Domenica delle Palme: la Passione del Signore

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Il cammino quaresimale oggi ci introduce nella Settimana Santa nella quale la Liturgia ci propone il ricordo della passione, morte e risurrezione di Cristo Gesù. Una giornata caratterizzata  da due momenti che vanno del canto della folla ‘Osanna’ al grido blasfemo della stessa folla, aizzata dai Capi e dal Sinedrio, che grida ‘Crucifige’.

Il primo momento liturgico di oggi è gioioso: palme e rami di ulivo in segno di esultanza al grido: ‘Benedetto colui che viene nel nome del Signore: il Re di Israele’. E’ la domenica del trionfo di Gesù che viene accolto nella città di Gerusalemme; Gesù appare il vero Messia atteso da secoli. Il secondo momento è il ricordo drammatico della sua passione e morte descritto  nel Vangelo: è l’iter del sacrificio annunziato da Gesù: “se il chicco di grano non muore, non diventerà una spiga”. Grazie infatti al sacrificio di Gesù sulla croce sono state aperte a noi  le porte del regno dei cieli; inizia la nuova Alleanza tra Dio e l’uomo, grazie al sacrificio di Cristo Gesù.

Ma la domanda è spontanea: chi sono i veri responsabili della passione e morte di Gesù? Sono stati gli Ebrei o sono stati i Romani?  Gesù ha subìto  due processi: uno religioso e l’altro politico. Due tribunali con accuse diverse; nel processo religioso è stato accusato di avere bestemmiato perché ha affermato di essere ‘figlio di Dio’: al Sommo Sacerdote, che lo aveva interrogato: “Se tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”, Gesù aveva risposto: “sì, lo sono” e tutti gridarono: “è reo di morte”. Il secondo processo è stato impiantato in chiave politica: davanti al governatore romano; a Ponzio Pilato che interroga Gesù: “Sei tu il re dei Giudei?”, Gesù risponde: “Sì, sono Re, ma il mio regno non è di questo mondo!”. Pilato si convince che Gesù è innocente, ma, dietro le grida della folla: “Se non lo condanni a morte, ti accuseremo a Cesare”, Pilato se ne lava le mani, libera Barabba ed accontenta la folla e i Capi del Sinedrio. 

Due tribunali, due accuse diverse, due condanne a morte. Chi è il vero responsabile della condanna a morte di Gesù? Nel racconto del Vangelo si inseriscono vari episodi: Giuda, che lo aveva tradito si è andato ad impiccare; Pietro che lo rinnega davanti ad una cameriera, piange il suo peccato. A questi fatti eclatanti fanno riscontro fatti positivi: Un Cireneo aiuta Gesù a portare la croce; Maria e le pie donne seguono Gesù piangendo; il Centurione romano, visto Gesù spirare, esclama: “davvero costui era figlio di Dio” mentre il velo del tempio si squarcia in due. Chi è il vero responsabile della morte in croce di Gesù? 

Certamente al di là del racconto storico, i veri responsabili, senza alcun forse, non sono né gli Ebrei, né i Romani, il vero responsabile è l’uomo e il suo peccato, sei tu, sono io, siamo tutti  perché Cristo si è offerto al sacrificio della croce per salvare l’uomo peccatore. Gesù ha portato i nostri peccati sulla croce per salvare l’uomo peccatore: “Egli è stato schiacciato per le nostre iniquità”. Dietro Giuda, che vendette Gesù per trenta denari (baratto terribile), ci sei tu, ci sono io, che tanta volte facciamo di peggio. Gesù era passato ‘sanando e beneficando tutti’, noi  barattiamo e vendiamo Gesù per molto meno di trenta denari; tradiamo l’amore di Dio per soddisfare un capriccio, per la nostra stupida superbia ed orgoglio e talvolta ci vergogniamo di apparire cristiani davanti ad avversari della fede. L’uomo peccatore è peggio di Pilato, che se ne lava le mani.

Dall’alto della Croce Gesù prega: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato (recita un salmo), non è un grido di disperazione, non è un rifiuto della Croce e le sue ultime parole sono: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno”. Gesù, abbassato il capo, spira; il velo del Tempio si squarcia in due mentre il centurione romano esclama: “davvero costui è Figlio di Dio”.  La quaresima acquista un senso solo se si attua l’invito di Gesù: ‘convertitevi’, cambiate testa, prendete coscienza che davanti a Dio vivere è amare, amare è servire, come il buon Pastore che dà la sua vita per salvare le sue pecorelle.                                                                                       

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