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Mons Enrico Trevisi invita ad incontrare Gesù
Nelle settimane scorse il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha consegnato ai fedeli la lettera pastorale ‘Io sono con te’ per invita tutti ad essere ‘pellegrini di speranza’ nell’anno giubilare: “Pellegrini di speranza è un motto che mi piace. Apre squarci di positività e di senso sul futuro. Un cammino che ha una meta e che autorizza la fatica del procedere, insieme, come popolo di Dio. Con lo Spirito di Dio”.
La lettera del vescovo, intitolata ‘Io sono con te’, è un invito a non temere di incontrare Gesù: “La vocazione a cui siamo chiamati è impegnativa. La nostra debolezza suscita apprensione; la nostra fragilità è un dato di fatto: siamo vulnerabili. Le nostre capacità sono del tutto inadeguate. Anche noi credenti siamo esposti al rischio della riduttiva logica delle prestazioni volontaristiche che ci fanno appoggiare su noi stessi (il papa parla di neo-pelagianesimo). Invece siamo chiamati a guardare a Gesù, ‘Admirantes Iesum’, e nella quotidiana esperienza mistica dell’essere con Gesù ci sappiamo nell’amore del Padre per camminare con lo Spirito, dentro le testimonianze che ci aspettano”.
Nella lettera mons. Trevisi sottolinea che Gesù non abbandona nessuno: “Gesù non ci lascia orfani, cioè soli, nell’affrontare i nostri giorni complicati. Dal Padre e dal Figlio, per il tramite del Figlio ci è dato lo Spirito Paraclito: dove ‘Paraclito’ (che ora la nuova edizione della Scrittura non traduce) richiama una presenza amica. E’ Dio (la terza persona della Trinità) chiamato ad esserci sempre vicino, ad esserci sempre a fianco: a difenderci in ogni difficoltà (è l’Avvocato difensore), a consolarci nei nostri fallimenti (è il Consolatore). E’ con noi per rafforzarci quando siamo deboli (è il Medico celeste, è Fortezza) e per illuminare le nostre menti (è Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza per quando siamo frastornati e rischiamo l’errore). Purifica la nostra relazione con Dio, purtroppo tentata da presunzioni che necessitano Pietà e Timor di Dio”.
La lettera è un invito a guardare Gesù: “Su alcune questioni siamo turbati e inquieti. Non abbiamo la facile soluzione. Forse nelle singole questioni talvolta eccediamo in prudenza o in ingenuità. Ma una cosa è certa. Noi abbiamo una guida. Non siamo soli. Il Signore è con noi. Lo Spirito Paraclito, con la pienezza dei suoi doni, sempre ci assiste.
Con passione siamo chiamati a trasmettere questa verità ai ragazzi e ai giovani, a chi crede e a chi non crede, ai poveri e agli esclusi. Noi teniamo gli occhi fissi su Gesù. E così (per grazia, per lo Spirito Santo che ci è dato) guardiamo al mondo con i suoi occhi e anche scopriamo quanto Dio ancora sta facendo per noi. E come ancora ci parla: e noi disponibili ad ascoltare la sua Parola, a scrutare i segni della sua presenza viva. I nostri occhi sul mondo piagato (ed anche sulle nostre meschinità e fragilità) devono essere gli occhi di compassione di Gesù. E il nostro cuore deve lasciarsi convertire imparando dal suo cuore”.
L’invito a guardare Gesù significa anche accompagnare gli ‘ultimi’: “Il nostro tenere fisso lo sguardo su Gesù è per imparare da Lui e per ottenere dallo Spirito la forza e la gioia di essere accanto ai fratelli, anche quelli che sbagliano; anche quelli che si sentono esclusi; anche quelli che si sentono falliti, con il suo stile, con il suo cuore, con la sua Grazia. Serve un abbraccio di più, una presenza meno appassita, una tenerezza che accompagni ogni bimbo, un incoraggiamento che fortifichi ogni giovane, tante ‘persone medicina’ che quando le guardi guarisci.
Lo Spirito è per rigenerarci a vita nuova. Se invece i cuori e le parole trasudano diffidenza, aggressività e indifferenza vuol dire che occhi e cuore non sono fissi su Gesù. Le nostre comunità, accogliendo lo Spirito Santo, debbono essere piene di ‘persone medicina’, di compagnie rassicuranti, di testimoni che incarnano la Parola di Gesù e la spezzano nel quotidiano ‘amatevi come io vi ho amati’ (cf. Gv 13,34)”.
La lettera è un invito ad essere ‘pellegrini di speranza’: “Siamo chiamati ad attingere la speranza nella Grazia di Dio. E per questo numerosi saranno gli appuntamenti che ci vedranno attenti a celebrare la Parola del Signore, solleciti nel sacramento della Riconciliazione e riconoscenti nel sacramento dell’Eucaristia. Attenti anche ad invitare persone che fanno parte delle nostre comunità ma che talvolta rischiamo di lasciare un po’ in ombra, magari per le difficoltà logistiche o per le più diverse ragioni che ci rendono frettolosi nei confronti di chi chiede tempi più lenti, parole più meditate, cuori più compassionevoli”.
Essere ‘pellegrini di speranza’ attraverso i ‘segni’: “Radicati nel Signore saremo sollecitati a dare segni di speranza a chi vive il dramma della guerra e delle innumerevoli ingiustizie e iniquità tra i popoli, alle giovani coppie che faticano a vivere l’entusiasmo del trasmettere la vita (l’inverno demografico è uno dei maggiori indici di difetto di speranza), ai detenuti che vivono indegne condizioni nelle nostre carceri, agli ammalati che si trovano nelle case o negli ospedali, ai giovani e al loro futuro che può di nuovo riaccendersi nell’entusiasmo che si fonda in Dio e nel suo amore”.
‘Pellegrini di speranza’ nella ferialità: “Segni di speranza siamo tutti chiamati ad esserlo nella nostra ferialità. Tutti, nessuno escluso. Prima di inventare iniziative strane, noi siamo chiamati a diventare ‘segni di speranza’. Le iniziative sono utili, ma anche sempre precarie e insufficienti. Ciascuno di noi è chiamato a divenire un ‘segno di speranza’: su questo dovremo fermarci a riflettere, e convertirci”.
Ma ‘pellegrini di speranza’ si diventa se ci si prende cura anche della vita spirituale: “Cogliamo il Giubileo come l’occasione, l’appello a prenderci cura della nostra vita spirituale: è un anno speciale e allora diamoci un tempo speciale per la preghiera e il silenzio e l’Adorazione eucaristica con cui guardiamo alla vita, a noi stessi, al mondo, con gli occhi del Signore e alla luce della sua Parola.
Osiamo fare scelte di formazione cristiana: è triste se come credenti assecondiamo le mode e la cultura del tempo senza approfondire quanto ci è rivelato nella Scrittura, senza collocarci dentro la grande tradizione della fede che ancora ci aiuta a trovare il cammino delle nostre responsabilità”.
A Napoli il sangue di san Gennaro: la fragilità rende migliori
Ieri a Napoli si è ripetuto il miracolo del sangue di san Gennaro, come ha annunciato l’arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia, prima della celebrazione eucaristica nel duomo con il sangue nell’ampolla, portata a spalla dai seminaristi fino all’altare maggiore della cattedrale, ricordando che il patrono di Napoli non ha scelto la morte: “Oggi è la memoria del suo ‘dies natalis’, del giorno del suo martirio, della sua morte non subita ma scelta come conseguenza della fedeltà al Vangelo, scelta per amore ad un Amore che è più forte della morte, della violenza, di ogni potere!”
Il sangue di san Gennaro racconta l’Amore di Dio: “Questo sangue è segno del sangue di Cristo, della sua Pasqua ma al contempo è un appello a tutti noi a rimboccarci le maniche per costruire insieme il sogno di Dio: perché questo sangue si mescola sempre con il sangue dei poveri, degli ultimi, con il sangue versato a causa della violenza, dell’incuria umana, del degrado sociale, come purtroppo è accaduto alle vittime del crollo di Scampia e a quelle dell’esplosione di Forcella!”
E’ stato un segno di vicinanza per chi soffre: “E permettetemi oggi di rivolgere il mio pensiero che si fa preghiera, a Chiara, ai suoi familiari ed amici, e a tutti coloro che sono nel dolore per questa morte assurda e tragica: la Chiesa di Napoli vi è vi vicina! Questa vicinanza al dolore di chi soffre è necessaria oggi più che mai perché non possiamo guardare al sangue del nostro Patrono senza guardare al sangue della gente, al sangue di chi è nel dolore, al sangue dei poveri, al sangue degli ultimi: sarebbe un’ipocrisia imperdonabile! Non dobbiamo preoccuparci se il sangue di questa reliquia non si liquefa ma dobbiamo preoccuparci se a scorrere tra le nostre strade e nel nostro mondo è il sangue dei diseredati, degli emarginati, degli ultimi!”
Il sangue di san Gennaro è una sfida per i cittadini di oggi: “Il Vescovo Gennaro anche quest’oggi ricorda a ciascuno di noi che nel Vangelo di Gesù vi è la bussola necessaria a vivere, a vivere pienamente, affrontando a testa alta e con coraggio le sfide che ogni tempo reca con sé, sfide che interpellano la nostra umanità, il nostro essere credenti, la vita della nostra città e dell’intera comunità umana”.
Ed ha elencato alcune sfide a cui i cittadini sono chiamati: “Penso alla sfida della pace, che chiede di essere costruita prima ancora che invocata, attraverso il nostro modo di relazionarci quotidianamente a chi incontriamo, attraverso le scelte politiche, economiche, etiche che siamo chiamati a fare sia ogni giorno nel nostro piccolo che nei momenti importanti della vita democratica e sociale.
Penso alla sfida della solidarietà, che diventa sempre più necessaria in un tempo in cui la cultura dello scarto sembra avere la meglio, mettendo da parte ciò che non produce, o che si ritiene inutile ai fini dell’efficienza consumistica! Penso alla sfida che ogni giorno il mondo e anche la nostra città lancia alla Chiesa, chiedendole ragione della propria speranza, invitandola a non essere profeta di sventura ma piuttosto sorgente di senso e di significato, quel senso e quel significato che per noi ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, che siamo chiamati ad annunciare a tutti anzitutto attraverso la testimonianza della nostra vita personale e comunitaria!”
Anche san Gennaro è stato chiamato a tali sfide: “Fratelli e sorelle, penso che anche il martire Gennaro si è trovato in questa situazione. Vivendo un’epoca di grandi cambiamenti e mutamenti sociali, politici, etici. E la sua fiducia nel Signore lo ha spinto a non tirarsi indietro, a non nascondersi ma a portare il conforto dell’amicizia e della fede ai suoi amici imprigionati, mettendo a repentaglio la propria vita nella consapevolezza che solo una vita spesa fino alla fine per amore e nell’amore è degna di essere vissuta! Perché l’amore riesce a discernere ciò che davvero conta nella vita e ciò che davvero conta è anche ciò da cui bisogna ripartire per costruire insieme un futuro diverso, più umano, più pacifico e giusto”.
E’ stato un invito ad accogliere la Parola di Dio: “Le nostre ferite, vissute con fede, possono diventare feritoie da cui entra la luce di Dio, trasformandoci e rendendoci capaci di contagiare con la speranza coloro che incontriamo! E questo vale anche per le ferite della nostra città: spesso guardiamo ad alcune emergenze e alle problematiche sociali solo come problemi da risolvere dimenticando che possono segnare l’inizio di nuove traiettorie di giustizia e di pace per la nostra comunità. Pensiamo all’emergenza educativa o a quella abitativa: certamente sono problemi urgenti che richiedono risposte immediate e lungimiranti ma al contempo sono un invito a far luce su un futuro diverso possibile, capace di segnare un cambio di passo per la Napoli che verrà!”
Ma ciò avviene con la cooperazione: “Per far questo occorre, ad ogni livello, avere il coraggio di superare la logica della competizione ad oltranza per abbracciare quella della cooperazione. E cooperare implica il tenersi per mano, lo stare l’uno accanto all’altro, superando le contrapposizioni personali inutili, il lessico violento, la calunnia gratuita, l’offesa come stile comunicativo”.
Questa la sfida del perdono: “Il perdono non è soltanto uno dei più grandi insegnamenti e inviti di Gesù ma è un tassello fondamentale della convivenza, a tutti i livelli. Non è facile perdonare, lo sappiamo bene ma è proprio nel perdono che troviamo la vera libertà, la pace del cuore, la capacità di andare oltre il male subito e di aprirci a un futuro nuovo in cui il fratello e la sorella non sono combattuti come nemici ma accolti come compagni di viaggio, anche e soprattutto se sono portatori e portatrici di idee e pensieri diversi dal mio!”
Per questo la fragilità non è debolezza: “La fragilità non è mai una sconfitta, ma un’opportunità per aprire il nostro cuore all’azione di Dio, per permettere alla sua grazia di entrare e trasformare le nostre vite. E’ la fragilità che ci rende più umani, e, allo stesso tempo, più capaci di comprendere e amare gli altri, fino a ‘sacrificare tutto in nome dell’amore’…
Un amore che non conosce limiti, che è disposto a dare tutto, anche la vita, per il bene degli altri, un amore che non è solo un sentimento, ma un impegno concreto, una scelta di vita. Gennaro ci invita a vivere un amore che non si accontenta di mezze misure, ma che va fino in fondo, fino alla croce, sapendo che si tratta sempre e comunque di una ‘collocazione provvisoria’, perché la notte del calvario non è eterna e dovrà ritrarsi alle prime luci dell’alba pasquale!”
E’ stato un appello alla ‘ripartenza’: “Napoli, mia amata città, ricorda sempre di custodire con tutto te stessa e ripartire ogni giorno dalle poche cose che contano e che reggono ogni giorno la tua speranza e la tua fiducia!
Riparti dall’esperienza di chi fa della cura la sua scelta di vita, evitando di girarsi dall’altra parte, rispondendo all’appello che il volto dell’altro esprime, sia esso quello di un familiare, di un amico, di un bambino di strada o di un migrante.
Riparti da una politica che diventa davvero scelta d’amore per il bene comune quando si diventa capaci di stringere la mano all’avversario e fare con lui un pezzo di strada pur conquistare un ulteriore pezzo di umanità e solidarietà per chi rischia di restare indietro.
Riparti dalla solidarietà autentica, dal riconoscimento spontaneo della fraternità innata che lega gli agli altri e che da sempre è decantata nel mondo come la tua perla preziosa, il tuo tesoro più grande: non dimenticare mai la potenza di una mano tesa, la forza guaritrice di un sorriso accogliente, la grandezza dello schierarsi per chi ha bisogno, senza chiedergli nessun patentino se non quello del suo essere figlio di questa umanità!
Napoli, conserva l’entusiasmo di lottare per una città più giusta e pacifica, in cui il malaffare, a qualsiasi livello, possa cedere il posto ad una cultura del bene. E in questo tragitto non sentirti mai sola ma avverti la compagnia umile della chiesa di Cristo, di questa barca che a volte sembra far acqua da tutte le parti ma che non teme perché nella sua stiva contiene un vaso di creta che custodisce il tesoro prezioso del Vangelo, tesoro che desidera condividere con tutti, senza alcuna distinzione.
E tu, beato Gennaro, non abbandonarci mai e che il segno del tuo sangue ravvivi sempre in noi il desiderio di realizzare per la nostra terra e per l’intero mondo il sogno di Dio!”
(Foto: arcidiocesi di Napoli)
Papa Francesco ai ministranti: Gesù è ‘con te’
“Piazza San Pietro è sempre bella, ma con voi è ancora più bella! Vielen Dank di essere venuti a Roma; forse per qualcuno di voi è la prima volta. Willkommen! Mi colpisce il tema del vostro pellegrinaggio: ‘Con te’. ‘Mit dir’. ‘With you’. ‘Avec toi’. Sapete perché mi colpisce? Perché dice tutto in due parole. E’ bellissimo, e lascia spazio alla ricerca, a trovare i significati possibili”: con tali parole ieri pomeriggio papa Francesco ha ricevuto in udienza in piazza San Pietro, i partecipanti al XIII Pellegrinaggio dell’Associazione Internazionale dei Ministranti fino al 3 agosto, sul tema: ‘Con te’.
Sono giovani di almeno 88 diocesi in rappresentanza di circa 20 nazionalità, tra cui: Austria, Belgio, Croazia, Francia, Germania, Lituania, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Serbia, Slovacchia, Svizzera, Ucraina e Ungheria. Dopo un momento di preghiera, il papa ha espresso alcune impressioni sul titolo:
“Con te. E’ un’espressione che racchiude il mistero della nostra vita, il mistero dell’amore. Quando un essere umano viene concepito nel grembo, la mamma gli dice o le dice: ‘Non temere, io sono con te’. Ma misteriosamente anche la mamma sente che quella piccola creatura le dice, alla mamma: ‘Sono con te’. E questo, in modo diverso, vale anche per il papà! Pensando a voi, e adesso guardandovi, questo ‘con te’ si riempie di nuovi significati! Vorrei dirvi quelli che ho trovato più belli e importanti”.
Il titolo del convegno è un chiaro rimando alla celebrazione eucaristica, dove Gesù si manifesta: “La vostra esperienza di servizio nella Liturgia mi fa pensare che il primo soggetto, il protagonista di questo ‘con te’ è Dio. Gesù ha detto: ‘Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro’. E questo si realizza al massimo nella Messa, nell’Eucaristia: lì il ‘con te’ diventa presenza reale, presenza concreta di Dio nel Corpo e nel Sangue di Cristo”.
Tale ‘esperienza’ comunionale permette di fare esperienza di Gesù: “Il sacerdote vede accadere ogni giorno questo mistero tra le sue mani; e anche voi lo vedete, quando servite all’altare. E quando riceviamo la santa Comunione, possiamo sperimentare che Gesù è ‘con noi’ spiritualmente e fisicamente. Lui ti dice: ‘Io sono con te’, ma non a parole, lo dice in quel gesto, in quell’atto d’amore che è l’Eucaristia. E anche tu, nella Comunione, puoi dire al Signore Gesù: ‘Io sono con te’, non a parole, ma col tuo cuore e col tuo corpo, col tuo amore. Proprio grazie al fatto che Lui è con noi, anche noi possiamo essere veramente con Lui”.
In questo modo si realizza anche uno ‘scambio’ con il mondo: “Se tu ministrante custodisci nel tuo cuore e nella tua carne, come Maria, il mistero di Dio che è con te, allora diventi capace di essere con gli altri in modo nuovo. Anche tu (grazie a Gesù, sempre e solo grazie a Lui) anche tu puoi dire al prossimo ‘sono con te’, ma non a parole, ma nei fatti, con i gesti, con il cuore, con la vicinanza concreta (non dimenticate la vicinanza concreta) piangere con chi piange, gioire con chi gioisce, senza giudizi, senza pregiudizi, senza chiusure, senza esclusioni. Anche con te, che non mi sei simpatico; con te, che sei diverso da me; con te, che sei straniero; con te, da cui non mi sento capito; con te, che non vieni mai in chiesa; con te, che dici di non credere in Dio”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: l’Eucarestia è dono di Dio
“Prese il pane e recitò la benedizione (Mc 14,22). E’ il gesto con cui si apre il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia nel Vangelo di san Marco. E noi potremmo partire da questo gesto di Gesù (benedire il pane) per riflettere sulle tre dimensioni del Mistero che stiamo celebrando: il ringraziamento, la memoria e la presenza”; dopo 7 anni, papa Francesco nel pomeriggio ha celebrato in san Giovanni in Laterano la solennità del Corpus Domini con la processione fino a Santa Maria Maggiore: partirà dopo la celebrazione e sarà terminata dalla benedizione solenne del Papa impartita con il Santissimo Sacramento, sottolineando tre le dimensioni del sacramento dell’Eucarestia, ringraziamento, memoria e presenza.
Ringraziamento, in quanto è la parola stessa che invita a rendere grazie: “La parola ‘Eucaristia’ vuole proprio dire ‘grazie’: ‘ringraziare’ Dio per i suoi doni, e in questo senso il segno del pane è importante. E’ l’alimento di ogni giorno, con cui portiamo all’Altare tutto ciò che siamo e che abbiamo: vita, opere, successi, e anche fallimenti, come simboleggia la bella usanza di alcune culture di raccogliere e baciare il pane quando cade a terra: per ricordarsi che è troppo prezioso per essere buttato, anche dopo che è caduto. L’Eucaristia, allora, ci insegna a benedire, ad accogliere e baciare, sempre, in rendimento di grazie, i doni di Dio, e questo non solo nella celebrazione: anche nella vita”.
Il ringraziamento a Dio avviene attraverso concrete azioni: “Ad esempio non sprecando le cose e i talenti che il Signore ci ha dato. Ma anche perdonando e risollevando chi sbaglia e cade per debolezza o per errore: perché tutto è dono e nulla può andare perduto, perchè nessuno può rimanere a terra, e tutti devono avere la possibilità di rialzarsi e di riprendere il cammino. E noi possiamo fare questo anche nella vita quotidiana, svolgendo il nostro lavoro con amore, con precisione, con cura, con precisione, come un dono e una missione. E sempre aiutare chi è caduto: una volta soltanto nella vita si può guardare una persona dall’alto in basso: per aiutarla a risollevarsi. E questa è la nostra missione”.
Dopo il ringraziamento segue la benedizione del pane, che è memoria di un avvenimento: “Per l’antico Israele si trattava di ricordare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e l’inizio dell’esodo verso la terra promessa. Per noi è rivivere la Pasqua di Cristo, la sua Passione e Risurrezione, con cui ci ha liberato dal peccato e dalla morte. Fare memoria della nostra vita, fare memoria dei nostri successi, fare memoria dei nostri sbagli, fare memoria di quella mano tesa del Signore che sempre ci aiuta a sollevarci, fare memoria della presenza del Signore nella nostra vita”.
In questa memoria si gioca la libertà di ciascuna persona: “C’è chi dice che è libero chi pensa solo a sé stesso, chi si gode la vita e chi, con menefreghismo e magari con prepotenza, fa tutto quello che vuole a dispetto degli altri. Questa non è libertà: questa è una schiavitù nascosta, una schiavitù che ci rende più schiavi ancora.
La libertà non si incontra nelle casseforti di chi accumula per sé, né sui divani di chi pigramente si adagia nel disimpegno e nell’individualismo: la libertà si incontra nel cenacolo dove, senza alcun altro motivo che l’amore, ci si china davanti ai fratelli per offrire loro il proprio servizio, la propria vita, come salvati”.
In questo modo l’Eucarestia diventa presenza ‘reale’: “E con questo ci parla di un Dio che non è lontano, che non è geloso, ma vicino e solidale con l’uomo; che non ci abbandona, ma ci cerca, ci aspetta e ci accompagna, sempre, al punto da mettersi, indifeso, nelle nostre mani. E questa sua presenza invita anche noi a farci prossimi ai fratelli là dove l’amore ci chiama…
Vediamo ogni giorno troppe strade, forse una volta odorose di pane sfornato, ridursi a cumuli di macerie a causa della guerra, dell’egoismo e dell’indifferenza! È urgente riportare nel mondo l’aroma buono e fresco del pane dell’amore, per continuare a sperare e ricostruire senza mai stancarsi quello che l’odio distrugge”.
E la processione è un gesto di vicinanza a tutti: “E’ questo anche il significato del gesto che faremo tra poco, con la Processione Eucaristica: partendo dall’Altare, porteremo tra le case della nostra città il Signore. Non lo facciamo per metterci in mostra, e neanche per ostentare la nostra fede, ma per invitare tutti a partecipare, nel Pane dell’Eucaristia, alla vita nuova che Gesù ci ha donato. Facciamo la processione con questo spirito”.
Mentre dopo la recita dell’Angelus di questa mattina papa Francesco ha sottolineato la dimensione del dono eucaristico: “Comprendiamo allora che celebrare l’Eucaristia e cibarci di questo Pane, come facciamo specialmente alla domenica, non è un atto di culto staccato dalla vita o un semplice momento di consolazione personale; sempre dobbiamo ricordarci che Gesù, prendendo il pane, lo spezzò e lo diede loro, perciò, la comunione con Lui ci rende capaci di diventare anche noi pane spezzato per gli altri, capaci di condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo”.
E’ stato un invito a diventare ‘eucaristici’: “Ecco, fratelli e sorelle, a cosa siamo chiamati: a diventare ciò che mangiamo, a diventare ‘eucaristici’, cioè persone che non vivono più per sé stesse, nella logica del possesso e del consumo, ma che sanno fare della propria vita un dono per gli altri. Così, grazie all’Eucaristia, diventiamo profeti e costruttori di un mondo nuovo: quando superiamo l’egoismo e ci apriamo all’amore, quando coltiviamo legami di fraternità, quando partecipiamo alle sofferenze dei fratelli e condividiamo il pane e le risorse con chi è nel bisogno, quando mettiamo a disposizione di tutti i nostri talenti, allora stiamo spezzando il pane della nostra vita come Gesù”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco prega per gli Armeni
Sempre oggi, prima dell’Udienza Generale, papa Francesco ha ricevuto i membri del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale di Cilicia degli Armeni presso la tomba degli apostoli Pietro e Paolo a conclusione della ricorrenza del Dottor della Chiesa, san Gregorio di Narek, incentrando il discorso, letto da mons. Filippo Ciampanelli, sull’accompagnamento del popolo di Dio da parte dei vescovi:
“Come Vescovi, Successori degli Apostoli, abbiamo la responsabilità di accompagnare il santo Popolo di Dio verso Gesù, Signore e Amico degli uomini, nostro Buon Pastore. Per questo nel giorno dell’ordinazione episcopale ci siamo impegnati a custodire la fede, a rafforzare la speranza e a diffondere la carità di Cristo”.
E’ stato un invito rivolto al Sinodo di scegliere con cura i sacerdoti per accompagnare il popolo nel cammino verso Dio: “Cari Fratelli, una delle grandi responsabilità del Sinodo è proprio quella di dare alla vostra Chiesa i Vescovi di domani. Vi prego di sceglierli con cura, perché siano dediti al gregge, fedeli alla cura pastorale, mai arrivisti. Non vanno scelti in base alle proprie simpatie o tendenze, e bisogna stare molto attenti agli uomini che hanno ‘il fiuto degli affari’ od a quelli che ‘hanno sempre la valigia in mano’, lasciando il popolo orfano”.
Ed ha sottolineato che un’eparchia non è luogo di ‘passaggio’ verso cariche più prestigiose, chiamandolo ‘adulterio pastorale’: “Un Vescovo che vede la sua Eparchia come luogo di passaggio verso un’altra più ‘prestigiosa’ dimentica di essere sposato con la Chiesa e rischia (permettetemi l’espressione) di commettere un ‘adulterio pastorale’. Lo stesso accade quando si perde tempo a contrattare nuove destinazioni o promozioni: i Vescovi non si acquistano al mercato, è Cristo a sceglierli come Successori dei suoi Apostoli e Pastori del suo gregge”.
Quindi, come affermava san Gregorio di Narek, i fedeli devono sentire la vicinanza del proprio vescovo: “In un mondo pieno di solitudini e distanze, quanti ci sono affidati devono sentire da noi il calore del Buon Pastore, la nostra attenzione paterna, la bellezza della fraternità, la misericordia di Dio. I figli del vostro caro popolo hanno bisogno della vicinanza dei loro Vescovi. So che in grandissimo numero sono dispersi nel mondo e talvolta in territori molto vasti, dove è difficile che siano visitati”.
Però, anche se dispersi nel mondo, papa Francesco ha sollecitato a mostrare una Chiesa piena di amore, invocando una collaborazione con la Chiesa armena: “Ma la Chiesa è Madre amorevole e non può che cercare tutti i mezzi possibili per raggiungerli, perché ricevano l’amore di Dio nella loro propria tradizione ecclesiale. E non è tanto questione di strutture, le quali sono solo mezzi che aiutano la diffusione del Vangelo; è soprattutto questione di carità pastorale, di cercare e promuovere il bene con sguardo e apertura evangelici: penso anche all’essenzialità di una ancora più stretta collaborazione con la Chiesa armena apostolica”.
E’ stato un chiaro invito a pregare per discernere il Vangelo: “Vorrei condividere con voi un altro aspetto che avverto come prioritario: pregare molto, anche per custodire quell’ordine interiore che permette di operare in armonia, discernendo le priorità del Vangelo, quelle care al Signore…
I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico.
Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.
E’ stato un invito a curare la ‘pastorale vocazionale’: “I vostri Sinodi siano dunque ben preparati, i problemi studiati con cura e valutati con saggezza; le soluzioni, sempre e solo per il bene delle anime, siano applicate e verificate con prudenza, coerenza e competenza, assicurando soprattutto la piena trasparenza, anche nel campo economico. Le leggi vanno conosciute e applicate non per formalismo, ma perché sono strumenti di un’ecclesiologia che permette anche a chi non ha potere di appellarsi alla Chiesa con pieni diritti codificati, evitando gli arbitrii del più forte”.
Ed ha concluso con un pensiero a coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, sottolineando che gli Armeni sono stati sempre cacciati dai territori: “Beatitudine, Fratelli carissimi, come non evocare infine, con le parole ma soprattutto con la preghiera, l’Armenia, in particolare tutti coloro che fuggono dal Nagorno-Karabakh, le numerose famiglie sfollate che cercano rifugio! Tante guerre, tante sofferenze.
La prima guerra mondiale doveva essere l’ultima e gli Stati si costituirono nella Società delle Nazioni, ‘primizia’ delle Nazioni Unite, pensando che ciò bastasse a preservare il dono della pace. Eppure da allora, quanti conflitti e massacri, sempre tragici e sempre inutili. Tante volte ho supplicato: Basta! Echeggiamo tutti il grido della pace, perché tocchi i cuori, anche quelli insensibili alla sofferenza dei poveri e degli umili. E soprattutto preghiamo. Lo faccio per voi e per l’Armenia”.
(Foto: Santa Sede)
Giornata del Malato: curare nelle relazioni
Il messaggio per la 32^ Giornata Mondiale del Malato, che si celebra oggi, si intitola: ‘Non è bene che l’uomo sia solo. Curare il malato curando le relazioni’, ispirandosi al capitolo 2 del libro della Genesi (Gen 2,18), come ha specificato papa Francesco: “Ci fa bene riascoltare quella parola biblica: non è bene che l’uomo sia solo! Dio la pronuncia agli inizi della creazione e così ci svela il senso profondo del suo progetto per l’umanità ma, al tempo stesso, la ferita mortale del peccato, che si introduce generando sospetti, fratture, divisioni e, perciò, isolamento.
Papa Francesco: Scalabrini è il missionario dello Spirito Santo
La canonizzazione di san Giovanni Battista Scalabrini ha risvegliato nella Chiesa e nella società la coscienza della necessità di un impegno corresponsabile nella promozione dello sviluppo umano integrale e la cura pastorale dei e con i migranti, i rifugiati e le loro famiglie: “Come Missionari Scalabriniani, fedeli al carisma e alla missione ricevuti dal nostro santo Fondatore, sentiamo il dovere morale di fare la nostra parte e di essere seme per una coscienza di fraternità nella società”.
Terremoto: la solidarietà italiana al popolo del Marocco
Al termine della recita dell’Angelus domenicale papa Francesco ha pregato per le vittime del terremoto che la notte di venerdì scorso ha colpito la popolazione del Marocco: “Desidero esprimere la mia vicinanza al caro popolo del Marocco, colpito da un devastante terremoto. Prego per i feriti, per coloro che hanno perso la vita (tanti!) e per i loro familiari. Ringrazio i soccorritori e quanti si stanno adoperando per alleviare le sofferenze della gente; il concreto aiuto di tutti possa sostenere la popolazione in questo tragico momento: siamo vicini al popolo del Marocco!”