella profondità del cuore, fa germogliare la risposta come spinta interiore all’amore e al servizio, come sorgente di speranza e di carità e non come ricerca di autoaffermazione. Vocazione e speranza, dunque, si intrecciano nel progetto divino per la gioia di ogni uomo e di ogni donna, tutti chiamati in prima persona ad offrire la vita per gli altri. Sono molti i giovani che cercano di conoscere la strada che Dio li chiama a percorrere: alcuni riconoscono, spesso con stupore, la vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata; altri scoprono la bellezza della chiamata al matrimonio e alla vita familiare, come pure all’impegno per il bene comune e alla testimonianza della fede tra i colleghi e gli amici”.
Per tale motivo la speranza è ‘radicata’ nella Provvidenza con impegno: “Ogni vocazione è animata dalla speranza, che si traduce in fiducia nella Provvidenza. Infatti, per il cristiano, sperare è ben più di un semplice ottimismo umano: è piuttosto una certezza radicata nella fede in Dio, che opera nella storia di ogni persona. E così la vocazione matura attraverso l’impegno quotidiano di fedeltà al Vangelo, nella preghiera, nel discernimento, nel servizio”.
Ma un cammino vocazionale ha bisogno di discernimento: “La scoperta della propria vocazione avviene attraverso un cammino di discernimento. Questo percorso non è mai solitario, ma si sviluppa all’interno della comunità cristiana e insieme ad essa. Cari giovani, il mondo vi spinge a fare scelte affrettate, a riempire le giornate di rumore, impedendovi di sperimentare un silenzio aperto a Dio, che parla al cuore”.
E’ un invito ad ascoltare: “Abbiate il coraggio di fermarvi, di ascoltare dentro voi stessi e di chiedere a Dio cosa sogna per voi. Il silenzio della preghiera è indispensabile per ‘leggere’ la chiamata di Dio nella propria storia e per dare una risposta libera e consapevole”.
Ascoltare significa prestare attenzione alle ‘ferite’ dell’umanità: “Il raccoglimento permette di comprendere che tutti possiamo essere pellegrini di speranza se facciamo della nostra vita un dono, specialmente al servizio di coloro che abitano le periferie materiali ed esistenziali del mondo. Chi si mette in ascolto di Dio che chiama non può ignorare il grido di tanti fratelli e sorelle che si sentono esclusi, feriti, abbandonati. Ogni vocazione apre alla missione di essere presenza di Cristo là dove più c’è bisogno di luce e consolazione. In particolare, i fedeli laici sono chiamati ad essere “sale, luce e lievito” del Regno di Dio attraverso l’impegno sociale e professionale”.
E per far sì che ciò accade c’è necessità di ‘guide sagge’: “In tale orizzonte, gli operatori pastorali e vocazionali, soprattutto gli accompagnatori spirituali, non abbiano paura di accompagnare i giovani con la speranzosa e paziente fiducia della pedagogia divina. Si tratta di essere per loro persone capaci di ascolto e di accoglienza rispettosa; persone di cui possano fidarsi, guide sagge, pronte ad aiutarli e attente a riconoscere i segni di Dio nel loro cammino.
Esorto pertanto a promuovere la cura della vocazione cristiana nei diversi ambiti della vita e dell’attività umana, favorendo l’apertura spirituale di ciascuno alla voce di Dio. A questo scopo è importante che gli itinerari educativi e pastorali prevedano spazi adeguati di accompagnamento delle vocazioni”.
Mons. Palmieri: nella realtà si vive la speranza

“Carissima! Carissimo! Se hai aperto questa lettera, forse ti ha spinto la curiosità. Il tema della speranza ti ha provocato? Oppure ti interessa sapere cosa viene proposto dalla nostra Diocesi per l’anno giubilare? O ancora niente di tutto questo… Con questo piccolo testo che hai tra le mani vorrei condividere con te qualche riflessione sulla speranza, a partire da un’affermazione dell’apostolo Paolo che mi sembra molto bella: la speranza non delude, perché l’amore ci è stato riversato nel cuore per mezzo dello Spirito Santo. In questo versetto è sintetizzato tutto ciò che troverai in questa lettera”.
Così inizia la lettera pastorale di mons. Gianpiero Palmieri, arcivescovo di Ascoli Piceno e vescovo di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, che ha voluto riflettere sui ‘pellegrini di speranza’: “Non ti scrivo solo a titolo personale, ma come guida di una comunità cristiana (per questo userò il ‘noi’), di cui ti senti parte, oppure da cui hai preso le distanze benché cristiana/o, oppure a cui sei totalmente estranea/o”.
Nella lettera pastorale il vescovo ha invitato a vivere nella realtà: “Se ci guardiamo attorno con attenzione notiamo che troppe persone preferiscono vivere nell’illusione piuttosto che abitare la realtà. Ci si rifugia nel virtuale, possibilmente in ciò che ci consegna un po’ di leggerezza e di distrazione, come se ci si dovesse allontanare da qualcosa che pesa sul cuore e che non riusciamo ad affrontare.
Le relazioni sui social, ad esempio, sono molto più gestibili rispetto a quelle in carne ed ossa e meno inquietanti, specie quando l’altro mi interpella. Rimanere soli con i propri pensieri fa emergere le domande ‘vere’, quelle che provocano, e non siamo più preparati a questi momenti di meditazione sul reale… se in fondo vivo abbastanza bene così, perché crearmi problemi dove non ci sono?”
Tale fuga dalla realtà induce al ‘male di vivere’: “In realtà tante persone percepiscono nel loro mondo interiore una sorta di male di vivere. Se si prova a confrontarsi su questo, molti accennano a stanchezza o spossatezza, ma in realtà si ha l’impressione che questo atteggiamento abbia radici più profonde. Non si tratta di stanchezza legata a reali problemi di salute, né della ‘stanchezza buona’ di chi ha affrontato una fatica fisica o psichica temporanea, quella che si supera con una notte di riposo e un po’ di tranquillità”.
Tale ‘male di vivere’ dipende dalla mancanza di speranza: “Parliamo di un’altra stanchezza, più sottile e persistente. Qui abbiamo a che fare con un deficit di speranza. Si guarda al futuro e lo si vede così incerto e problematico, da non avere voglia di affrontarlo. Quando questa percezione della realtà diventa radicata e pervasiva, ecco che si manifesta in modo inquietante, specie tra i ragazzi e le ragazze: mancanza di entusiasmo e di prospettive per la propria esistenza, assenza di interesse per il mondo in cui siamo inseriti, una certa tendenza al vittimismo, alla fuga o alla violenza gratuita… sono tutte facce della stessa medaglia”.
Mancanza di speranza che impatta sulla natalità: “Ad un primo sguardo le cause di questo calo di speranza ci appaiono quelle di cui spesso si parla quando ci incontriamo: l’improvviso mutare degli equilibri politici mondiali, le guerre che ci sgomentano e che sono alle nostre porte, il cambiamento climatico che sembra portare irreversibilmente ad un pianeta non più vivibile, la crisi economica che fa perdere potere di acquisto ai nostri soldi e che crea sempre più disuguaglianze, una convivenza sociale sempre più segnata da competizione, mancanza di rispetto delle regole, violenza e manipolazione degli altri invece di gentilezza e rispetto.
Tutto vero. Queste situazioni ci spaventano e minano la nostra fiducia nel futuro. Ma in realtà c’è anche un’altra radice di cui tener conto. Abbiamo smesso di credere davvero a quelle ‘narrazioni’ che ci permettevano di avere speranza, che ne erano a fondamento”.
Ricordando ‘La vita è bella’ di Roberto Benigni mons. Palmieri ha sottolineato l’importanza della famiglia per formare l’attitudine alla speranza: “E’ proprio importante ciò che viviamo in famiglia perché si formi in noi l’attitudine a sperare! Qualche tempo fa un papà, con un bambino di tre anni, mi disse: da giovane ero narcisista e menefreghista! Non avrei mai immaginato che mi sarei ritrovato da adulto, grazie a questo figlio, a pensare che la sua vita vale molto più della mia, che lui viene prima di tutto…. Mi ha colpito tanto il discorso di questo papà”.
Solo attraverso la generatività si ama: “Grazie al suo bambino, egli ha imparato ad amare. Ora: nascere in un contesto familiare così, in un clima che si origina e si nutre di amore, pur in mezzo a mille fragilità ed errori dei propri genitori, non è cosa da poco. Chi lo sperimenta, sente nel profondo che potrà cadere tante volte nella vita, ma avrà sempre nel cuore la forza di rialzarsi, avrà nel suo DNA la speranza. Di generazione in generazione, quindi, noi ci trasmettiamo la speranza grazie all’amore che ci scambiamo: La speranza non delude, perché l’amore ci è stato riversato nel cuore”.
Ed a tale speranza umana quella cristiana non toglie nulla, anzi offre una vita completa: “La visione cristiana aggiunge a questa riflessione una convinzione decisiva: nell’interiorità di ogni uomo è presente Dio, lo Spirito Santo, fin da quando viene al mondo. Questo significa che Dio alimenta dal di dentro la speranza degli uomini, li spinge a lottare, a non rassegnarsi, a cercare di collaborare con tutti per realizzare il bene. La Pasqua di Gesù vuole rivelarci che niente, neppure la morte, può spegnere la speranza nel cuore di un uomo”.
Per questo motivo la Pasqua è un punto ‘fermo’: “La Pasqua di Gesù è l’àncora della nostra speranza: lo Spirito del Risorto agisce in ogni angolo del mondo e in ogni cuore umano per portare avanti il regno di Dio, vale a dire, nel linguaggio di Gesù, il mondo come Dio lo sogna: il regno di pace, giustizia, fraternità, amore… Dio non lo sogna soltanto: lo realizza con l’aiuto degli uomini, suscitando nel cuore delle persone, per mezzo dello Spirito, la determinazione a sperare e a lottare. Che bello vedere anche oggi, in ogni popolo, cultura e religione, profeti appassionati e determinati, che credono nella forza del bene!
La speranza è allora una ‘fiducia nella vita’ che contiene anche indirettamente, talvolta inconsapevolmente, una ‘fiducia nel Dio che dona la vita’, nel Dio che porta avanti il suo regno nel mondo per mezzo dello Spirito del Risorto”.
Per questo il vescovo ha invitato a vivere la vita come pellegrinaggio: “Nel Giubileo si cammina, ma gustando tutta la pienezza di significato di questo movimento dei piedi e del corpo, fatto da soli o in tanti, non importa. Si tratta prima di tutto di uscire di casa senza fretta, dandosi un tempo ampio per raggiungere un luogo dove incontrare il Signore”.
E’ un invito a ripercorrere le tappe fondamentali della propria vita: “Ti invito a meditare durante il cammino, ripensando alla tua esistenza, ai luoghi che hai attraversato durante la tua vita, ai compagni di pellegrinaggio che più hai amato, a quello che si è depositato dentro di te grazie ai tanti incontri e alle tante vicende di cui sei stato protagonista…
Lascia affiorare alla tua memoria tutto: dolori e gioie, errori e scelte decisive, peccati e bene compiuto. Questo tempo di meditazione ti aiuterà a scoprire che la tua vita non è stato un andare a vuoto, ma un pellegrinaggio: il tuo cammino, anche se non lineare e forse pieno di strade sbagliate o di tentazioni di ritornare indietro, è sempre stato accompagnato dal Signore”.
E’ un invito a scegliere un’azione da compiere: “Si tratta di scegliere un’azione che risuoni con il cammino della tua vita, dando un significato personale alla tua conversione battesimale. Ecco qualche suggerimento: potresti decidere di visitare un anziano solo o un ammalato, farti vicino a qualcuno che sta vivendo un momento difficile (come un detenuto) o aiutare un ragazzo a fare i compiti a casa. Forse, più semplicemente, senti il desiderio di dedicare più tempo a ascoltare i tuoi familiari o i tuoi colleghi di lavoro.
Puoi dare una mano come volontario alla mensa o all’emporio Caritas o impegnarti in un gesto ecologico insieme a altre persone (pulire uno spazio trascurato da tutti). Potresti anche decidere di visitare il cimitero per pregare per i defunti più dimenticati o per le vittime di una tragedia, come il terremoto. Ci sono infinite possibilità!
A Soul successo di pubblico

Per cinque giorni, dal 19 al 23 marzo, il festival di spiritualità, Soul’ ha registrato il tutto esaurito agli oltre 60 appuntamenti diffusi in città sul tema ‘Fiducia, la trama del noi’ con 90 protagonisti d’eccezione fra cui David Grossman, Luigi Lo Cascio, Massimo Recalcati, Rav Roberto Della Rocca, José Tolentino de Mendonça, Elena Beccalli, David Quammen, Pierangelo Sequeri, Lino Guanciale, Maurizio Ferraris, Marta Cartabia e molti altri. Riscontro sorprendente anche per SOUL Young, la rassegna ideata e curata da giovani under 30.
Cinque giorni di festival diffuso, più di 60 appuntamenti e 90 protagonisti fra scrittori, teologi, filosofi, giornalisti, scienziati, musicisti e intellettuali chiamati a riflettere e a confrontarsi sul tema ‘Fiducia, la trama del noi’: con oltre 10.000 partecipanti, la seconda edizione di SOUL Festival di Spiritualità Milano, promosso da Università Cattolica del Sacro Cuore e Arcidiocesi di Milano con il patrocinio del Comune di Milano, ha confermato anche quest’anno un ampio successo di pubblico, con una partecipazione di grande qualità, interesse e attenzione attraverso i diversi momenti del palinsesto ideato dal comitato curatoriale composto da Luca Bressan, Armando Buonaiuto, Valeria Cantoni Mamiani e Aurelio Mottola.
Un invito a concedersi una pausa di riflessione, ispirazione e profondità dal ritmo frenetico di Milano, che tantissime persone hanno accolto scegliendo di prendere parte dal 19 al 23 marzo a lezioni, dialoghi, spettacoli, concerti, performance, laboratori esperienziali, segnando il tutto esaurito. Un’occasione unica di sosta e ascolto per esplorare le molteplici sfaccettature della fiducia, intesa anche come pratica concreta, fatta di gesti, ascolto e presenza, da coltivare con consapevolezza, spirito critico e apertura al cambiamento. A sorprendere, in questa direzione, è stata inoltre la forte adesione a SOUL Young, rassegna ideata e curata da giovani under 30, che ha affrontato il tema della fiducia anche con un linguaggio inedito come quello della stand up comedy: 380 i partecipanti nella sola giornata di sabato.
Un ringraziamento particolare va a tutti i Partner che hanno reso possibile SOUL Festival di Spiritualità Milano: ai Main Partner Intesa Sanpaolo e Humanitas University, ai Partner Edison e CFMT – Centro di Formazione Management del Terziario. A Fondazione Cariplo e Fondazione Rocca per il loro contributo, Rai Cultura e Avvenire per la media partnership, Fondazione Amplifon e Comieco.
Grazie in modo particolare al Comune di Milano che, oltre ad aver concesso il patrocinio all’iniziativa, ha sostenuto il festival con un’ampia campagna di comunicazione in tutta la città e a tutti i partner culturali e i luoghi che hanno ospitato il palinsesto: Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Memoriale della Shoah di Milano, Philo – Pratiche Filosofiche, Piccolo Teatro di Milano, Triennale Milano, Accademia di Brera, Frigoriferi Milanesi, Teatro Franco Parenti e Carcere di San Vittore, Basilica di San Nazaro in Brolo, Basilica di San Simpliciano, Castello Sforzesco, Duomo di Milano, Museo Diocesano di Milano, Refettorio Ambrosiano, Sagrestia di Santa Maria delle Grazie e altri.
Tanti i momenti di grande intensità del festival, a partire dall’evento inaugurale con la partecipazione straordinaria di David Grossman nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha riflettuto sulla bontà come scelta consapevole e atto di resistenza in un mondo segnato dalla diffidenza e dai conflitti: “Si dice che quando ami qualcuno, lo incontri a metà strada, ognuno fa la sua metà, ma non è così. Entrambi devono percorrere tutto il cammino, altrimenti l’amore non è abbastanza sincero”, ha dichiarato Grossman, sottolineando la difficoltà di costruire il dialogo quando si è ‘nati nemici’ e come la vera trasformazione richieda uno sforzo attivo, un’apertura al cambiamento capace di spezzare l’armatura dell’odio. Per proseguire, la stessa sera, con la lettura scenica, accompagnata da sonorizzazioni dal vivo di G.U.P. Alcaro, del capolavoro La strada di Cormac McCarthy a cura di Luigi Lo Cascio, capace con la sua interpretazione di dare corpo alla struggente narrazione di un padre e un figlio in un mondo ridotto in cenere, dove la sopravvivenza è una prova continua.
A condividere un messaggio di fiducia in relazione all’Europa è stata anche Roberta Metsola, Presidente del Parlamento europeo, con uno speciale videosaluto in cui ha sottolineato l’importanza deòò’iniziativa: “Il SOUL Festival di Spiritualità è un’opportunità per riscoprire ciò che ci unisce. Il tema di quest’anno tocca un aspetto essenziale della nostra convivenza, la fiducia, che è il fondamento delle nostre relazioni, della coesione sociale e della costruzione del futuro.
Senza fiducia non c’è comunità, non c’è progresso, non c’è pace. Nel mio discorso di insediamento per il secondo mandato da Presidente del Parlamento europeo ho sottolineato proprio l’importanza di custodire e costruire l’Europa sulla base di un legame di fiducia tra istituzioni e cittadini, tra popoli e nazioni, tra passato e futuro. Credere nella promessa dell’Europa significa credere nella sua capacità di unire, di dare speranza e di garantire dignità per tutti.
E’ con questo spirito che desidero esprimere il mio profondo apprezzamento per questo evento, che offre alla città di Milano un’occasione preziosa per intrecciare esperienze, visioni e prospettive diverse valorizzando il dialogo come strumento di crescita e comprensione reciproca. Il vostro lavoro e il vostro impegno sono più che mai necessari in un tempo in cui l’umanità ha bisogno di riscoprire il valore del noi. Buon festival a tutti”.
“Anche quest’anno SOUL Festival si è confermato un luogo di incontro tra pensiero critico e spiritualità, dando voce a tanti temi diversi, dalla letteratura alla scienza, dall’economia alla filosofia, fino alle tradizioni religiose e spirituali, nell’intento di individuare nuove vie per affrontare il presente e immaginare il futuro.
La qualità della partecipazione è stata sorprendente e commovente: un pubblico molto attento, concentrato nell’ascolto, ha conferito al festival un profondo senso di comunità e condivisione, che rappresenta l’essenza della nostra manifestazione. Ringraziamo tutti i partecipanti per aver contribuito a costruire la ‘trama del noi’ con la loro presenza e passione”, afferma il comitato curatoriale del festival, Luca Bressan, Armando Buonaiuto, Valeria Cantoni Mamiani e Aurelio Mottola.
Tra i numerosi ospiti della seconda edizione: Eraldo Affinati, Rav Alfonso Arbib, Teresa Bartolomei, Elena Beccalli, Miguel Benasayag, Alessandro Bergonzoni, Massimo Cacciari, Marta Cartabia, Aldo Cazzullo, Maia Cornacchia, Mario Delpini, Ambrogio Fasoli, Maurizio Ferraris, Ilaria Gaspari, Gilles Gressani, Gian Maria Gros-Pietro, Lino Guanciale, Nicola Lagioia, Matteo Lancini, Andrea Loreni, Alberto Mantovani, Mauro Magatti, Michela Matteoli, Daniele Mencarelli, Paolo Nori, Carlo Ossola, Nando Pagnoncelli, Massimiliano Panarari, Silvano Petrosino, David Quammen, Rav Roberto Della Rocca, Massimo Recalcati, Pierangelo Sequeri, Antonio Spadaro, José Tolentino de Mendonça, Maryanne Wolf, e altri ancora.
La sorprendente risposta del pubblico (gremiti tutti gli incontri del palinsesto) testimonia come SOUL Festival accolga e risponda a un’esigenza profonda di spiritualità e di ricerca interiore, offrendo spazi autentici di ascolto e dialogo intorno al tema della fiducia: nei legami, nelle parole, nel futuro. Fra questi il grande interesse per il ciclo dedicato ai ‘Maestri di fiducia’ nella Sagrestia di Santa Maria delle Grazie ha portato alla luce, in particolare, il desiderio di trovare nuove guide e riflessioni comuni, mentre l’intensa e la sentita partecipazione alle cene monastiche al Refettorio Ambrosiano ha espresso la necessità diffusa di rallentare per ritrovare un senso nei gesti più piccoli, aprendosi alla comunità, nella relazione con l’altro.
A Milano Soul tesse la trama della fiducia: a colloquio con Armando Bonaiuto

Ad aprire il Festival oggi, mercoledì 19 marzo alle ore 18.00, saranno David Grossman nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed alle ore 21.30 Luigi Lo Cascio al Teatro ‘Franco Parenti’; mentre la chiusura si svolge domenica 23 marzo alle ore 21.00 alla Basilica di San Nazaro in Brolo con un recital di Simonetta Solder e Valeria Cantoni Mamiani dall’autobiografia di Santa Teresa di Lisieux.
Tra gli ospiti: Eraldo Affinati, Teresa Bartolomei, Elena Beccalli, Miguel Benasayag, Alessandro Bergonzoni, Massimo Cacciari, Marta Cartabia, Aldo Cazzullo, Maia Cornacchia, Mario Delpini, Ambrogio Fasoli, Maurizio Ferraris, Ilaria Gaspari, Gilles Gressani, Lino Guanciale, Nicola Lagioia, Matteo Lancini, Andrea Loreni, Alberto Mantovani, Mauro Magatti, Michela Matteoli, Daniele Mencarelli, Paolo Nori, Carlo Ossola, Nando Pagnoncelli, Massimiliano Panarari, Silvano Petrosino, David Quammen, Rav Roberto Della Rocca, Massimo Recalcati, Pierangelo Sequeri, Antonio Spadaro, José Tolentino de Mendonça, Maryanne Wolf, e molti altri.
Ed anche un palinsesto articolato, dalle cene monastiche nel Refettorio Ambrosiano alla meditazione all’alba sulle Terrazze del Duomo, dagli esercizi spirituali mattutini sulle merlate del Castello Sforzesco alla lectio magistralis nel Carcere di San Vittore, insieme a dialoghi, laboratori e pratiche filosofiche, concerti, alla nuova rassegna ‘SOUL Young’ curata da giovani under 30, per esplorare le declinazioni della fiducia attraverso le tradizioni religiose e spirituali, le arti, la filosofia, l’economia, la scienza, la politica e tanto altro ancora.
‘Fiducia, la trama del noi’ è il tema al centro della seconda edizione di ‘SOUL Festival di Spiritualità’, l’appuntamento promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dall’Arcidiocesi di Milano, con il patrocinio del Comune di Milano, che torna nei luoghi significativi della città. Dalla letteratura alla scienza, dall’economia alla filosofia, abbracciando le tradizioni religiose e spirituali, le arti visive e il teatro, il Festival presenta una lettura transdisciplinare della fiducia attraverso lo sguardo di circa 90 protagonisti fra scrittori, teologi, filosofi, giornalisti, scienziati, musicisti e intellettuali, esplorandone le molteplici declinazioni e sfaccettature.
Con un palinsesto di oltre 60 momenti (interamente ideato dal comitato curatoriale composto da don Luca Bressan, Armando Buonaiuto, Valeria Cantoni Mamiani, Aurelio Mottola) fra lezioni e dialoghi, spettacoli e concerti, performance, pratiche di fiducia attraverso canto, corpo e danza, laboratori esperienziali e attività per le scuole, il Festival si propone come occasione di sosta e ascolto, per trovare una dimensione più profonda dell’essere insieme e suggerire altri ritmi e itinerari del pensiero, rispondendo a un bisogno autentico di spiritualità:
“Sono contento che SOUL conosca una seconda edizione, a dimostrazione che Milano ha davvero sete di spiritualità. La partecipazione conosciuta lo scorso anno, numerosa e di qualità, è segno di un’attesa e di una ricerca di senso, e di Dio, che è ancora molto presente nel quotidiano della vita milanese. Aver messo a tema la fiducia, con la sua declinazione molto efficace, intorno al tema del noi, ovvero dei legami, mi sembra una scelta azzeccata e capace di rispondere alle urgenze del nostro tempo, che vede sempre più infragilirsi la coesione sociale, la voglia e la capacità di riconoscersi fratelli, di sentirsi legati da un medesimo destino, dentro la stessa avventura”.
La seconda edizione di ‘SOUL’ esplora la vita come atto di fiducia: nel giorno che verrà, nelle relazioni di oggi e di domani, nell’essere al mondo non semplicemente tra gli altri, ma con gli altri, perché la mancanza di fiducia prosciuga il presente, e non c’è futuro che possa crescere sul terreno arido dell’individualismo. Praticare la fiducia, anche quando la parola suona compromessa, significa dunque credere che una trama ci sorregga, e che questa trama sia fatta delle nostre intese, di aperture senza garanzie, dell’aspettativa che uomini e donne agiscano non per il male, ma per il bene.
Ad uno dei curatori del festival, Armando Bonaiuto, conduttore della trasmissione radiofonica di Radio3 ‘Uomini e profeti’, abbiamo domandato di spiegare il motivo per cui la fiducia è la ‘trama del noi’: “Abbiamo dato questo titolo, perché pensiamo che la fiducia sia una struttura ‘invisibille’, ma essenziale, su cui si reggono le comunità, le relazioni ed ogni convivenza umana, in quanto senza la fiducia il ‘noi’, che abbiamo inserito nel titolo, rimarrebbe una sorta di individui senza un vero legante, un aggregato di solitudini; invece la fiducia è un ‘legante’ che consente di dare senso. Avere fiducia significa che non può essere soltanto una sorta di contrattazione di interessi; non ci deve essere soltanto una contrattazione strumentale tra le persone, perché altrimenti questo vincolo si dissolverebbe appena l’altra persona termina di esserti utile.
La fiducia deve essere il presupposto di una relazione autentica, comprendendo bene che la fiducia non è mai una certezza, ma un rischio consapevole, per cui noi abbiamo fiducia nell’altro senza avere garanzie assolute. Per questo è una trama. La abbiamo definita la ‘trama del noi’ e durante il festival rifletteremo sul significato di questa trama, che però non è indistruttibile, in quanto è chiaro che ogni gesto di coerenza aggiunge forza a questo tessuto, che se ben intrecciato regge grandi pesi, però non è indistruttibile . Per questo nel nostro tempo c’è grande crisi di fiducia, perché è lacerata dall’individualismo e dalla menzogna: tutto ciò lascia il posto al sospetto, al calcolo od alla paura dell’altro. Questi diventano elementi dominanti, che fanno sì che il ‘noi’ si frantumi e si perda la possibilità di una trama fitta, che però può essere ricostruita”.
In quale modo è possibile praticare la fiducia?
“Occorre fare lo sforzo di sottrarsi alla logica difensiva, in quanto viviamo in un’epoca in cui è dominante il concetto paranoico: si ha paura dell’inganno e della delusione, che conduce ad una chiusura dei rapporti ed ad una sterilità delle relazioni. Invece per praticare la fiducia bisogna essere consapevoli che non puoi non praticare il rischio; la fiducia si dà soltanto nella misura in cui sei pronto ad ‘esporti’ ed ad accettare la vulnerabilità tua e degli altri.
Credo che questa sia una parola chiave, perché bisogna essere consapevoli della vulnerabilità e fare un esercizio quotidiano di coerenza tra le parole che dici e le azioni che compi; un esercizio quotidiano di trasparenza delle tue intenzioni. E’ una costruzione graduale che si protrae nel tempo, anche attraverso la ripetizione di gesti, che però alla fine creano un orizzonte di affidabilità. Infine occorre dare anche peso al valore fragile della fiducia, in quanto essa può essere tradita, perché è un atto di libertà umana, la scegliamo consapevolmente”.
Allora, quali possono essere le conseguenze, se si perde la fiducia?
“Le conseguenze possono essere piuttosto drammatiche, perché se affidiamo ogni azione sulla reciproca affidabilità, quando si perde la fiducia rimane la disgregazione, individualmente e socialmente. A livello individuale la perdita di fiducia genera isolamento e si diventa incapace di costruire legami essenziali per la vita, diventando prigionieri di una solitudine, che ci piace chiamare autosufficienza. Invece, a livello sociale, la mancanza di fiducia dissolve il legame comunitario ed accade che il sospetto domina l’interazione tra le persone e la politica crea solo conflitti tra le parti con la visione di un’economia solo predatoria. A tutto ciò si aggiunge una comunicazione che chiede solamente una ‘fiammata’ di un momento, da dare solo nell’immediato. Tutto ciò è logorante per la parola, che andrebbe coltivata”.
Quale rapporto intercorre tra fede e fiducia?
“Hanno un’intima connessione, perché tanto la fede quanto la fiducia implicano un fatto di ‘abbandono’, esponendosi all’altro senza nessuna garanzia di controllo. La fiducia richiede l’incontro con l’altro per conoscersi e saggiarsi, mentre la fede è un atto assoluto, perché non prevede l’incontro ma l’abbandono all’Altro; è l’estremizzazione della fiducia. La fede è uno spazio di ‘incertezza; è un’espressione radicale di disposizione ad accogliere l’Altro. Quindi fede e fiducia chiedono di rifiutare la logica della verifica, che è una delle logiche ossessionanti del nostro tempo. Invece si tratta di riconoscere l’affidabilità dell’altro e dell’Altro”. Programma e prenotazioni agli appuntamenti disponibili al sito: www.soulfestival.it.
(Foto: Soul)
Da Tallin un messaggio di speranza per l’Europa

“Da molti anni la comunità ecumenica di Taizé guida il pellegrinaggio di fiducia sulla Terra, un filo ininterrotto di incontri in molti Paesi che si è fermato più volte in Francia. Così, su iniziativa dell’Arcivescovo di Parigi e su invito delle Chiese cristiane di Parigi e della sua regione, il prossimo incontro europeo dei giovani si svolgerà nella capitale francese dal 28 dicembre 2025 al 1° gennaio 2026”: questo annuncio è stato dato al termine dell’incontro europeo dei giovani, svoltosi a Tallin, in un comunicato congiunto dal metropolita Dimitrios, presidente dei vescovi ortodossi francesi, dal pastore Christian Krieger, presidente della federazione protestante francese, e da mons. Éric de Moulins-Beaufort, presidente della conferenza episcopale francese.
Nell’annuncio i co-presidenti del Consiglio delle Chiese Cristiane di Francia, hanno dato il loro ‘pieno’ sostegno a questa scelta della comunità di Taizé, che nei mesi precedenti hanno effettuato diversi incontri per pianificare l’incontro annuale, invitando i giovani nella capitale francese:
“Questo incontro sarà una grande opportunità per incontrarci in uno spirito di preghiera e di fraternità, di condivisione e di celebrazione, e per stabilire così una testimonianza cristiana di unità nel cuore di un mondo attraversato da tante tragedie e crisi. E’ a nome delle Chiese cristiane presenti in Francia che noi, leader cattolici, ortodossi e protestanti, vi invitiamo a venire a Parigi. In effetti, anche noi parliamo con una sola voce”.
Nel messaggio conclusivo hanno richiamato la lettera di frére Matthew, che è stato il filo conduttore dell’incontro appena terminato, per ‘sperare oltre ogni speranza’: “E crediamo che questo incontro a Parigi ci permetterà di sperimentare in modo molto concreto come l’ospitalità condivisa sia un segno bello e vero di speranza. Cari giovani, ne siamo convinti: sarete accolti con calore dai credenti delle nostre rispettive comunità cristiane, e anche dalle persone di buona volontà che decideranno di aprirvi le loro porte… E fino ad allora, la nostra comunione fraterna ci rafforzi reciprocamente per un migliore servizio a Dio e ai nostri fratelli e sorelle in Cristo, al servizio dell’annuncio del Vangelo in un mondo che ha tanto bisogno di speranza”.
Infatti nell’ultima meditazione frére Matthew ha ringraziato i giovani per le loro testimonianze di comunione con l’invito a condividere nei propri Paesi di origine ciò che hanno vissuto in questi giorni: “Ciò che avete condiviso insieme vi preparerà per il viaggio di ritorno, perché sebbene ciò che viviamo in questi giorni qui a Tallinn sia importante, il suo valore aumenta quando influenza la nostra vita quotidiana”.
La sfida è quella di testimoniare Dio, che è speranza, nel mondo: “La sfida per tutti noi è come discernere la presenza di Dio nel mezzo delle nostre lotte. Pur provenendo da situazioni molto diverse, come possiamo restare persone di speranza? Nella lingua kikuyu dell’Africa orientale, uno degli attributi di Dio è che Egli è ‘degno di speranza’, il Dio in cui possiamo riporre la nostra speranza”.
Tale speranza si concretizza nella resurrezione di Cristo: “Ciò si manifesta soprattutto nella vita, morte e risurrezione di Gesù. Eppure Gesù ha veramente sperimentato la durezza dell’esistenza umana e perfino la morte. Non è scappato da lei. Perché la nostra speranza cresca veramente, significa che dobbiamo affrontare la realtà così com’è, ma vederla alla luce delle promesse di Dio. Niente, nemmeno la morte, può separarci dall’amore fedele di Dio”.
Dopo essere risorto Gesù ha invitato i discepoli ad andare in Galilea, che anche oggi è inizio per testimoniare Gesù nel mondo contemporaneo: “Gesù li precede in Galilea, dove ha avuto inizio il Vangelo. Ciò suggerisce un nuovo inizio, ma anche un ritorno alle origini. Ma le donne fuggono dal sepolcro, prese dal terrore e dallo stupore. Questo è il motivo per cui, ci viene detto, non lo hanno detto a nessuno…
In questi giorni, provenienti da contesti, Paesi, Chiese ed epoche diverse, non abbiamo sperimentato un segno della speranza che ci promette la fiducia in Cristo risorto? Poiché Cristo è la nostra pace e ci dona questa pace, da pellegrini di speranza diventiamo anche pellegrini di pace”.
L’incontro è concluso con l’invito alla preghiera: “La pace senza giustizia non è vera pace, ma esiste anche una libertà interiore che deriva dalla fiducia più semplice, che chiamiamo fede. Mentre lottiamo per una pace giusta ovunque viviamo, faremo tutto ciò che è in nostro potere per rimanere liberi dentro di noi? Ogni venerdì a Taizé preghiamo in silenzio per la pace nel nostro mondo. Potremmo non avere le risposte che desideriamo, ma stare alla presenza di Dio può far sorgere in noi intuizioni. Alcune di queste intuizioni, condividendole con gli altri, ci porteranno forse ad agire”.
Un invito all’azione come ha fatto Gesù in quanto commosso dalla folla che lo seguiva: “La sua emozione si tradurrà in un’azione gentile ed efficace. Per prima cosa guarì i malati tra la folla. Ma la notte comincia a calare. I suoi amici vogliono mandare via la folla in cerca di cibo. Gesù, invece di essere d’accordo con loro, chiede ai suoi amici di guardare quello che già hanno. Trovarono cinque pani e due pesci, il che sembrò insufficiente data la grandezza del compito.
Ringrazia per quel poco che hanno trovato, spezza il pane e gli amici distribuiscono il cibo alla folla. E ciò che resta va oltre i loro bisogni. Gesù rifiuta di rassegnarsi ad una situazione che sembra impossibile. Il pasto che segue è un assaggio di ciò che avverrà in pieno nel futuro di Dio. La nostra fame e sete saranno soddisfatte ad ogni livello”.
Frère Matthew ha invitato i giovani ad avere fiducia in Gesù ed ad agire nello stesso modo: “Questa storia può plasmare la nostra speranza che, come è scritto nella Lettera, diventa ‘come l’ancora di una barca’. Ci tiene stretti quando infuria la tempesta. Ci permette di sperimentare piccoli segni della nostra fedeltà alla chiamata che abbiamo ricevuto e alle persone che ci sono state affidate”.
Ciò che è stato ascoltato e vissuto nella capitale estone è possibile vivere anche nelle proprie comunità locali: “Inizi a pensare al tuo ritorno a casa. Quanto poco avete da offrire a Gesù affinché la speranza fiorisca nelle vostre comunità locali, nelle vostre Chiese e cappellanie? I segni più piccoli significano molto. Il profeta Geremia aveva acquistato un campo nella sua città, nonostante la minaccia della sua distruzione. Segni di speranza danno coraggio a tutti, speranza per la famiglia umana, speranza per la buona creazione di Dio”.
Sono le ‘umili’ testimonianze che rendono credibile la fede: “Più che cercare la spettacolarità, non sono forse i gesti umili di ascolto reciproco, di fiducia e di amicizia che comunicano l’essenziale del Vangelo e ci aiutano a entrare sempre più profondamente nel mistero di comunione che è il Corpo di Cristo, la Chiesa?
Da molti anni la nostra comunità di Taizé vive un pellegrinaggio di fiducia. Di tanto in tanto, questo pellegrinaggio diventa visibile, come adesso durante il nostro incontro europeo a Tallin, ma anche nel villaggio di Taizé con gli incontri settimanali dei giovani. E’ un modo per incoraggiarci a vicenda nel nostro cammino quotidiano di fede, un modo per lasciare che Cristo rinnovi la nostra speranza affinché possiamo affrontare le sfide che incontriamo ovunque siamo”.
Per tale ragione all’inizio di tale ‘pellegrinaggio’ europeo il presidente dell’Estonia, Alar Karis per tale ‘raduno’ sul tema della speranza: “Il motto dell’incontro (pellegrinaggio di fiducia) si riferisce a ciò che spesso manca nel mondo di oggi, cioè la fiducia tra persone, paesi e nazioni. Voi giovani potete dare un contributo significativo affinché la fiducia nel futuro sia maggiore di quella odierna.
La fiducia è la base di tutto, quindi è importante non solo parlarne, ma agire di conseguenza, ciascuno secondo le proprie possibilità. La fiducia alimenta anche la fiducia in se stessi e il coraggio di cui hanno bisogno i bambini, i giovani e gli adulti. Confidando gli uni negli altri e lavorando insieme, possiamo anche sperare che l’Europa di domani abbia il vostro volto e sia progettata da voi. Sarà unita e forte”.
(Foto: Taizè)
La Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe: vera icona della famiglia cristiana

La famiglia di Nazaret è particolare: in essa si apprende l’amore totale e puro che deve vigere tra i coniugi e tra genitori e figli. La liturgia oggi ci invita a Nazareth dove Gesù proclama il ‘Vangelo della famiglia’. Nel mistero dell’amore di Dio Gesù nasce, cresce e vive in una famiglia; nel disegno divino la famiglia è la comunità mirabile chiamata a rispecchiare la famiglia divina: la Santissima Trinità; i genitori ricevono da Dio il dono dei figli, ma non ne sono padroni; loro compito precipuo è ‘educare’, parola significativa che significa ‘tirare fuori’, fare emergere qualcosa.
Come da un blocco di marmo si tira fuori una statua, così i genitori fanno emergere la personalità del figlio, i talenti che ha ricevuto dal Signore e il progetto che Dio ha avuto nel creare quell’anima a sua immagine. I figli infatti si fanno in tre: i genitori preparano il corpo e Dio infonde l’anima spirituale, immortale. Nel progetto divino ogni uomo ha un ruolo da compiere, un progetto da realizzare.
Il Vangelo oggi presenta Gesù dodicenne: la famiglia di Nazareth è una famiglia, come le altre, dove si sperimentano prove, difficoltà, dolori. La sacra Famiglia ha sperimentato prove terribili come la strage degli innocenti, che costrinse Maria e Giuseppe a dovere emigrare in Egitto per salvaguardare la vita al bambino Gesù.
Oggi la liturgia ci invita a celebrare questa mirabile ‘icona’ in cui Gesù appare al centro dell’affetto e delle premure di Maria e Giuseppe. La casetta di Nazareth è divenuta infatti una vera scuola dove si impara a meditare, ascoltare e a cogliere il significato profondo dell’incarnazione del Verbo eterno; essa ci insegna il silenzio, come affermava il pontefice Benedetto XVI: ‘atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito’.
Il Vangelo oggi ci parla del pellegrinaggio effettuato dalla sacra famiglia a Gerusalemme ed è colta in un momento particolare: non nella vecchiaia o nel giro di nozze ma assieme a Gesù, appena dodicenne, quando è ancora assai vivo il senso di responsabilità per l’educazione dei figli e per la stabilità dell’amore. Maria e Giuseppe sono uniti nell’adempiere ciascuno il proprio ruolo: sono uniti davanti a Dio; prendono parte allo svolgimento della vita sociale; badano con responsabilità alle esigenze del figlio.
Quando Gesù si smarrisce lo cercano per tre giorni e, trovatolo, Maria dolcemente richiama Gesù: ‘Figlio, perchè ci hai fatto questo? tuo padre ed io , angosciati, ti cercavamo’. E Gesù: ‘Perchè mi cercavate? non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?’ Risposta mirabile: Gesù ha un ruolo, una missione per la quale si è incarnato. Il Vangelo conclude: la sacra famiglia ritornò a Nazareth, Gesù era loro sottomesso e cresceva in età, sapienza e grazia. Nell’opera educativa condizione essenziale è l’amore reciproco dei genitori, questo infatti è il dono più grande che i genitori possono offrire ai figli.
Dice Maria: tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo; un amore congiunto con una unica finalità. Educare infatti non è comandare ma dialogo sincero nel rispetto della personalità dei figli. Educare per Dio e in nome di Dio. La famiglia rimane così la realtà fondamentale a salvaguardia di una società libera e solidale, anche se oggi essa viene sottoposta ad attacchi e sfide come la miseria, la disoccupazione, la mentalità contorta di tanti contrari al dono della vita come l’aborto, l’eutanasia e quell’individualismo esagerato che ignora o strumentalizza il debole.
La famiglia necessita di opportune iniziative sociali, religiose, ecclesiali; ha bisogno del sostegno del Signore, di Gesù grande e misericordioso. La famiglia di Nazareth rimane oggi la vera icona a cui fare riferimento. Il matrimonio è l’alleanza stabile tra l’uomo e la donna, alleanza che impegna alla reciproca fedeltà e poggia sull’affidamento a Dio. La famiglia è la roccia su cui poggia la fiducia dei figli.