Karol Woytila e il suo sguardo paterno: perché il papa polacco era tanto amato dai giovani

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“Voi siete giovani e il Papa è vecchio. Avere 82 o 83 anni di vita non è come averne 22 o 23. Ma il Papa ancora si identifica con le vostre attese e con le vostre speranze. Anche se sono vissuto fra molte tenebre, sotto duri regimi totalitari, ho visto abbastanza per essere convinto in maniera incrollabile che nessuna difficoltà, nessuna paura è così grande da poter soffocare completamente la speranza che zampilla eterna nel cuore dei giovani.

Voi siete la nostra speranza, i giovani sono la nostra speranza. Non lasciate che quella speranza muoia! Scommettete la vostra vita su di essa! Noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri fallimenti; al contrario, siamo la somma dell’amore del Padre per noi e della nostra reale capacità di divenire l’immagine del Figlio suo”.

Queste benedicenti Parole di Vita sono state proferite il 28 luglio 2003 a Toronto da Giovanni Paolo II. Egli, in quella occasione, nutrì l’anima ed il cuore di uno sterminato, variopinto e traboccante numero di giovani, sottoponendo le loro biografie ed i loro destini ad una visione profetica positiva. Queste parole costituiscono la più efficace, meravigliosa ed affascinate sintesi della XVII Giornata Mondiale della Gioventù.

Egli, ponendosi in aperta e radicale antitesi rispetto all’oscura, ingiusta e fuorviante visione negativa che viene indefessamente declamata da parte della società adulta, si era assunto la feconda, affascinante ed ardua responsabilità di educare i ragazzi con rispetto. Nutriva una visione estremamente positiva, benevolente e propositiva nei confronti della gioventù, in quanto delicata e luminosa promessa di speranza per il sorgere di un nuovo, prospero e benedicente avvenire.

In quanto paterno e profondo conoscitore dei giovani (constatazione che ci mostra come non sia sufficiente essere madri e padri biologici per potersi definire secondo questa denominazione ma è fondamentale anzitutto agire come tali), era perfettamente conscio del fatto che, affinché essi potessero divenire intrepidi e fecondi testimoni di luce, era imprescindibile nutrirli con sguardi, vocaboli e premure che profumassero di Cielo ed Eternità, quindi di pregevole e benedicente fiducia e predilezione.

Per questo Karol Wojtyla, scrutava i volti e i cuori di quei giovani con affettuosa benevolenza, non scorgendovi solo l’entusiasmo e la spavalderia, proprie di questa età, le quali celano una latente e preziosa fragilità ma anche e soprattutto le ferite, le maschere e le paure che si rimarginavano, sgretolavano ed annichilivano dinnanzi al suo paterno abbraccio e sguardo.

L’amore di Giovanni Paolo II era ardente, dirompente. Aveva verso di loro una visione ottimistica e generativa tale da non farsi scoraggiare dai loro fallimenti, limiti o sanguinanti e dalle dolorose lacerazioni interiori. Non prestava ascolto alla lugubre voce del nemico, di colui che sottopone il mondo e la giovinezza ad una visione pessimistica, negativa e demoralizzante.

Purtroppo, loro malgrado, troppi adulti oggi prestano tragicamente e fatalmente i vocaboli ed il loro agire a questa visione negativa della gioventù, invece di credere strenuamente alla loro bellezza interiore ed esteriore, oltre che alla loro meravigliosa unicità ed alla fecondità di cui possono essere capaci, anche e forse soprattutto quando essa è celata tra evidenti e sanguinanti fragilità e ferite.

Giovanni Paolo II, al contrario, invitava a non lasciarsi spaventare da esse e a non rifuggirle ma a lasciar emergere lo splendore del bene intrinseco ed inedito di cui ciascuno di loro è segno e promessa, grazie all’ amore incondizionato di Dio, che oggi più che mai, milioni di ragazzi cercano più o meno consciamente.

Molti giovani non riescono a sentirsi amati, anche a causa di uno sterile, infecondo, dannoso e paralizzante autoritarismo giudicante, proprio del mondo adulto che li induce a credere che l’amore vada meritato, ostruendo e precludendo perniciosamente un’esperienza di profondo amore gratuito, libero e liberante.

Da tale mancanza scaturisce ad esempio l’idea desolante e tragicamente diffusa tra i giovani come testimonia il giovane Sacerdote salentino Luigi Maria Epicoco, di non essere degni, in una società performante che nutre e declama a gran voce un’assurda e letale meritocrazia utilitaristica, vigente persino nell’amore.

Infatti, sovente, purtroppo, si insegna e trasmette, persino inconsapevolmente, sin dalla più tenera età che l’amore vada meritato e comprato, di essere amati dopo gli errori commessi oppure di essere una tragica fatalità e rappresentare uno sbaglio ed un incidente nella vita dei propri genitori, disagio che poi si traduce tragicamente in giovani sofferenti, ad esempio, schiavi ad esempio, dell’immagine e del proprio corpo e dalla fragile salute psicofisica.

A tutti e ciascuno, oggi più che mai, l’indimenticabile pontefice polacco ricorda di essere stati pensati e creati dall’Amore e quindi amati e voluti esattamente così come siamo e qualsiasi sia la nostra condizione esistenziale. Dio ci ama, ci ama totalmente, anche e soprattutto quando sbagliano perché è proprio in quel momento che abbiamo maggior bisogno di Lui.

Karol questo lo sapeva e comprendeva brillantemente e proprio per tale ragione – a fedele immagine di quel Padre amorevole – non giudicava i giovani per i loro errori, non li umiliava. Al contrario, li ascoltava, sosteneva, comprendeva ed incoraggiava, rimarginando, proprio così, con la delicatezza e la forza del suo amore paterno le ferite più profonde del loro cuore.

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