Rapporto Italiani nel mondo: il Covid non ferma la fuga dall’Italia

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“La Comunità di italo-discendenti nel mondo viene stimata in circa 80.000.000 di persone, cui si aggiungono gli oltre 6.000.000 di cittadini italiani residenti all’estero. La portata umana, culturale e professionale di questa presenza è di valore inestimabile nell’ambito di quel soft-power che consente di collocare il nostro Paese tra quelli il cui modello di vita gode di maggior attrazione e considerazione”.

Con questo messaggio alla fondazione ‘Migrantes’ il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha sottolineato che gli italiani emigrano sempre più, anche se nell’anno del coronavirus essa è diminuita, ben più di 109.000 connazionali (-21.000 rispetto all’anno precedente), soprattutto giovani, hanno lasciato l’Italia per lavoro, privilegiando le destinazioni europee.

L’indagine, presentata dal presidente dell’organismo Cei, mons. Gian Carlo Perego, insieme al segretario generale delle CEI, mons. Stefano Russo, al prof. Massimo Vedovelli, docente di linguistica educativa all’Università per Stranieri di Siena, ad Antonio Serra, coordinatore nazionale delle missioni cattoliche, ed alla curatrice dello studio, Delfina Licata.

Nel mondo gli italiani, emigrati nel mondo al 1° gennaio 2021, sono  5.652.080 unità, il 9,5% degli oltre 59.200.000 connazionali residenti, equivalente al numero degli immigrati stabilmente residenti sul territorio nazionale.

Quindi emigrazione in crescita da oltre un decennio: le iscrizioni all’Aire da meno di cinque anni sono aumentate del 24,4%, quelle al di sopra di 10 anni del 127,8%. Non è solo una fuga di cervelli, anche di manodopera. Infatti accanto a ricercatori, medici o figure di alto profilo nel mondo dell’impresa e della finanza, figurano soprattutto addetti all’edilizia, al turismo e alla ristorazione rimasti disoccupati in patria.

Gli oltre 109.000 che hanno lasciato l’Italia per l’estero da gennaio a dicembre 2020 provenivano prevalentemente dal Centro-Nord (69,5%), con Lombardia e Veneto nelle prime due posizioni. Più di tre quarti, il 78,7% ha scelto l’Europa. Niente più Australia o Usa. Ai primi posti nel 2020 il Regno Unito meta di 33.293 italiani, poi l’Ue con Germania (13.990) e Francia (10.562) che, da sole, coprono il 52,8%.

Degli oltre 5.600.000 di iscritti, il 45,5% ha tra i 18 e i 49 anni (oltre 2.500.000), il 15% è un minore (848.000 circa di cui il 6,8% ha meno di 10 anni) e il 20,3% ha più di 65 anni (oltre 1.100.000 di cui il 10,7%, cioè circa 600.000, ha più di 75 anni).

Celibi o nubili nel 57,3% dei casi e coniugate/i nel 35,9%, il 50,7% è iscritto per espatrio (oltre 2.800.000), il 39,9% per nascita all’estero (oltre 2.200.000). Poco più di 185.000 sono, invece, le iscrizioni per acquisizione di cittadinanza (3,3%). Il 53,0% è iscritto da meno di 15 anni, il 47,0% da più di 15 anni.

La Sicilia, con oltre 798.000 iscrizioni, è la regione con la comunità più numerosa di residenti all’estero. La seguono, a distanza, la Lombardia (+561.000), la Campania (quasi 531.000), il Lazio (quasi 489.000), il Veneto (+479.000) e la Calabria (+430.000).

Sono tre le grandi comunità di cittadini italiani iscritti all’AIRE: Argentina (884.187, il 15,6% del totale), Germania (801.082, 14,2%) Svizzera (639.508, 11,3%). Seguono, a distanza, le comunità residenti in Brasile (poco più di 500.000, 8,9%), Francia (circa 444.000, 7,9%), Regno Unito (oltre 412.000, 7,3%) e Stati Uniti (quasi 290.000, 5,1%).

Però il tema portante dell’edizione 2021 è l’emergenza sanitaria che attraversa tutte le sezioni. Il volume è costruito sul continuo rimando tra mobilità italiana interna e mobilità italiana all’estero. Dallo scoppio della pandemia tutta una serie di costanti hanno cambiato aspetto e nuovi elementi si sono palesati:

“Il 2020 è stato un anno che ha messo a dura prova la libertà di circolazione obbligando all’immobilismo con le diverse fasi di lockdown dichiarate dai vari governi. Tuttavia, gli italiani, seppur inseriti pienamente nell’accresciuto clima di incertezza, hanno sicuramente frenato i loro progetti di mobilità, ma non annullandoli completamente.

Siamo di fronte a una sorta di mobilità del tempo di pandemia che, da una parte risente delle specificità messe in evidenza nelle analisi degli ultimi anni (complessità, instabilità, precarietà), ma che dall’altra inaugura peculiarità nuove che necessitano di essere riverificate in futuro, quando si sarà arrivati a una convivenza normale e di routine con il Covid-19, dato che non si prevede che questo possa essere a breve un lontano ricordo”.

Nell’introduzione mons. Perego e don De Robertis hanno sottolineato il contributo della fede: “Pertanto, il ‘noi’ è a fondamento non solo della fede, ma anche della speranza e della carità: caratterizza l’abito cristiano, la nostra responsabilità e i nostri progetti.

E’ un ‘noi’ non impoverito dagli altri, ma arricchito dalla diversità che i mondi migranti ci fanno incontrare, e riceve una nota nuova, quella della cattolicità, dell’universalità. Il rifiuto dell’altro, i muri innalzati, l’abbandono di chi è nella difficoltà, i respingimenti, il disprezzo, le violenze non solo impoveriscono il ‘noi’ del mondo, ma impoveriscono anche il ‘noi’ della fede, che per sua natura è cattolica.

La fede (ce lo ha insegnato la storia del Novecento) è ferita tutte le volte che hanno il sopravvento i nazionalismi, tutte le volte che ha il sopravvento l’individualismo o l’autoreferenzialità nella vita ecclesiale e sociale. Le migrazioni per la Chiesa sono una provocazione per ciascuno di noi ad essere veramente ‘cattolici’, capaci cioè di riconoscere pienamente gli altri, di affermare concretamente la dignità di ogni persona e di vivere la fraternità come stile”.

(Foto: Fondazione Migrantes)

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