Luca Doria: essere prossimi ai giovani per educare alla realtà

‘E’ una vicenda dolorosa e una brutta pagina per le istituzioni, ma vanno assicurati il controllo della legalità e il rispetto della legge’: queste sono state le parole pronunciate dal procuratore di Milano, Marcello Viola, nella conferenza stampa convocata per illustrare l’operazione che un mese fa aveva portato all’arresto di 13 agenti di polizia penitenziaria, e alla sospensione di altri 8 agenti, per le torture e le violenze inflitte ai detenuti del carcere minorile ‘Beccaria’ di Milano.
Inoltre il procuratore aggiunto di Milano, Letizia Mannella, aveva aggiunto: “Ciò che ci ha colpito sin dal primo momento è il metodo di queste persone deviate dal sistema, che picchiavano i ragazzi con un metodo tale da non lasciare il segno ed i ragazzi si davano pizzicotti per lasciare sulle botte ricevute i lividi”.
Ed a due mesi dalla ‘scoperta’delle violenze nel carcere minorile ‘Beccaria’ la discussione sul metodo educativo non si è fermata; così abbiamo intervistato Luca Doria, presidente del Consiglio di Amministrazione della Cooperativa sociale ‘Sangiorgio sociale’, fondata nello scorso anno nel comune di Porto Sant’Elpidio ed ispirata “da un bisogno di risposta a tutti quei giovani che cercano la loro strada nel cammino della vita, e a quelli che nel loro cammino sono inciampati. E’ stata fondata per un bisogno di educazione, presenza e azione di fronte al disagio minorile, alla dispersione scolastica, alla povertà educativa, alla necessità di concentrazione sul presente che permetta una rilettura del passato e possa proiettare adeguatamente nel futuro. Puntiamo ad essere una palestra per allenare alla vita”.
Dopo le vicende al carcere per minori ‘Beccaria’ cosa resta a chi è in contatto con i giovani?
“Resta dolore ed amarezza innanzitutto. Non ci si deve fermare però di fronte a questo. Bisogna condannare chi non riesce a fermare la propria aggressività di fronte a situazioni di tensione o alle provocazioni, soprattutto chi dovrebbe essere addestrato a questo. Bisogna anche condannare la carenza educativa che oggi abbiamo di fronte.
L’educazione dovrebbe partire dalla prima agenzia che è la famiglia. Le famiglie di oggi però (come quelle di ieri) sono sempre più fragili e spesso falliscono il loro ruolo per svariati motivi, come ad esempio: prendere poco sul serio il ruolo di genitori, poche risorse a disposizione per ‘formare’ genitori, la mancata autorevolezza (del padre ma anche della madre), la fragilità di chi diventa genitore, lo spostarsi in avanti dell’età in cui si diventa genitore (31,6 anni secondo il report Istat di ottobre dello scorso anno) che influisce sulle forze e quindi sulla possibilità di affrontare la crescita dei figli.
Ci sono anche le altre agenzie educative, la principale tra queste è la scuola. A scuola gli insegnanti sono quelli più a contatto con i giovani, tutti i giorni. Alla scuola non era solo deputata la funzione istruttiva ma anche e soprattutto quella educativa. La differenza non è affatto sottile, oggi però troviamo adulti insegnanti che sempre più spesso hanno timore di svolgere la funzione educativa”.
E’ difficile dialogare con i giovani?
“Credo che il tema non sia la difficoltà ma il coraggio. Servono coraggio ed energia per dialogare con i giovani, serve non avere timore, serve essere adulti credibili, seri, affidabili, adulti che non hanno paura di sottrarsi ai drammi della vita. Di fronte ai drammi l’uomo ha la tendenza a fuggire: i giovani chiedono la presenza e non le parole. Serve essere sintonizzati con i giovani, essere empatici. Se si vuole dialogare con i giovani bisogna prepararsi, ed essere consapevoli della propria preparazione”.
Esistono ragazzi ‘difficili’?
“Esistono ragazzi che chiedono una presenza. Spesso l’adulto non riesce a riconoscere il confine che il giovane chiede. E chi lo riconosce spesso tende a non mostrarlo per ‘evitare’ di discutere. In questo modo però l’adulto rimanda la discussione; ciò che non affrontiamo non si esaurisce infatti”.
E’ possibile educare senza la paura?
“La paura fa parte di noi. La paura ci salva da situazioni difficili, quando il nostro cervello fatica a decodificare le situazioni si mette in modalità ‘pericolo’ e prepara tutti i sensi, si ferma, cerca di capire per agire e per sopravvivere. Educare però risulta difficile con la paura. Si confonde la paura con l’autorevolezza che l’adulto deve avere, deve possedere, deve esercitare ed imparare: è l’autorevolezza che fa passare il concetto di autorità”.
Come si educano i giovani alla realtà?
“Ai giovani servono testimoni concreti che sappiano affrontare la vita, anche nelle sue pieghe più oscure. Solo testimoniando si riesce a far passare un messaggio. Se si testimonia che di fronte alle situazioni più difficili l’adulto le affronta, allora il giovane saprà che la vita si può mordere, il giovane saprà che non si deve avere paura ma solo la consapevolezza che non serve fuggire”.
Perché una comunità educativa per minori?
“La comunità educativa per minori è il luogo nel quale la socializzazione fra pari ha la sua massima espressione. Si impara ad essere prossimi, si impara il decoro per se stessi e per gli altri, ci si impara ad aiutarsi, ci si osserva tutti i giorni. E’ un’esperienza diversa dalla famiglia, per certi versi può anche essere persino più accogliente e più attenta.
La differenza la fanno come sempre le persone ed il luogo: adulti affidabili e senza paura, testimoni saldi e concreti, poche parole e molta azione, adulti che sanno di educare facendo; il luogo deve trasmettere calore e decoro, si impara la pulizia, l’ordine ed il gusto per le cose belle. La comunità spesso salva. Ecco perché la comunità”.
(Foto: SanGiorgio Sociale)