Per il patriarca Moraglia le priorità sono la scuola e i poveri

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Il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, ha preso la citazione più lunga della sua ultima lettera pastorale, ‘La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì’, da un classico della letteratura cristiana del ’900, ‘Resistenza e resa’ di Dietrich Bonhoeffer: “L’essenza dell’ottimismo non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé”.

Il patriarca dedica la prima parte a ricordare alcuni fondamentali sulla ripartenza del dopo Covid: “Ci prepariamo a vivere il tempo non certo facile della ‘ripartenza’ che porterà con sé problematiche già vissute e l’accentuarsi di sofferenze legate alla crisi socioeconomica. La convivenza con Covid-19, purtroppo, è destinata a protrarsi nel tempo”.

Nella lettera il patriarca sottolinea il bisogno di speranza: “Iniziamo, quindi, una vera attraversata del deserto che non sarà facile e in cui le nostre comunità sono chiamate a riscoprire la virtù cristiana della speranza, guardandosi e dal facile sconforto e dall’ottimismo di maniera, consapevoli che Gesù risorto non abbandona coloro che si affidano a Lui. La speranza fiorisce dalla fede che non può essere vissuta attraverso i social ma ‘dal vivo’. Dobbiamo guardarci dalle modalità che in tempo di emergenza ci hanno aiutato e si sono rivelate provvidenziali ma che non possono essere la normalità”.

Il patriarca ribadisce il bisogno della testimonianza personale, perché la fede è vita: “La fede è vita, non ‘lezione a distanza’, vita che s’irradia ‘da cuore a cuore’ con la testimonianza personale. Le eccezioni, quindi, devono rimanere tali. La vita del cristiano è così scelta di fede e carità che debbono essere concretamente riscontrabili nella vita di tutti i giorni.

Rifuggiamo dalla nostalgia di un passato non più esistente e da visioni ideologiche che mortificano il senso stesso della fede e della carità, atteggiamenti che ci rinchiudono in un mondo virtuale, al fuori della storia… Non andando a rimorchio di alcuna parte politica, vogliamo guardare con simpatia alla società, alle sue urgenze e necessità con sguardo fedele al Vangelo, attento all’uomo concreto e al bene comune”.

Il punto focale, a cui il patriarca richiama, è quello di ricentrare la vita su Gesù: “Il punto di partenza non possono essere le strutture e i convegni ma il ritorno a Lui, al Signore Gesù, attraverso la conversione personale; il resto è pura conseguenza. Come duemila anni or sono, Gesù si fa nostro compagno di strada e, come ai discepoli di Emmaus, parla anche a noi, ci converte e si rende presente nello spezzare il pane eucaristico”.

Proprio dall’eucarestia riparte il pensiero sociale della Chiesa: “In questo tempo di Covid-19, con le pesanti ricadute sociali ed economiche, dobbiamo far in modo che il principio di solidarietà (carità) diventi scelta concreta, visibile e quotidiana. 0ggi il pensiero sociale della Chiesa è attualissimo: partire dall’uomo vuol dire partire dalle virtù morali, che non possono essere separate da quelle teologali.

Il cristiano senza fede, speranza e carità, infatti, non può vivere le virtù umane e, neppure, ‘informare’ la sua vita alle opere di misericordia spirituali e materiali. Per noi tutto inizia con Gesù, la vera forza, la vera novità e la vera ripartenza; senza di Lui, che è la Parola, tutto si riduce ad un frammentario inseguirsi di voci”.

Ed ecco il richiamo ad gesti semplici ed essenziali: “Ripartiamo da gesti semplici, concreti, quotidiani. Ne propongo due che rispondono alla logica evangelica della vedova che, avendo gettato pochi spiccioli nel tesoro del Tempio, ha materialmente dato meno di coloro che l’hanno preceduta, ma che, in realtà, Gesù ci dice aver dato molto di più di chi vi aveva gettato grandi somme.

La forza dei piccoli ‘gesti’ sta proprio nella loro semplicità e trasparenza. Guai se dovessimo convincerci che bisogna essere ricchi per poter fare la carità. Dare agli altri non dipende dalle proprie disponibilità ma dalla sensibilità del cuore che, alla fine, o sa amare o no. La carità – possiamo dire così – è ‘strutturalmente’ democratica: tutti la possono fare e tutti la possono ricevere. Tutti, sempre”.

Il primo gesto consiste di ‘adottare’ una persona: “Le modalità, ovviamente, saranno differenti secondo le disponibilità: si potrà, quindi, inserire nella propria spesa settimanale uno o due generi di ‘conforto’ da destinare a chi da solo non ce la fa…

Per il cristiano la carità è frutto di grazia, ossia è un gesto che ‘crea’; in sé può essere anche minimo ma è sempre ricco di significato e, per ritornare al pensiero di papa Francesco, sanamente contagioso… Sì, è il ‘miracolo’ della carità che condivide: aggiungendo un posto o una sedia in più e mangiando meno a sazietà ci si fa carico di un ‘invisibile’.

Assumiamo lo stile di chi sa che da soli non si può essere felici. Certo, da soli, si sta seduti più comodi, si mangia più abbondantemente, ma non si è mai veramente felici”.

 Il secondo gesto riguarda il mondo della scuola, ‘banco di prova’ per l’Italia: “Fallire in tale ambito sarebbe un segnale negativo per tutti perché la scuola riguarda i giovani, il nostro futuro e, quindi, tutti noi. Sono proprio loro che ci subentreranno nella guida del Paese e dovranno affrontare i pesanti e perduranti squilibri economici (eredità di Covid-19), squilibri destinati, purtroppo, a rimanere nel tempo”.

Ed invita le parrocchie a mettere a disposizione i propri spazi per lo svolgimento della didattica: “Se le nostre collaborazioni parrocchiali, istituti religiosi, associazioni avessero spazi idonei non usati, sarebbe opportuno renderli fruibili per consentire lo svolgimento di attività didattiche e formative che altrimenti non potrebbero essere garantite.

Di sicuro le modalità dovranno essere studiate con attenzione, compatibili con le nostre forze e prevedendo accordi volti a tutelare la sicurezza di tutti i soggetti coinvolti, sotto la responsabilità di chi gestirà la didattica. Sì, come Chiesa diocesana dobbiamo almeno interrogarci e considerare se è possibile venire incontro a tali esigenze”.

Ed ha ricordato il ruolo delle scuole paritarie: “Circa il mondo della scuola mi piace ricordare il servizio offerto, particolarmente in Veneto, dalle scuole paritarie, che sono soprattutto espressione viva del mondo cattolico e che debbono essere riconosciute per l’importante servizio che svolgono sul territorio; spesso sono diretta espressione delle nostre parrocchie. Ringrazio i parroci, i rappresentanti legali, gli insegnanti, i genitori e le varie associazioni che da sempre si fanno carico di sostenere e promuovere questa realtà viva del cattolicesimo veneto”.

Ed infine un invito alla politica per un progetto per i giovani, affinchè l’Italia sia un Paese anche per loro: “E’ logico, quindi, domandarsi quali investimenti sarebbero opportuni per progettare il futuro delle nuove generazioni, le più esposte e penalizzate dinanzi alle conseguenze di un prolungato periodo di crisi economica.

E’ compito della politica operare una sintesi capace di progettualità, mirando non al facile consenso ma ad interventi ‘strategici’, in grado di ‘pensare’ il futuro oltre l’orizzonte dell’oggi. Non possiamo consegnare ai nostri giovani un Paese gravato da un ingente debito pubblico, da disoccupazione e senza una visione e un sogno”.

(Foto: Patriarcato di Venezia)

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