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Da Trieste un lessico per la democrazia

“Carissimi, Gesù ha vissuto nella propria carne la profezia della ferialità, entrando nella vita e nelle storie quotidiane del popolo, manifestando la compassione dentro le vicende, e ha manifestato l’essere Dio, che è compassionevole. E per questo, qualcuno si è scandalizzato di Lui, è diventato un ostacolo, è stato rifiutato fino ad essere processato e condannato; eppure, Egli è rimasto fedele alla sua missione, non si è nascosto dietro l’ambiguità, non è sceso a patti con le logiche del potere politico e religioso. Della sua vita ha fatto un’offerta d’amore al Padre. Così anche noi cristiani: siamo chiamati a essere profeti, testimoni del Regno di Dio, in tutte le situazioni che viviamo, in ogni luogo che abitiamo”.

Partiamo dall’omelia di papa Francesco, che domenica scorsa ha chiuso a Trieste la 50^ Settimana sociale dei cattolici italiani sul tema ‘Al cuore della democrazia’, per riepilogare ciò che è stato, attraverso alcune parole-chiave, che hanno caratterizzato quei giorni, innanzitutto dall’invito del vescovo della città, mons. Enrico Trevisi, che nel ringraziamento conclusivo ha invitato a costruire relazioni nelle città, come sta avvenendo nel capoluogo friulano:

“Siamo una famiglia, una città che si è costruita attraverso l’apporto di tante culture e di tanti popoli ma anche di tante sofferenze e violenze: e noi vogliamo raccogliere la sfida di essere un laboratorio di pace e di dialogo anche per altre terre che ancora sono attraversate da tensioni e guerre. Intercedano i martiri Francesco Bonifacio, Mirolslav Bulešić, Lojze Grozdè (un italiano, un croato e uno sloveno). Proprio a partire dal Vangelo, anche attraverso il dialogo ecumenico e inter-religioso, vogliamo partecipare con determinazione a costruire relazioni diverse tra i popoli e i Paesi”.

In egual modo ai congressisti il papa aveva chiesto ai cattolici di non accontentarsi di una fede ‘privata’, non capace di ‘salare’ il mondo: “Come cattolici, in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico.

Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. No. Dobbiamo essere voce, voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Tanti, tanti non hanno voce. Tanti. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause. Questo è l’amore politico”.

Solo da una fede ‘solida’ può nascere la ‘passione’ civile, che si può trasformare in carità ‘politica’: “Dobbiamo riprendere la passione civile, questo, dei grandi politici che noi abbiamo conosciuto. Impariamo sempre più e meglio a camminare insieme come popolo di Dio, per essere lievito di partecipazione in mezzo al popolo di cui facciamo parte.

E questa è una cosa importante nel nostro agire politico, anche dei pastori nostri: conoscere il popolo, avvicinarsi al popolo. Un politico può essere come un pastore che va davanti al popolo, in mezzo al popolo e dietro al popolo. Davanti al popolo per segnalare un po’ il cammino; in mezzo al popolo, per avere il fiuto del popolo; dietro al popolo per aiutare i ritardatari. Un politico, che non abbia il fiuto del popolo, è un teorico”.

Una passione ‘civile’, che costringe ad eliminare gli ‘analfabeti della democrazia’ secondo il monito del presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, nel discorso di apertura: “Ogni generazione, ogni epoca, è attesa alla prova della ‘alfabetizzazione’, dell’inveramento della vita della democrazia. Prova, oggi, più complessa che mai, nella società tecnologica contemporanea. Ebbene, battersi affinché non vi possano essere più ‘analfabeti di democrazia’ è causa primaria e nobile, che ci riguarda tutti. Non soltanto chi riveste responsabilità o eserciti potere. Per definizione, democrazia è esercizio dal basso, legato alla vita di comunità, perché democrazia è camminare insieme”.

Ecco il motivo, per cui i cattolici sono chiamati a compiere un percorso, come è stato delineato dal papa nella conclusione dell’omelia in piazza ‘Unità d’Italia’ attraverso l’invito di ‘sognare’ una civiltà fraterna: “Fratelli e sorelle, da questa città di Trieste, affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; per favore, non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita, uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole.

Quella coerenza fra le scelte e le parole. E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati. Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti. Tutti fratelli, con quel sorriso dell’accoglienza e della pace dell’anima”.

E da Trieste ritorna valido anche per il nostro tempo il testo anonimo (forse perché era una scrittura comunitaria) ‘A Diogneto’, datato tra il II ed il III secolo dopo Cristo, in cui si descrive molto chiaramente la vita dei cristiani nella città: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere…

Risiedono in città sia greche che barbare… Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri… Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati… I cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo”.  

1^ Maggio: i vescovi invitano ad abitare

Il tema della generatività e la tensione tra la paura di perdere quello che si era e un rinnovato impegno verso nuovi stili di vita: si muove intorno a questi due poli il messaggio dei vescovi per la Festa dei lavoratori sul tema ‘E al popolo stava a cuore il lavoro. Abitare una nuova stagione economico-sociale’.

Matteo Truffelli: l’Azione Cattolica abita le città

Da oggi al 2 maggio, dopo il rinvio di un anno per l’emergenza del Covid 19, l’Azione cattolica italiana vivrà la XVII Assemblea elettiva nazionale, ‘Ho un popolo numeroso in questa città’, tratto dagli Atti degli Apostoli, momento di confronto e riflessione tra le associazioni diocesane di Ac per progettare insieme il cammino del triennio 2021-2024.

Nella lettera agli associati il presidente, Matteo Truffelli, ha spiegato il significato democratico dell’Assemblea: “L’Assemblea nazionale è alle porte. Arriviamo con gratitudine a questo importante appuntamento, che conclude lo straordinario percorso che ogni tre anni ci consente di verificare e riprogrammare il percorso in cui siamo impegnati e rinnovare le responsabilità associative, dalle più piccole parrocchie d’Italia fino alla Presidenza nazionale, passando per le diocesi e le regioni.

Un anno fa, lo scoppio della pandemia ci ha imposto di rallentare il processo, e ora dovremo celebrarne la fase conclusiva ‘a distanza’, con quelle modalità digitali a cui ormai ci siamo abituati in tanti ambiti delle nostre vite. Non viene meno, tuttavia, il grande valore democratico e partecipativo del nostro camminare insieme: anzi, alla luce del momento storico che stiamo vivendo, la XVII Assemblea nazionale rappresenta un passaggio forse ancora più importante del solito”.

Innanzitutto chiediamo al presidente chiediamo di illustrarci una prospettiva in questo anno: “Questo è un anno molto importante perché porta all’assemblea nazionale, ormai alle porte, che non solo segnerà il ricambio delle responsabilità, ma cercherà di leggere il percorso fatto, ma anche il tempo della nostra Chiesa e della nostra società per capire insieme come l’Azione Cattolica è chiamata a spendersi dentro la realtà.

Il cammino di questi mesi è segnato dal desiderio di fare della nostra associazione uno strumento concreto a disposizione della nostra Chiesa e del nostro tempo per realizzare quel disegno di Chiesa, che papa Francesco ha indicato nell’enciclica ‘Evangelii Gaudium’, che è una ‘traduzione’ della Chiesa del Concilio Vaticano II”.

Un’assemblea ‘a distanza’: a quali domande gli associati sono chiamati a rispondere?

“Nuove domande e nuovi bisogni si sono affacciati nella vita delle nostre società, e tante domande e sfide sono state poste anche alla nostra esperienza di fede e alla nostra missione evangelizzatrice. In tutto il mondo, e anche in Italia, la Chiesa si è impegnata per rispondere a nuove necessità materiali e spirituali. E un ruolo importante lo hanno avuto, in questo, i laici, soprattutto nei momenti più difficili: penso alle esperienze di carità promosse anche da tanti soci e socie di Ac e da molte associazioni diocesane o parrocchiali.

Penso alla cura e al conforto portati negli ospedali dagli operatori sanitari che assistono i malati in isolamento, al supplemento di disponibilità messo in campo da tanti insegnanti, e da tanti studenti. Agli educatori che hanno continuano a tenere saldo il legame con i ragazzi e le ragazze del gruppo. Alla solidarietà semplice vissuta nei condomini e nei quartieri. Tutti modi importanti di abitare il tempo in cui ci troviamo”.

Il titolo richiama l’enciclica ‘Fratelli tutti’: cosa vuol dire costruire una società fraterna?

“Proprio il sogno di una società sempre più fraterna, al centro dell’enciclica ‘Fratelli Tutti’ che papa Francesco ci ha regalato in questo anno di pandemia, rappresenterà una chiave importante per indirizzare il nostro  discernimento. Nell’enciclica il papa propone in particolare una figura di riferimento.

Quella del buon samaritano, capace di chinarsi sul suo prossimo, ferito e abbandonato sul margine della strada, per prendersene cura. E’ questa l’immagine che vogliamo fare nostra: per essere un’Ac che sappia farsi prossima, con coraggio e generosità. tra queste strade dovremo saper individuare, in ogni contesto, quelle che potranno portarci vicino a chi sta subendo o subirà maggiormente le conseguenze della pandemia”.

Quindi l’Azione Cattolica è invitata a confrontarsi sul significato di abitare?

“Abitare  è un verbo importante per noi, perché significa essere cittadini della nostra Chiesa e della nostra società e quindi responsabili del nostro tempo. Abitare significa assumersi la conduzione della ‘casa’ per creare un spazio aperto ed accogliente alle persone, in cui ciascuno può sentirsi a casa”. 

(Tratto da Aci Stampa Foto: Azione Cattolica Italiana)

L’Azione Cattolica presenta il Bilancio di sostenibilità: un capitale per rigenerare

Venerdì scorso è stato presentato con un incontro online sulla pagina facebook dell’associazione il bilancio di sostenibilità 2020 dell’Azione Cattolica Italiana la seconda edizione del bilancio trasparente, uno strumento che rappresenta uno sguardo a tutto tondo attraverso il quale riconoscere il profilo dell’Ac di oggi: una realtà capace di abitare il nostro tempo ma non sempre facile da raccontare e conoscere. Ma anche il frutto di una scelta di trasparenza, che nasce dalla volontà dell’associazione di rendere conto dell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dal contributo dei soci e dalla generosità di tante altre persone.

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