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Come annunciare il Kerygma? La risposta da 150 catechisti di Marche ed Umbria

Nello scorso maggio circa 150 catechisti dell’Umbria e delle Marche hanno partecipato al convegno, che si è tenuto alla Domus Pacis di Santa Maria degli Angeli di Assisi, sul tema ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una comunità che celebra e testimonia il Kerygma’, le cui riflessioni saranno consegnate alla CEI che, dopo aver ricevuto tutte le proposte delle altre regioni d’Italia, avvierà una nuova progettazione per la catechesi a livello nazionale, come ha affermato mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno, delegato della Conferenza Episcopale Umbra per la catechesi:

“Adesso si tratta di non dissipare questo patrimonio che abbiamo messo insieme. Delle tante proposte effettuate, mi piace sottolineare quella di non desistere da questa collaborazione e provare a creare un forum interregionale Umbria-Marche sulla catechesi, che potrebbe essere anche appoggiato da quale laboratorio di rinnovamento pastorale, nel quale fare un costate aggiornamento, un approfondimento e anche una operatività verificata per evitare che i nostri convegni siano solo parole”.

In conclusione della sessione don Calogero Di Leo, direttore dell’Ufficio Catechistico della diocesi di Perugia-Città della Pieve, coordinatore della commissione per la catechesi della Conferenza episcopale umbra, ha sintetizzato in tre parole quelle giornate: “La prima è bellezza: abbiamo vissuto un’esperienza di gioia, di gaudio, di amicizia, di pace, di condivisione. La seconda è lavoro: abbiamo lavorato molto bene, abbiamo condiviso idee, esperienze, buone pratiche, ma soprattutto la vita. E infine la terza parola è proposta: dai tre grandi settori su cui ci siamo confrontanti (la comunità, la liturgia e l’annuncio) sono emersi suggerimenti su come poter essere Chiesa nuova, con i piedi saldi nella tradizione, in questo cambiamento di tempo”.

In quale modo celebrare la bontà del Signore?

“Certamente la bontà del Signore si celebra in tantissimi modi, grazie all’infinita fantasia dello Spirito. Il nostro convegno ha voluto sottolineare alcune tra le più importanti modalità espresse nel sottotitolo: ‘Celebrate il Signore perché è buono? Una Comunità che celebra e testimonia il Kerygma’. La liturgia e la vita pulsante di una comunità sono vie per comunicare la bontà del Signore. E’ opportuno però che venga riformulato sia il concetto di ‘celebrazione’ che quello di ‘testimonianza’.

Per celebrazione non intendiamo soltanto il culto liturgico sacramentale, che ha nella Eucarestia domenicale il suo punto di ‘fons’ e ‘culmen’, secondo la costituzione sulla sacra liturgia ‘Sacrosanctum Concilium’; occorre anche riscoprire il culto nel suo significato paolino, ‘offrire i vostri corpi in sacrificio soave a Dio, questo è il vostro culto spirituale’.

Non ci dimentichiamo che i gesti liturgici sacramentali provengono da parole, riti e materiali presi in prestito dalla vita quotidiana: il mangiare, il bere, il lavarsi, lo stare a tavola, il riposo, la festa, il pane, il vino, l’olio…

Facciamo un esempio concreto con i sacramenti della Iniziazione Cristiana (battesimo, cresima ed eucarestia) che definiscono sia l’identità cristiana che l’ingresso nella vita della comunità. I gesti e i materiali provengono dalla ‘Iniziazione della vita’. Nel battesimo veniamo purificati dall’acqua, con la cresima veniamo profumati dall’olio e con l’eucarestia veniamo nutriti. Non sono i tre momenti della venuta al mondo di ciascuno di noi? Dopo essere nati veniamo lavati con l’acqua, veniamo profumati con l’olio ed infine veniamo portati al seno della mamma per essere nutriti. Culto liturgico e culto della vita camminano insieme: l’uno illumina e rimanda all’altro.

Da qui comprendiamo allora dove è nato il corto circuito nelle nostre comunità: l’aver anteposto (forse sostituito) al culto della vita (culto spirituale), quello prettamente liturgico sacramentale.

Riscoprire che la bontà del Signore viene celebrata non soltanto in chiesa, nel culto liturgico, ma anche nella vita mediante la testimonianza nei vari ambiti della quotidianità (relazione di coppia, genitorialità, lavoro, responsabilità civile) significa sanare una grande ferita. Ma si celebra la fede anche nella carità verso i fratelli e le sorelle in condizioni di bisogno attraverso la vicinanza affettiva, il servizio generoso e la condivisione materiale. Un lavoratore che fa bene il proprio mestiere esprime la bontà del Signore nel servizio al bene comune, espressione dell’amore al prossimo che ha in Dio la sua sorgente e il suo modello. Così un genitore che sa ben educare i figli, è a tutti gli effetti celebrazione della paternità e maternità della bontà del Signore. Gli esempi posso essere tantissimi.

Il nostro Convegno, tenutosi nei giorni 10-12 maggio, è stato un tentativo di far ri-camminare insieme l’unica bontà del Signore attraverso l’unico culto comprendente sia quello liturgico che quello della vita, allargando la consapevolezza che la missione di rendere presente e sperimentabile la bontà di Dio non è prerogativa di preti o suore, ma di ogni battezzato, cioè di tutta la comunità cristiana, seppur nella specificità delle competenze”.

Come una comunità può testimoniare il kerigma?

“A mio avviso una comunità cristiana può testimoniare il Kerygma se parte dalla consapevolezza (senza meravigliarsi o scandalizzarsi) che anche l’Italia, come il resto del mondo occidentale, è di nuovo terra di missione. Per cui la postura che ogni comunità – ma anche ogni famiglia o ogni singolo battezzato – deve assumere è quella della missionarietà.

Questa situazione è stata compresa e prefigurata a suo tempo nella felice espressione del documento ecclesiale dell’episcopato italiano più significativo e concreto di questi ultimi anni: ‘Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali’ (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 6).

Il primo annuncio in senso stretto non consiste solamente nella proclamazione verbale del kerigma, come si è fatto per intere generazioni, riducendo il cristianesimo a dottrina o a morale. Qui ci viene incontro papa Francesco quando nell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ esplicita in un modo creativo il contenuto del kerygma stesso: ‘Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti’ (164). Ci sono ‘alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna’ (165)’.

Una comunità può testimoniare il kerygma in modo autentico e credibile solamente se ha fatto esperienza dell’amore di Cristo, che è per sua natura diffusivo, non soltanto mediante gesti di carità ma soprattutto mediante relazioni di fraternità che sappiano toccare le corde fondamentali del cuore umano. E’ nella prossimità fattiva che il cristianesimo diventa credibile quale risposta alle domande, alle esigenze e ai desideri dell’animo umano, altrimenti Cristo viene ridotto a un bel discorso in chiave morale.

Per questo una delle caratteristiche del Convegno è stata quello di non rimanere incastrati nelle analisi che da decenni stanno zavorrando la Chiesa italiana, ma di indicare proposte nuove e creative nel campo della evangelizzazione e della catechesi, soprattutto per famiglie e giovani”.

In quale modo essere Chiesa in un tempo che cambia repentinamente?

“Oggi viviamo in un cambiamento d’epoca come ci ricorda papa Francesco. Il segno evidente di questo cambiamento è che siamo arrivati all’apice di quel processo iniziato dopo il Medioevo, con il Rinascimento, l’Umanesimo e soprattutto l’illuminismo, di separazione tra vita e fede. Questo fenomeno, che ha generato il relativismo e la scristianizzazione, ha portato al collasso quel tipo di società in cui siamo nati e cresciuti e che si riconosceva nei valori cristiani; in poche parole non viviamo più in un regime di società cristiana. Come scriveva lo scrittore francese Charles Peguy nella sua opera ‘Veronique’: ‘Noi siamo la prima generazione di una società dopo Gesù, senza Gesù’, l’affermazione finale fa tremare i polsi, perché dice ‘la verità è che ci sono riusciti’. Dentro questo panorama, la questione della «Comunità» oggi è la questione per eccellenza, al punto tale che uno dei relatori (il vescovo di Gubbio – Città di Castello, mons Luciano Paolucci Bedini), ha affermato che: ‘Occorre non tanto puntellare quelle esistenti mettendo una toppa qua e là, ma generane di nuove’. Infatti dice Gesù, che non si può mettere una stoffa nuova su un vestito vecchio. Questo è il grande problema che come Chiesa occidentale stiamo vivendo. Occorre partire da una domanda: Quale modello di comunità oggi ci aiuta meglio a rendere sperimentabile il volto di Gesù?

Papa Francesco ha indicato alcune caratteristiche di questa nuova comunità, quali: ‘Chiesa in uscita’, ‘Ospedale da campo’ o/e ‘Chiesa sinodale’. Il rischio è però quello di ridurre il tutto a puro slogan. Credo in un mondo che cambia rapidamente come quello odierno, il volto nuovo della Chiesa deve essere quello di una ‘Comunità della prossimità’, dove ‘I care’ di don Milani o il sogno della ‘Chiesa del Grembiule’ di don Tonino Bello diventano il segno distintivo.

Durante la Settimana Santa di quest’anno diversi mezzi di comunicazione (cattolici e non) hanno evidenziato il fenomeno che sta accadendo in Francia e in Belgio, dove migliaia di giovani e di adulti hanno abbracciato la fede cristiana. Intervistati, molti di loro hanno detto che l’incontro con Gesù è avvenuto mediante comunità ‘gioiose e dinamiche’. Dobbiamo tendere a generare comunità gioiose e dinamiche in Umbria, nelle Marche e nel resto d’Italia. Comunità che ritornano a radunarsi attorno all’altare del Signore nel giorno del Signore, dove i pilastri della celebrazione eucaristica (Parola, Eucarestia e Fraternità) diventino i pilastri di una vita cristiana ed ecclesiale autentica”.

Quindi comunità capaci di essere ‘generative’?

“Io credo fermamente che il volto di Chiesa verso la quale stiamo andando, non per una convinta scelta pastorale ma per una realtà che si sta imponendo, è quello profetizzato dall’allora card. Joseph Ratzinger in un ciclo di trasmissioni radiofoniche in Germania nel lontano 1969, quando affermava che il futuro della Chiesa sarà nell’essere un ‘piccolo gregge’. Affermazione che poi da papa ha chiarito definendo questo piccolo gregge una ‘minoranza creativa’. Penso che come Chiesa italiana dovremmo approfondire questa modalità di Chiesa del futuro. Infatti in varie parti d’Europa è già una realtà, anche in quei paesi di antica tradizione cristiana. Interessante è l’esperienza vissuta in questi anni in Olanda e contenuta in un libro intervista al card. Willem Jacobus Eijk, ‘Dio vive in Olanda’”.

Come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social?

“Il mondo dei social è una realtà presente nella nostra vita e ogni giorno che passa conquista sempre più spazio, tanto che assistiamo anche a situazioni di totale dipendenza. Trascorriamo sempre più ore sui social e per molti quello non è un mondo parallelo a quello reale ma è una vera e propria realtà, anche se virtuale. Nessuno nega i tanti vantaggi che la tecnologia comunicativa ha portato nella nostra vita, diventando per tanti anche un lavoro ben retribuito come quello di ‘influencer’. Questo però non deve farci dimenticare anche i rischi che in tale mondo si annidano. Venendo alla domanda del come annunciare il Vangelo in un mondo sempre più social, non posso non citare un passaggio del discorso di papa Francesco in occasione del 60° anniversario di costituzione dell’Ufficio Catechistico Nazionale nel gennaio 2021 in cui afferma: ‘Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio della gente, di ascoltare le domande, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze, di elaborare strumenti nuovi, aggiornati, che trasmettono all’uomo di oggi la ricchezza e la gioia del Kerygma e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa’.

Elaborare strumenti nuovi e aggiornati, che trasmettono all’uomo di oggi la ricchezza e la gioia del Kerygma e la gioia dell’appartenenza alla Chiesa. In questa affermazione finale papa Francesco pone due importanti questioni:

a. Il giudizio positivo sui nuovi mezzi social. Questo è un nuovo campo di evangelizzazione e non solo di socializzazione; non è un mondo solo virtuale ma anche reale; milioni di persone vi trascorrono a vari livelli la loro vita, tanto che negli ultimi tempi è stata coniata l’espressione ‘on life’.

b. Nel suo discorso però papa Francesco utilizza una parola quanto mai significativa, di cui non possiamo non tenere conto, cioè la parola ‘strumento’. I social sono strumenti; seppur importanti, ma sempre strumenti.

Non dimentichiamoci che il cuore del cristianesimo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi «carne» in una località ben precisa della geografia mondiale ‘Nazareth’. I padri della Chiesa affermavano “Caro Cardo Salus”, cioè la salvezza viene dalla carne. Non possiamo delegare in toto l’annuncio del Vangelo e la bellezza della vita cristiana al mezzo tecnico. In questo senso tutti abbiamo sperimentato il disastro ottenuto durante il periodo della pandemia Covid, quando abbiamo ‘abituato’ la gente a ‘vedere’ in Tv la santa Messa, ed ora facciamo fatica a farla tornare in chiesa.

Per alcune cose i mezzi social sono ottimi «strumenti», ma la fede cristiana si trasmette come il virus, da persona a persona. Questo significa che è imprescindibile il rapporto umano e l’appartenenza ad una comunità ‘gioiosa e dinamica’, non per un gusto vintage, ma perché è il metodo stabilito e vissuto da Dio in Cristo Gesù.

La Chiesa è la carne di Cristo, è il suo corpo; nessun mezzo tecnico può sostituire questo metodo. Noi siamo chiamati a mangiare un corpo e a bere un sangue che sono espressione massima di un rapporto carnale con il Signore, e quindi tra di noi.

Certamente le nuove tecnologie sono una opportunità, ma anche una sfida nel diventare nuove frontiere di evangelizzazione. Pensiamo ad esempio all’Intelligenza Artificiale, realtà presente nella nostra vita ad es. con il navigatore. Una sfida al rapporto uomo – macchina – fede. Ripeto non possiamo fare a meno della dimensione fisica della fede anche all’interno del mondo dei social”.

E’ possibile una collaborazione tra le due regioni ecclesiastiche per una nuova progettazione della catechesi?

“Non solo è possibile, ma di fatto si è realizzata. Il Convegno ne è una testimonianza ed anche un frutto certamente di un cammino e di un lavoro di più largo respiro. Per questo il primo sentimento con il quale tutti i partecipanti hanno vissuto quei giorni è stato quello di una grande gratitudine a Dio per la bella esperienza «sinodale»: due regioni ecclesiastiche che celebrano un convegno insieme, evento unico in Italia. Questo evento è, senza ombra di dubbio e a pieno titolo, frutto del percorso sinodale che come Chiesa italiana stiamo vivendo, così come ci ricorda papa Francesco ‘il Cammino sinodale è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del Terzo Millennio’.

Ma è stato anche un evento di gioia e di bellezza: vedere tanti delegati, provenienti da città, storie ed esperienze diverse ascoltarsi e confrontarsi avendo come unico scopo quello di conoscere e di far conoscere Gesù. Per questo sono risuonate nel cuore e nelle orecchie le parole del salmista quando celebra la gioia nel Signore: ‘Come è bello e come è gioioso che i fratelli stiano insieme’ (Sal 133).

La fraternità che si era creata è stata di fatto una modalità di testimonianza della bontà del Signore; in poche parole, senza accorgerci, stavamo ‘realizzando’ il tema del convegno con il semplice esserci prima ancora del fare o del dire certe cose.

Certamente il cammino ci proietta anche nel futuro e i prossimi passi saranno:

– innanzitutto l’elaborazione della sintesi da inviare alla Segreteria dell’Ufficio Catechistico Nazionale, quale contributo (insieme a quello delle altre regioni) per la elaborazione di un progetto catechistico e di eventuali strumenti catechistici a livello nazionale;

– la pubblicazione degli atti del Convegno, da cui prendere elementi significativi per un lavoro di iniziative comuni. C’è ancora tanta strada da fare ma, come comunemente si dice, ‘chi ben comincia è a metà dell’opera’.

In tutto questo percorso non posso non ringraziare due amici in modo particolare, con i quali abbiamo formato l’equipe dei responsabili e che sono: don Emanuele Piazzai, delegato per la regione Marche, membro della Consulta Nazionale dell’UCN, e la dott.ssa Sabrina Guerrini, direttrice dell’Ufficio Catechistico Diocesano di Spoleto e membro della Consulta dell’UCN.

Siamo stati una squadra meravigliosa, affrontando gioie e dolori, fatiche e speranze. Anche qui abbiamo celebrato la bontà del Signore nel segno della nostra amicizia e della condivisione del lavoro”.

(Foto: CEU)

Papa Francesco: lo Spirito Santo è dentro noi

La recita dell’Angelus è stato dedicato ai bambini da papa Francesco con una richiesta ai piccoli partecipanti, a cui ha chiesto di salutare i genitori ed i nonni: “Salutate i vostri genitori, i vostri amici, ma soprattutto salutate i nonni. Avete visto quando hanno portato il Pane e il Vino c’era un nonno”, salutando particolarmente Lino Banfi, annunciando che la seconda Giornata mondiale dei Bambini avrà luogo nel settembre del 2026.

Concludendo questa prima giornata mondiale Roberto Benigni ha puntato l’attenzione sulle Beatitudini con un invito ai bambini ed alle bambine di prendersi cura del mondo: “L’unica cosa sensata che ho sentito in tutta la mia vita l’ha detta Cristo nel Vangelo, il discorso della montagna. E’ un incanto di bellezza, di una bellezza che non si resiste. Quando Gesù dice tutti gli elenchi da imparare a memoria: ‘Beati i miti, gli operatori di pace, i misericordiosi’.

Ecco, beati i misericordiosi, che poi vorrebbe dire prendersi cura del dolore degli altri, essere sensibili, perdonare, essere profondamente buoni. Siate profondamente buoni. Questo ha detto Gesù. Questa è l’unica buona idea che sia stata espressa nella storia dell’umanità. Che la vita è questo: amore, conoscenza e una compassione infinita per il dolore che attraversa l’umanità. Ed allora non aspettatevi che il mondo si prenda cura di voi, prendetevi voi cura del mondo, almeno di quello a portata di mano. Amate chiunque avete a portata di mano”.

E’ stato un invito a non avere paura, ripetendo il motto di san Giovanni Paolo II: “Chiedete aiuto e non abbiate paura, come diceva papa Wojtyla, Giovanni Paolo II (era il suo motto) perché siamo tutti insieme. Vi sento che nei vostri cuori pulsa l’intera umanità. E allora prendete il volo. Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro. Costruite un mondo migliore.

Voi fatelo diventare più bello che noi non ci siamo riusciti. Il mondo ha bisogno di essere bello. E voi potete portare il vostro piccolo contributo verso il bene. Rendete gli altri felici. Non più buoni. C’è una sola persona che bisogna rendere più buona. Se stessi. Gli altri bisogna renderli felici. E per farlo bisogna essere felici. Siate felici e diventate l’adulto che avreste voluto accanto quando eravate bambini, cioè ora”.

Nella celebrazione eucaristica della solennità della Santa Trinità ha detto che Dio perdona: “Non dimenticatevi questo: Gesù perdona tutto e perdona sempre e noi dobbiamo avere l’umiltà di chiedere perdono. ‘Perdona me, Signore, ho sbagliato. Sono debole. La vita mi ha messo in difficoltà ma tu perdoni tutto. Io vorrei cambiare vita e tu aiutami’. Ma non ho sentito bene, è vero perdona tutto? [rispondono: sì] Eh bravi, non dimenticatevi di questo”.

In effetti non è facile spiegare lo Spirito Santo: “Eh, non è facile, perché lo Spirito Santo è Dio, è dentro di noi. Noi riceviamo lo Spirito Santo nel Battesimo, lo riceviamo nei Sacramenti. Lo Spirito Santo è quello che ci accompagna nella vita. Pensiamo questo e lo diciamo insieme: ‘Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita’. Tutti insieme: ‘Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita’. E’ quello che ci dice nel cuore le cose buone che dobbiamo fare. Un’altra volta: ‘Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita’. E’ quello che quando facciamo qualcosa male ci rimprovera dentro”.

(Foto: Santa Sede)

CEI: ripensare i rapporti con i giovani

Ieri a Roma si sono conclusi i lavori del Consiglio episcopale permanente della CEI, aperti dalla prolusione del Cardinale Matteo Maria Zuppi, in cui è stata sottolineata la necessità di un impegno per la pace a 360°, fatto di preghiera, formazione e gesti concreti:

“Di fronte ad una cultura che sembra essere assuefatta alla guerra, a un aumento incontrollato delle armi e a un sistema economico che beneficia della corsa agli armamenti, occorre riprendere il dialogo tra Chiesa e mondo attraverso cammini educativi che offrano alternative alle logiche ora dominanti. In quest’ottica, l’esperienza dell’obiezione di coscienza e il patrimonio di azioni sperimentate nel passato possono costituire una base da cui ripartire per tornare a educare alla pace e dare prospettive di futuro, specialmente ai giovani”.

Per i vescovi occorre lavorare a più livelli per essere costruttori di fraternità, senza dimenticare il Magistero della Chiesa e l’articolo 11 della Costituzione Italiana: “L’impegno per la pace deve prendere avvio all’interno delle comunità cristiane, cercando di ricostruirne il tessuto ecclesiale laddove appare ferito. Il Cammino sinodale sta infatti mostrando l’importanza di fare sintesi tra le diverse sensibilità: anche se non tutti si sentono coinvolti, ormai tutti percepiscono l’importanza di questo tempo ecclesiale, voluto da papa Francesco per la Chiesa universale e dunque anche per le Chiese in Italia”.

Altra questione importante è stata quella dell’iniziazione cristiana, con un focus sulla figura dei padrini e delle madrine: “Nella società attuale, se il riferimento ai Sacramenti appare ancora molto diffuso, talvolta risulta svuotato di significato, un fatto convenzionale riconosciuto come elemento della tradizione, ma che non consente più di dare per scontata la fede”. Secondo i vescovi è urgente un ripensamento dei cammini tradizionali che permetta di intrecciare sempre di più la consegna delle forme pratiche della fede con la trasmissione delle esperienze elementari della vita:

“In tale orizzonte, sarà possibile anche riscoprire e valorizzare il ruolo di padrini e madrine, passando dalla concezione di ‘sponsor’ per un giorno a testimoni autentici nella crescita globale delle persone che ricevono il Sacramento. La loro figura, che deve accompagnare le diverse età, dovrà anche contribuire all’azione generativa ed educativa dei genitori, in sinergia con la comunità ecclesiale”.

Inoltre i vescovi hanno rilevato la necessità di approfondire il tema per costruire una grammatica comune così da evitare l’attuale diversificazione della prassi pastorale delle Chiese locali, che in alcuni casi hanno sospeso la figura dei padrini e delle madrine a causa di un fraintendimento socioculturale.

Per quanto riguarda il mondo giovanile i vescovi hanno proposto di ripensare il rapporto con le nuove generazioni a partire dagli spunti offerti da Paola Bignardi che ha presentato i risultati dell’ ‘Indagine in merito a giovani e fede oggi’, curata dall’Istituto Toniolo: “Nel contesto attuale è in atto una trasformazione molto rilevante nella modalità del credere. I giovani esprimono, anche con la loro protesta silenziosa nei confronti della comunità cristiana, il desiderio di un modo nuovo di comprendere l’umano e una domanda di interpretazione della fede dentro questa condizione umana. E’ in gioco lo stile con cui la Chiesa intende la vita cristiana e la propone”.

Infine l’appello per uno sviluppo unitario, che metta in circolo in modo virtuoso la solidarietà e la sussidiarietà: “Da parte sua la Chiesa in Italia, fedele al Vangelo e nel solco del percorso compiuto finora, continuerà a contribuire all’unità, accompagnando le comunità e non lasciandosi spaventare dalle contingenze del tempo presente. In questo senso, il Cammino sinodale si presenta come una grande occasione anche per ravvivare l’entusiasmo nella Chiesa e la fiducia in essa”.

Ed ecco la novità di un’iniziativa di microcredito per alleviare le povertà in vista del Giubileo: “E’ da leggere in questa prospettiva il mandato affidato alla Caritas Italiana di studiare un progetto di microcredito sociale da realizzare in occasione del Giubileo. L’iniziativa dovrebbe prevedere l’istituzione di un fondo che permetterà di sostenere quanti hanno difficoltà ad accedere al credito ordinario. Il progetto, che ha come elemento innovativo l’accompagnamento della persona, non dovrebbe esaurirsi tuttavia nell’intervento economico a favore dei singoli, ma coinvolgere e impegnare le Chiese locali nella loro pluralità di soggetti, con l’ulteriore obiettivo di far crescere la rete delle Caritas locali e delle Fondazioni antiusura diocesane”.

Inoltre i vescovi hanno concordato sulla necessità di incrementare le cure palliative, regolamentate da un’ottima legge che però non trova ancora la sua piena attuazione, tanto che vi accede meno della metà degli ammalati: “Nonostante esse assicurino dignità, supportino il paziente e i familiari nella malattia, la loro applicazione resta in larga parte disattesa. Dinanzi ad una certa deriva eutanasica e alla fuga in avanti di alcune Regioni desiderose di colmare un vuoto legislativo in tema di fine vita, è fondamentale ribadire che la vita è sacra, sempre e in qualunque condizione, e che su di essa non si può giocare a ribasso”.

Infine, rispondendo ai giornalisti, mons. Giuseppe Baturi, segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari, è intervenuto sulla vicenda della scuola ‘Iqbal Masih’ di Pioltello, nel rispetto della libertà religiosa: “Il rispetto del fatto religioso e dell’identità delle comunità religiose, da parte dello Stato è un fatto positivo e appartiene alla laicità tipica dello Stato italiano… La laicità all’italiana non sopprime le identità religiose, ma le promuove in un contesto di rispetto vicendevole. Questo, però, deve avvenire dentro un contesto istituzionale di rispetto di norme e di procedure. Non so se nel caso specifico si sia rispettato tutto il percorso amministrativo, ma in generale vale il rispetto per ogni forma di libertà religiosa”.

A tal proposito l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, non entrando nelle irregolarità riscontrate dall’USR preposta, ha affermato che si tratta di un legittimo provvedimento della scuola: “Una delle cose più importanti della vita è la religione. Non so come è il regolamento delle scuole, si sospende anche a Carnevale”, confermando la posizione del responsabile dell’Ufficio diocesano Ecumenismo e dialogo, Roberto Pagani, che si era già espresso nei giorni precedenti:

“Con un numero così significativo di ragazzi che aderiscono alle proprie celebrazioni non è irragionevole usare tali momenti per costruire dei legami, invece che contrapporre mondi e visioni. E’ sempre meglio fare i conti con la realtà, soprattutto considerando che parliamo di educazione e di una scuola, riconoscendo la composizione della nostra società e la presenza dell’altro, mantenendone la diversità con rispetto e non avendone paura. E’ un lavoro prospettico nel quale si può immaginare un futuro di convivenza pacifica e civile, e non solo di tolleranza reciproca”.

La Chiesa è custodita dai Sacramenti

“Con eventi e parole intimamente connessi, Dio rivela e attua il suo disegno di salvezza per ogni uomo e donna, destinati alla comunione con lui. Questa relazione salvifica si realizza in maniera efficace nell’azione liturgica, dove l’annuncio della salvezza, che risuona nella Parola proclamata, trova la sua attuazione nei gesti sacramentali. Questi, infatti, rendono presente nella storia umana l’agire salvifico di Dio, che ha il suo culmine nella Pasqua di Cristo. La forza redentiva di quei gesti dà continuità alla storia di salvezza che Dio va realizzando nel tempo.

Dottrina della Fede: le madri single possono accedere ai sacramenti

Nelle settimane scorse è stato posto un quesito al Dicastero per la Dottrina della Fede da parte di mons. Ramón Alfredo de la Cruz Baldera, vescovo di San Francisco de Macorís, nella Repubblica Dominicana, in cui è richiesto un parere sul problema delle ragazze single che ‘si astengono dalla comunione per la paura del rigorismo del clero e dei responsabili della comunità’, in quanto in alcuni Paesi sia sacerdoti che alcuni laici ‘impediscono, di fatto, alle madri che hanno avuto un figlio fuori dal matrimonio di accedere ai sacramenti e persino di battezzare i loro figli’.

Il Battesimo per i figli degli omosessuali: una spiegazione della risposta ai ‘dubia’

Le persone transessuali, anche se si sono sottoposte a trattamento ormonale od a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, possono ricevere il battesimo ‘se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli’. E vanno battezzati i bambini delle coppie omosessuali anche se nati dall’utero in affitto purché ci sia la fondata speranza che vengano educati alla fede cattolica.

Cresima/Confermazione per cattolici conviventi o sposati civilmente: prima o dopo il matrimonio canonico?

Pertanto, il Rito della “Iniziazione cristiana degli adulti” (obbligatorio dal 4 marzo 1979, prima domenica di Quaresima) ed i testi in materia  della maggior parte delle Diocesi del mondo (che si sono conformate all’ Amoris Laetitia) in particolare di quella di Milano che conosciamo bene (in quanto abbiamo io e mia moglie  il domicilio), di quella di Trani, di Torino e  di Como (https://www.google.com/url?sa=https%3A%2F%2Fwww.diocesidicomo.it%2Fwp-content%2F2%2F2018%2F04%2FCatecumenato_RICA.pdf&usg=AOvVaw3Yous3mdLbBkpgB72EO-eZ) ritengo che approvino il  n. 295 “Le indicazioni pastorali che seguono riguardano quegli adulti che, battezzati da bambini, non hanno poi ricevuto alcuna catechesi e perciò non sono stati ammessi (ATTENZIONE eccezione alla regola) alla Confermazione e all’Eucaristia”.

Cresima/Confermazione per fedeli conviventi e sposati civilmente: prima o dopo il matrimonio religioso?

Come studioso di Diritto e di Teologia e n.q. di operatore pastorale  (https://pastoralefamiliare.chiesadipalermo.it/wordpress6/il-buon-pastore/) ritengo utile, per recepire  la ‘ratio’, come già fatto in precedenza  per leggi, sentenze, ordinanze, decreti, pericopi evangeliche, encicliche, M.P. ecc.  effettuare un approfondimento in ordine alla nostra tematica.

Diocesi di Macerata: un modo di vivere la parrocchia

“Il senso di questa festa, che unisce due apostoli umanamente così diversi, ci aiuta a comprendere l’identità della Chiesa ed il ruolo del magistero nella Chiesa. Due temi importanti per comprendere il senso della consegna a voi ed a tutti della nuova Lettera Pastorale”: nel giorno della festa dei santi Pietro e Paolo mons. Nazzareno Marconi, vescovo della diocesi di Macerata, ha consegnato ai fedeli la lettera pastorale,  ‘Parrocchie… Ma come?’, scaturita da un lungo confronto con tutte le realtà del territorio maceratese.

Da Venezia il patriarca Moraglia ha invitato a riscoprire il battesimo

Bellezza, arte, cultura ed educazione: sono i doni portati dalla fede cristiana che l’annuncio del Vangelo fa germogliare: a Venezia in una basilica di san Marco gremita di fedeli e di autorità civili e militari il Patriarca Francesco Moraglia ha ricordato che il cristianesimo si ‘incarna’ grazie alla azione della Chiesa, comunità di persone che vivono una fede missionaria, capace di cambiare la storia:

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