1^ Maggio: i vescovi invitano ad abitare

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Il tema della generatività e la tensione tra la paura di perdere quello che si era e un rinnovato impegno verso nuovi stili di vita: si muove intorno a questi due poli il messaggio dei vescovi per la Festa dei lavoratori sul tema ‘E al popolo stava a cuore il lavoro. Abitare una nuova stagione economico-sociale’.

Il libro di Neemia, nella Bibbia, racconta l’impegno del popolo d’Israele intento a ricostruire le mura di Gerusalemme. Al lavoro generativo della gente, però, si oppongono le derisioni e le critiche dei popoli nemici: Che vogliono fare questi miserabili Giudei?… Edifichino pure! Se una volpe vi salta sopra, farà crollare il loro muro di pietra!”

Neemia, invece, ricorda l’unità e la caparbietà del popolo nel portare a termine l’opera intrapresa, commentando che ‘al popolo stava a cuore il lavoro’. Il brano biblico presenta la forte opposizione tra chi sta a guardare criticando e chi invece mette tutto l’impegno possibile perché nasca qualcosa di nuovo:

“Il brano biblico presenta la forte opposizione tra chi sta a guardare criticando e chi invece mette tutto l’impegno possibile perché nasca qualcosa di nuovo.

E’ la contrapposizione tra il lavoro parlato e il lavoro realizzato concretamente, tra modelli vecchi di lavoro e nuove opportunità che si affacciano. In un contesto molto diverso, oggi scopriamo l’importanza della generatività, che si fonda sull’amore pieno di verità”.

Il messaggio dei vescovi invita ad essere generativi: “Il generare richiede la responsabilità e la capacità di uscire da se stessi per aprirsi all’altro nel segno di una vita segnata dall’amore, unica realtà in grado di rendere la vita piena e feconda. Ciò comporta un conflitto tra il vecchio che resiste e il nuovo che s’impone con la sua forza di cambiamento”.

La generatività crea tensione: “A chi affronta questa dinamica è richiesto di abitare una sana tensione tra la paura di perdere quello che si era, o si deteneva come certezza nell’agire, e un rinnovato impegno verso nuovi stili di vita”.

Questa tensione è stata aggravata dalla pandemia, che ha creato divisioni: “La terribile prova della pandemia ha messo a nudo i limiti del nostro sistema socio-economico. Nel mondo del lavoro si sono aggravate le diseguaglianze esistenti e create nuove povertà.

Già prima di essa il Paese appariva diviso in tre grandi categorie. Una composta da lavoratori di alta qualifica o comunque tutelati e privilegiati che non hanno visto la loro posizione a rischio”.

Poi c’è la categoria dei liberi professionisti: “Una seconda categoria di lavoratori in settori o attività a forte rischio o comunque con possibilità di azione ridotta è entrata in crisi: commercio, spettacoli, ristorazione, artigiani, servizi vari.

L’intervento pubblico sul fronte della cassa integrazione, delle agevolazioni al prestito, dei ristori e della sospensione di pagamenti di rate e obblighi fiscali ha alleviato in parte, ma non del tutto, i problemi di questa categoria”.

Inoltre la pandemia ha accentuato la ‘lista’ degli ultimi: “Un terzo gruppo è rappresentato dai disoccupati, dagli inattivi o dai lavoratori irregolari e coinvolti nel lavoro nero che accentua una condizione disumana di sfruttamento. Sono gli ultimi, in particolare, ad aver vissuto la situazione più difficile perché fuori dalle reti di protezione ufficiali del welfare”.

Però questo periodo ha fatto intravedere una speranza che si possa ripartire, a patto che ci sia unità: “E’ fondamentale, pertanto, che tutte le reti di protezione siano attivate. Il ‘vaccino sociale’ della pandemia, infatti, è rappresentato dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili.

Un aspetto fondamentale di questo tempo per i credenti è la gratitudine di aver incontrato il Vangelo della vita, l’annuncio del Salvatore. La pandemia, infatti, ci ha permesso di sperimentare quanto siamo tutti legati ed interdipendenti. Siamo chiamati ad impegnarci per il bene comune: esso è indissolubilmente legato con la salvezza, cioè il nostro stesso destino personale”.

E ripetono l’appello di papa Francesco a non ‘sprecare’ questo tempo: “La crisi ci ha spinto a scoprire e percorrere sentieri inediti nelle politiche economiche. Viviamo una maggiore integrazione tra Paesi europei grazie alla solidarietà tra stati nazionali e all’adozione di strategie di finanziamento comuni più orientate all’importanza della spesa pubblica in materia di istruzione e sanità”.

Questo periodo ha permesso di capire che è possibile conciliare i tempi: “L’insostenibilità dei ritmi di lavoro, l’inconciliabilità della vita professionale ed economica con quella personale, affettiva e famigliare, i costi psicologici e spirituali di una competizione che si basa sull’unico principio della performance, vanno contrastati nella prospettiva della generatività sociale.

L’esercitazione forzata di lavoro a distanza a cui siamo stati costretti ci ha fatto esplorare possibilità di conciliazione tra tempo del lavoro e tempo delle relazioni e degli affetti che prima non conoscevamo”.

Però tale periodo ha permesso di capire come ‘gestire’ il tempo: “Se le relazioni faccia a faccia in presenza restano quelle più ricche e privilegiate, abbiamo compreso che in molte circostanze nei rapporti di lavoro è possibile risparmiare tempi di spostamento mantenendo o persino aumentando la nostra operosità e combinandola con la cura di relazioni e affetti”.

E proprio questo tempo consente di sperimentare la fraternità: “In tempo di crisi la fraternità è tanto più necessaria perché si trasforma in solidarietà con chi rischia di rimanere fuori dalla società…

Per questo, il mondo del lavoro dopo la pandemia ha bisogno di trovare strade di conversione e riconversione, anche per superare la questione della produzione di armi.

Conversione alla transizione ecologica e riconversione alla centralità dell’uomo, che spesso rischia di essere considerato come numero e non come volto nella sua unicità”.

E’ il cammino che introduce alla prossima settimana sociale: “Ci inseriamo nella seconda bussola che è il cammino verso la Settimana Sociale di Taranto (21-24 ottobre 2021) sul tema del rapporto tra l’ambiente e il lavoro”.

Infine un appello alla speranza, perché, sottolinea l’enciclica ‘Laudato sì’, ‘tutto è connesso’: “Sappiamo che ogni novità va abitata con una capacità generativa e creativa frutto dello Spirito di Dio. Nulla ci distolga dall’attenzione verso i lavoratori.

Parafrasando un celebre brano di ‘Gaudium et spes’, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo del lavoro, dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono, sono i sentimenti dei discepoli di Cristo Signore.

Condividiamo le preoccupazioni, ma ci facciamo carico di sostenere nuove forme di imprenditorialità e di cura. Se ‘tutto è connesso’, lo è anche la Chiesa italiana con la sorte dei propri figli che lavorano o soffrono la mancanza di lavoro. Ci stanno a cuore”.

(Foto: Cei)

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