Navalny come Politkovskaya

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“Dopo essere stato avvelenato, ingiustamente imprigionato e torturato, Aleksei Navalny è deceduto, dopo 37 mesi di sofferenza dietro le sbarre, a seguito di un trasferimento in una delle carceri più remote e dure della Russia. Aleksei era un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver denunciato un governo repressivo”: è quanto dichiarato da Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, all’indomani della morte dell’oppositore di Putin, che ha poi aggiunto:

“Navalny chiedeva libertà politica per sé e i suoi sostenitori; denunciava la corruzione e sfidava Putin. La sua morte è una testimonianza devastante e grave delle condizioni di vita sotto il regime oppressivo e repressivo del Cremlino. Ha pagato il prezzo più alto per aver espresso la propria opinione critica e per aver difeso la libertà d’espressione. Amnesty International è al fianco di tutti coloro che lottano per i diritti umani dentro e fuori i confini della Russia”.

Ed ha spiegato le condizioni del prigioniero russo: “Navalny è stato privato delle cure mediche, è stato tenuto per lunghi periodi in isolamento ed è stato vittima di sparizione forzata, quando è stato trasferito in una delle colonie penali più lontane che ci siano, vicino al Circolo polare artico. Le autorità russe hanno rifiutato di indagare adeguatamente e di essere trasparenti sulle precedenti accuse di violazioni dei suoi diritti umani”.

E’ un richiamo alla comunità internazionale a richiedere verità sulla sua morte: “Mentre è in corso la ricerca di giustizia, è chiaro che abbiamo poche vie a nostra disposizione. E’ quindi fondamentale che la comunità internazionale intraprenda azioni concrete affinché tutti coloro che sono responsabili della morte di Navalny rendano conto delle proprie azioni. Dobbiamo urgentemente chiedere alle Nazioni Unite di utilizzare le loro procedure e i loro meccanismi speciali per occuparsi della morte di Navalny”.

Per questo è stata chiara e precisa la dichiarazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “La morte di Aleksej Navalnyj nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale.

Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti”.

L’ong ha sottolineato la responsabilità di Putin: “Aleksej Naval’nyj è stato ucciso in prigione. L’amministrazione penitenziaria ha trasmesso la notizia e intende svolgere verifiche per stabilire la causa di morte; gli inquirenti hanno debitamente annunciato qualcosa di simile.

Non ce n’è bisogno, quella causa è già nota. Naval’nyj è stato assassinato; di questo assassinio pianificato e attuato metodicamente è responsabile lo stato russo, inclusi quegli stessi enti che ora cianciano di verifiche”.

Dopo aver ricostruito gli ultimi quattro anni del dissidente russo l’ong per la difesa dei diritti umani ha ribadito che tale uccisione è un assassinio politico: “Questo non è un semplice assassinio politico: è un attentato alla speranza. Ma è in nostro potere impedire questo ultimo crimine contro Naval’nyj, e anche di fermare altri assassini politici in corso proprio ora. Aleksej era straordinario per il coraggio, la tenacia e l’ottimismo. Per noi sarà sempre un esempio da seguire, una fonte di ispirazione che infonde speranza e non permette di lasciarsi cadere le braccia”.

Per il prof. Adriano Dell’Asta, vicepresidente della Fondazione ‘Russia Cristiana’, il dissidente è un esempio di libertà: “Esempio di democrazia, aveva mostrato in atto la disponibilità a battersi per una causa non strettamente personale: era infatti tornato in patria dopo che era stato oggetto di un tentato avvelenamento, ben sapendo di essere destinato alla galera, ma convinto di dover dare un esempio di coraggio civile che potesse scuotere un’opinione pubblica troppo accomodante con il potere, in patria ma, non dimentichiamolo, ancor più gravemente accomodante nel resto del mondo.

Ora a morire è Naval’nyj, ma non dimentichiamo, appunto, gli avversari politici, gli oppositori e i giornalisti eliminati in questo primo ventennio del XXI secolo. Esempio di libertà, non aveva smesso di essere libero, continuando a difendere la causa di tutta l’opposizione persino in carcere e persino quando vedeva che ogni sua azione scatenava le reazioni più odiose e assurde da parte dei suoi aguzzini. Esempio di dignità, col suo ritorno e con la sua resistenza, aveva mostrato cosa significhi essere uomini in questa nuova versione del ‘secolo lupo’, come la moglie del grande poeta Mandel’štam aveva chiamato i tempi di Stalin”.

Sul sito di Asia News don Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale, ha ricostruito i minuti precedenti il decesso dell’oppositore russo: “Naval’nyj è morto ufficialmente alle 14.17, e la notizia è stata diffusa con un comunicato stampa dell’amministrazione penitenziaria alle 14.19, per girare sui canali della Tass alle 14.20, annunciando alle 14.23, sei minuti dopo la morte, la ‘verosimile formazione di un trombo’, senza alcuna autopsia o conferma di medici competenti.

Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha commentato la ‘spiacevole notizia’ alle ore 14.30, meno di un quarto d’ora dopo la morte. Il cronometraggio ufficiale, e non le supposizioni dei malvagi occidentali, dimostrano che si è trattato veramente di un’operazione pianificata e concordata ai massimi livelli, fino ai minuti secondi, con comunicati già pronti e stampati.

Putin non si farà ovviamente alcuno scrupolo nel negare ogni tipo di evidenza, ciò che rappresenta la sua migliore capacità professionale fin dai tempi del Kgb, ma non c’è modo di occultare un crimine di portata così clamorosa, tanto che in tutta la Russia sono in corso manifestazioni spontanee di grande partecipazione emotiva, segno che nel fondo dell’anima dei russi si conserva ancora la fiammella di Naval’nyj”.

Dopo la morte la polizia russa ha bloccato l’accesso al memoriale delle vittime della repressione politica ed ha arrestato coloro che erano venuti a commemorare l’oppositore, che secondo l’ong OVD per i diritti umani sono oltre 400 i detenuti in 30 città russe per aver voluto ricordare il dissidente. Inoltre 24 ore dopo è morto anche il fotografo Dmitry Markov, che aveva documentato le proteste del 2021 per l’arresto dell’oppositore al suo ritorno in Russia dalla Germania.

(Foto: Amnesty International)

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