Il papa: il lavoro è diritto fondamentale

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“Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i membri dell’Istituto secolare Orionino. La figura di san Giuseppe, umile falegname di Nazareth, ci orienti verso Cristo, sostenga coloro che operano per il bene e interceda per quanti hanno perso il lavoro o non riescono a trovarlo”: in questo modo papa Francesco ha salutato gli italiani al termine dell’udienza generale odierna nell’aula ‘Paolo VI’ al cui centro c’è stata sempre la figura di Giuseppe lavoratore.

Per questo ha concluso l’udienza generale con una preghiera a san Giuseppe, composta da san Paolo VI in occasione della festa del 1^ maggio 1969: “O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradi oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo; e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen”.

Iniziando la catechesi il papa ha spiegato il mestiere di Giuseppe, che è poi quello fatto da Gesù fino all’età di 30 anni: “Il termine greco tekton, usato per indicare il lavoro di Giuseppe, è stato tradotto in vari modi. I Padri latini della Chiesa lo hanno reso con ‘falegname’. Ma teniamo presente che nella Palestina dei tempi di Gesù il legno serviva, oltre che a fabbricare aratri e mobili vari, anche a costruire case, che avevano serramenti di legno e tetti a terrazza fatti di travi connesse tra loro con rami e terra”.

Era un lavoro duro, che non offriva molti guadagni: “Pertanto, ‘falegname’ o ‘carpentiere’ era una qualifica generica, che indicava sia gli artigiani del legno sia gli operai impegnati in attività legate all’edilizia. Un mestiere piuttosto duro, dovendo lavorare materiale pesante, come il legno, la pietra e il ferro. Dal punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o di colombi, come prescriveva la Legge per i poveri”.

Il pensiero del papa è corso subito ai lavoratori che sono sottopagati o sfruttati: “Questo dato biografico di Giuseppe e di Gesù mi fa pensare a tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro (abbiamo visto che in Italia ultimamente ce ne sono state parecchie); ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare…

Mi permetto di ripetere questo che ho detto: i lavoratori nascosti, i lavoratori che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche: pensiamo a loro. A coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero, a coloro che danno lo stipendio di contrabbando, di nascosto, senza la pensione, senza niente. E se non lavori, tu, non hai alcuna sicurezza. Il lavoro in nero oggi c’è, e tanto”.

Un pensiero allargato alle vittime del lavoro ed ai bambini, costretti a lavorare: “Pensiamo alle vittime del lavoro, degli incidenti sul lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare: questo è terribile! I bambini nell’età del gioco devono giocare, invece sono costretti a lavorare come persone adulte.

Pensiamo a quei bambini, poveretti, che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare. Tutti questi sono fratelli e sorelle nostri, che si guadagnano la vita così, con lavori che non riconoscono la loro dignità! Pensiamo a questo. E questo succede oggi, nel mondo, questo oggi succede!”

Ed ha chiesto un giusto sostentamento: “Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Tu puoi prenderlo dalla Caritas: no, questo non ti dà dignità. Quello che ti dà dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale in quel posto, in quella nazione, in quel continente. I governanti devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane, perché questo guadagno dà loro la dignità. Il lavoro è un’unzione di dignità, e questo è importante. Molti giovani, molti padri e molte madri vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta loro di vivere serenamente, vivono alla giornata”.

La mancanza del lavoro conduce anche alla volontà di uccidersi: “E tante volte la ricerca di esso diventa così drammatica da portarli fino al punto di perdere ogni speranza e desiderio di vita. In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie”.

Il lavoro è fonte essenziale non solo per il sostentamento, ma anche per esprimere la nostra personalità, in modo da compiere un cammino di santità: “Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo.

Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale… Infatti, il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale. Il lavoro è anche un modo per esprimere la nostra creatività: ognuno fa il lavoro a suo modo, con il proprio stile; lo stesso lavoro ma con stile diverso”.

Concludendo l’udienza generale il papa ha invitato fedeli e Chiesa ad interrogarsi sul contributo che si può offrire: “E’ bello pensare che Gesù stesso abbia lavorato e che abbia appreso quest’arte proprio da San Giuseppe. Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità”.

(Foto: Santa Sede)

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