Nicola e Giulia e l’esperienza della disabilità della figlia: quando la croce da strumento di morte diventa albero fecondo di vita

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Nicola e Giulia, sposi e genitori di tre figli, ci raccontano la loro storia. La disabilità della secondogenita li ha duramente provati, ma al contempo ha permesso loro di conoscersi più in profondità, accogliersi nelle loro ferite, riconoscere Dio come Padre e Signore della Vita, e scegliere di aprire la loro casa al prossimo vivendo pienamente le relazioni con le persone.

Cari Nicola e Giulia, come vorreste raccontare il vostro matrimonio?

“Un po’ come una favola, dove ad un lieto inizio, segue la sofferenza di avvenimenti dolorosi, la fatica del cammino e poi la scoperta di un Padre che ci ama, ci custodisce, a volte in modo misterioso, e mai permette che ci allontaniamo da Lui.

Possiamo quindi dire che: ‘C’era una volta…’ e c’è ancora, una famiglia un po’ traballante che desidera con tutte le forze tenere ben piantati i piedi per terra e, nello stesso tempo, tenere alto lo sguardo verso il Cielo. Questa famiglia è la nostra.

Giulia ed io, dopo 6 anni di fidanzamento, ci siamo sposati il 2 giugno del 1996; nel primo anno del nostro matrimonio siamo passati bruscamente dalla gioia di immaginarci genitori di un piccolino, al dolore di aver visto la gravidanza interrompersi senza motivo apparente. In seguito, dal 1998 al 2003 siamo diventati genitori di tre splendidi bimbi (Samuele, Sara e Anna), che ci hanno riempito di gioia ma, non lo nascondiamo, hanno generato anche ansie e preoccupazioni.

Sara è nata nell’aprile del 2000 e fin da subito ha manifestato delle difficoltà che hanno rallentato, fino ad oggi, il suo percorso di sviluppo fisico ed anche emotivo. Questa situazione ci colse allora impreparati e ci mise fortemente in crisi sia come singole persone che come coppia.

Si dice che il tempo aggiusta tutto, ma per noi non è stato così; il passare del tempo non alleviava il nostro dolore, perché avevamo ogni giorno sotto gli occhi i limiti di Sara che erano sempre più evidenti. Abbiamo dovuto riconoscere che da soli non ce l’avremmo fatta: avevamo bisogno di aiuto per affrontare questa situazione che ci appariva come un fallimento, il fallimento del nostro progetto di vita. Ma riconoscere di aver bisogno di aiuto, riconoscere di non essere autosufficienti e di avere bisogno degli altri è sempre il primo passo verso la rinascita”.

Dove trovaste la forza? “Tutto posso in colui che mi dà la forza ci dice san Paolo in Filippesi 4,13 e in 2Cor 12,10 scrive: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte’.Ecco, è stato proprio così. Accogliendo la debolezza nostra e di Sara ci siamo riscoperti più forti e abbiamo riconosciuto che questa forza è donata da un Re. Non un qualsiasi re umano, ma dal Re dell’Universo, Gesù il Cristo, che dall’alto del suo trono, un trono scomodo per la verità, la croce, promette il Suo Regno, cioè il paradiso, al ladrone crocifisso con lui.

Come potrebbe un semplice uomo nel momento più difficile della sua vita, all’apice del suo fallimento, promettere ad un altro condannato il suo regno? O è un folle o è Dio. Gli eventi della nostra vita ci hanno fatto riconoscere che Egli è Dio; abbiamo imparato a vedere nella nostra vita la sua Provvidenza e a sperimentare come Dio opera mirabilmente. Infatti non solo Dio ci ha accompagnato nel cammino di rinascita, ma già ci precedeva in ogni luogo o situazione che dovevamo affrontare.

Certamente Dio era presente quando, mandati dal nostro parroco, andammo a parlare con fra Massimo ad Assisi e di sicuro era presente quando accettammo di farci seguire per un pezzo di cammino da Marusca e Lorenzo, una coppia di sposi, divenuti poi anche cari amici, che avevano adottato un bimbo con sindrome di down.

Attraverso queste persone, il Signore ci ha fatto capire che il nostro limite come genitori non era più un impedimento a vivere e a progettare, ma era diventato il trampolino di lancio per aprirci alla novità, anche all’imprevisto.

La prima novità, bellissima, che accogliemmo dopo questo periodo fu la nascita della nostra terzogenita Anna e in seguito a questo cambio di prospettiva, abbiamo potuto vivere esperienze molto significative, come l’accoglienza di bimbi in affido, la scelta di vivere alcuni mesi presso la casa-canonica della nostra parrocchia e, nel 2017, l’accoglienza di una famiglia nigeriana che aveva necessità di una sistemazione per un certo periodo.

Negli anni a seguire non sono mancati anche nuovi dolorosi imprevisti, che hanno provocato in noi altri momenti di sconforto e sofferenza; avevamo però imparato ad affrontarli affidandoci a Dio e sapendo che il progetto di vita al quale dovevamo essere fedeli era, ed è, soprattutto il nostro matrimonio.

Posso affermare che quello che inizialmente pensavamo fosse il fallimento della nostra vita, posto nelle mani di Dio è diventato un evento provvidenziale. Passare dalla Croce ci rende più umani e attenti agli altri.

Si tratta, tuttavia, di una scelta: la sofferenza di per sé non è un valore, anzi indurisce il nostro cuore e ci allontana da Dio e dagli uomini. Solo quando la viviamo con fiducia in Cristo, affidando a Lui ogni nostra lacrima, allora vivremo da persone guarite e saremo capaci di accorgerci del dolore di chi ci passa accanto. Inizialmente avremmo voluto scappare dalla croce; eravamo spaventati e impotenti.

Con gli anni siamo cambiati e abbiamo compreso che è necessario fare una scelta e abbiamo deciso di prendere in mano la nostra vita amando Sara per quello che è e non per quello che avremo voluto che fosse.

Abbiamo capito che il figlio, ogni figlio, è segno profetico: ‘E tu bambino sarai chiamato profeta dell’Altissimo…’, recita il Benedictus nel Vangelo di Luca. Anche il figlio con disabilità, o la figlia nel nostro caso, è segno profetico, molto più di quanto potremmo mai immaginare. Quella bimba piccola e debole in una culla venti anni fa mostrava già al mondo, in modo incomprensibile, un nostro volto migliore”.

nicola-giulia1996@libero.it

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