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Papa Francesco: alziamo lo sguardo
“Le donne vanno al sepolcro alle prime luci dell’alba, ma dentro di sé conservano il buio della notte. Pur essendo in cammino, sono ancora ferme: il loro cuore è rimasto ai piedi della croce. Annebbiate dalle lacrime del Venerdì Santo, sono paralizzate dal dolore, sono rinchiuse nella sensazione che ormai sia tutto finito, che sopra la vicenda di Gesù sia stata messa una pietra. E proprio la pietra è al centro dei loro pensieri”: nella veglia pasquale papa Francesco ha sottolineato i dubbi che assillavano le donne durante l’omelia.
Nell’omelia il papa ha evidenziato due momenti, che conducono alla gioia della Pasqua: “Anzitutto, primo momento, c’è la domanda che assilla il loro cuore spezzato dal dolore: chi ci farà rotolare via la pietra dal sepolcro? Quella pietra rappresentava la fine della storia di Gesù, sepolta nella notte della morte. Lui, la vita venuta nel mondo, è stato ucciso; Lui, che ha manifestato l’amore misericordioso del Padre, non ha ricevuto pietà; Lui, che ha sollevato i peccatori dal peso della condanna, è stato condannato alla croce.
Il Principe della pace, che aveva liberato un’adultera dalla furia violenta delle pietre, giace sepolto dietro una grossa pietra. Quel masso, ostacolo insormontabile, era il simbolo di ciò che le donne portavano nel cuore, il capolinea della loro speranza: contro di esso tutto si era infranto, con il mistero oscuro di un tragico dolore che aveva impedito ai loro sogni di realizzarsi”.
Ciò avviene ogni qualvolta si sperimenta la delusione: “Sono ‘macigni della morte’ e li incontriamo, lungo il cammino, in tutte quelle esperienze e situazioni che ci rubano l’entusiasmo e la forza di andare avanti: nelle sofferenze che ci toccano e nelle morti delle persone care, che lasciano in noi vuoti incolmabili; li incontriamo nei fallimenti e nelle paure che ci impediscono di compiere quanto di buono abbiamo a cuore; li troviamo in tutte le chiusure che frenano i nostri slanci di generosità e non ci permettono di aprirci all’amore; li troviamo nei muri di gomma dell’egoismo e dell’indifferenza, che respingono l’impegno a costruire città e società più giuste e a misura d’uomo; li troviamo in tutti gli aneliti di pace spezzati dalla crudeltà dell’odio e dalla ferocia della guerra”.
Eppure le donne sono state capaci di alzare lo sguardo per vedere Gesù risorto: “Risuscitato dal Padre nella sua, nella nostra carne con la forza dello Spirito Santo, ha aperto una pagina nuova per il genere umano. Da quel momento, se ci lasciamo prendere per mano da Gesù, nessuna esperienza di fallimento e di dolore, per quanto ci ferisca, può avere l’ultima parola sul senso e sul destino della nostra vita. Da quel momento, se ci lasciamo afferrare dal Risorto, nessuna sconfitta, nessuna sofferenza, nessuna morte potranno arrestare il nostro cammino verso la pienezza della vita”.
Questa è la Pasqua: “Fratelli e sorelle, Gesù è la nostra Pasqua, Lui è Colui che ci fa passare dal buio alla luce, che si è legato a noi per sempre e ci salva dai baratri del peccato e della morte, attirandoci nell’impeto luminoso del perdono e della vita eterna. Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui, accogliamo Gesù, Dio della vita, nelle nostre vite, rinnoviamogli oggi il nostro ‘sì’ e nessun macigno potrà soffocarci il cuore, nessuna tomba potrà rinchiudere la gioia di vivere, nessun fallimento potrà relegarci nella disperazione”.
E’ un invito ad alzare lo sguardo al cielo: “Fratelli e sorelle, alziamo lo sguardo a Lui e chiediamogli che la potenza della sua risurrezione rotoli via i massi che ci opprimono l’anima. Alziamo lo sguardo a Lui, il Risorto, e camminiamo nella certezza che sul fondo oscuro delle nostre attese e delle nostre morti è già presente la vita eterna che Egli è venuto a portare”.
(Foto: Santa Sede)
Betlemme a Pasqua, senza pellegrini e senza lavoro per molti
Più di 160 giorni di guerra in Terra Santa che per i cristiani ha un ‘valore’ molto importante, come ha scritto il presidente del prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, card. Claudio Gugerotti, nella lettera dell’appello per la Colletta dei cristiani in Terra Santa:
“Il pellegrinaggio a Gerusalemme ha una storia antica quanto il cristianesimo, e non solo per i Cattolici. Questo è reso ancora oggi possibile dall’opera generosa dei Francescani della Custodia di Terra Santa e dalle Chiese Orientali ivi presenti. Essi mantengono e animano i santuari, segni della memoria dei passi e delle azioni di Gesù, testimoni materiali di un Dio che assunse la materia per salvare noi, fango animato dal soffio dello Spirito. Per la loro dedizione in quei luoghi si continua a pregare incessantemente per il mondo intero”.
Per raccontare la verità di queste parole abbiamo incontrato a Tolentino Nizar Lama, guida turistica cattolica a Betlemme, su invito di don Rino Ramaccioni, supportato dalle organizzazioni di volontariato Sermit, Sermirr, Agesci ed Azione Cattolica Italiana, che ha raccontato ai giovani la vita in Terra Santa:
“Oggi sono qui mentre il mio Paese vive in stato di guerra, sono ben consapevole che la mia nazione soffre di difficoltà e grandi problemi dal 1948, ma questa volta è la più dura e la più triste, e la più sanguinosa. La mia Patria è la terra dei profeti e una terra sacra, che ha sofferto per lungo tempo di diversi problemi, politici, sociali ed economici”.
Citando il profeta Geremia, Nizar ha ribadito di non aver perso la speranza in Dio, nonostante le difficoltà: “Nonostante tutte le difficoltà, la nostra speranza in Dio rimane ferma e forte, e la speranza prevale su tutto. In questo periodo difficile, abbiamo perso molti amici, e la maggior parte delle persone ha perso il lavoro, sono momenti difficili e preziosi, dove abbiamo perso l’amore l’uno per l’altro. Abbiamo vissuto nella paura, paura per i nostri figli e paura per il nostro futuro. Ma questa paura ha rafforzato la nostra fede e ci ha avvicinati a Dio nella preghiera”.
Ha raccontato le difficili condizioni di vita in questi ultimi anni: “Non ci siamo ancora ripresi dal Covid-19, ed all’improvviso è scoppiata questa guerra, lasciando il mio Paese vuoto senza visitatori né pellegrini, con circa 3.000.000 di persone che visitano Betlemme alla fine di ogni anno, e 17.000.000 di persone in Israele in particolare”.
Difficoltà vissute soprattutto a Betlemme: “La città della Natività ha vissuto condizioni molto difficili… La mia città, Betlemme, soffre di un grande assedio; dal 2002 è stato costruito il muro di separazione che si estende per 74 km intorno a Betlemme, e 810 km intorno alla Cisgiordania, è davvero una grande prigione a cielo aperto. All’inizio della guerra, sono stati controllati l’acqua, l’elettricità, il gas, la benzina, le strade e i trasporti. Le scuole sono rimaste chiuse, e la maggior parte dei negozi chiusi, e nonostante ciò i prezzi dei prodotti e dei beni alimentari sono aumentati notevolmente, dove la maggior parte delle persone soffre molto per trovare il pane quotidiano. Un gran numero di negozi è chiuso a causa del conflitto e della tensione di sicurezza”.
E’ stata una denuncia contro gli estremisti: “Noi, nella Terra Santa, portiamo ogni giorno la croce di Cristo, per strada, nei nostri lavori… a causa dei movimenti estremisti. Non ci sono parole sufficienti… e non ci sono parole adeguate per descrivervi quanto siano difficili e complicate le condizioni. Il ricordo della guerra rimarrà impresso nei nostri cuori e nei cuori dei nostri bambini, che avranno disperatamente bisogno di cure psicologiche quando la guerra finirà”.
Infine ha ringraziato le organizzazioni di volontariato per il supporto economico ai cattolici di Terra Santa: “La mia presenza qui oggi con voi è per ringraziarvi. Voglio ringraziare ognuno di voi, perché vi interessate a noi e al nostro futuro; grazie per tutto il supporto che ci avete dato, morale e materiale; grazie per le vostre preghiere per noi, e vi chiedo di continuare a pregare affinché questa guerra finisca e la pace torni nella terra della pace. In qualità di rappresentante della voce cristiana a Betlemme, vi ringrazio per tutto il supporto ricevuto, ma abbiamo bisogno di sostenibilità per aiutare le famiglie colpite dalla guerra, che hanno perso il loro lavoro”.
Al termine dell’incontro ho potuto chiedere di raccontare come si vive in Terra Santa: “In Terra Santa si vive una situazione molto difficile, perché dal 7 ottobre le famiglie hanno perso il loro lavoro ed a Betlemme non riescono a trovare il pane quotidiano, in quanto la città è turistica, ospitando ogni anno 3.000.000 di turisti. Con la guerra non ci sono più turisti e quindi non c’è più lavoro”.
La Pasqua si avvicina: quale è il sentimento dei cattolici?
“Questa Pasqua è completamente diversa dagli anni precedenti, perché siamo costretti a stare a casa forzatamente dalla guerra. Non possiamo andare a Gerusalemme, che dista quindici minuti di autobus da Betlemme. A Gerusalemme nel santo Sepolcro c’è tutta la storia di Gesù. In questa Pasqua sarà molto difficile per noi raggiungere Gerusalemme”.
Cosa dicono i tuoi figli?
“Ho tre figli. La loro situazione è molto difficile, perché sono bloccati a casa dal 7 ottobre; non vanno a scuola ed io con mia moglie facciamo lezioni a casa. Non possono uscire neanche a giocare in un giardino, perché c’è pericolo di essere uccisi”.
Chi desidera sostenere i cristiani a Betlemme queste sono le coordinate del Ser.Mi.T.: Intesa Sanpaolo – IT09D036969200100000006377; Poste Italiane – IT66N0760113400000014616627.
(Tratto da Aci Stampa)
La Pasqua, una scuola per vivere il lutto nella speranza
“La morte ci fa paura. La morte è un orrore. Sembra divorare tutto, sembra togliere senso ad ogni cosa. Lo so, non è l’incipit più bello del mondo, ma bisognava mettere subito in chiaro che questo testo non vuol essere sdolcinato. Non edulcora la realtà. Non offre consolazioni più simili all’ovatta che ottura che ad una vera medicina che cura. Per guarire da un brutto male, bisogna guardarlo in faccia e riuscire a vederlo come tale, così da intervenire in modo efficace. E la morte è un male. Forse proprio l’emblema del male presente nella vita umana. Uno dei problemi della nostra società è che considera la morte un tabù: se non se ne parla, allora non ci tocca… ma non è così”.
Questo è l’inizio dell’introduzione del libro di Cecilia Galatolo, ‘Vivere il lutto insieme a Dio per ritrovare la pace. Dieci storie vere’, pensato per coloro che si trovano nell’angoscia per la perdita di una persona cara. La morte si presenta alle donne e agli uomini di ogni tempo come un orrore, perché sembra divorare tutto, sembra togliere senso ad ogni cosa:
“E’ normale piangere. Anzi, non solo è normale, ma anche necessario per elaborare quanto successo. Pensiamo che perfino Gesù ha voluto vivere il dolore del lutto, quando è andato a trovare Marta e Maria, che avevano appena sepolto il loro caro fratello Lazzaro, amico di Gesù. Gesù stesso piange, in quella occasione.
Proprio così: si commuove, prova angoscia, tristezza. Non vuole restare immune agli effetti della morte sulla sua parte umana. Poi, però, essendo Uomo e Dio al tempo stesso, redime quel dolore: ‘Tuo fratello risorgerà’, dice all’amica Marta”.
Il libro è una raccolta di testimonianze di persone che hanno confidato in Gesù mentre affrontavano lutti gravi e laceranti. C’è la storia di una donna che perde la figlia diciottenne in un incidente stradale; quella di una mamma che partorisce una bambina destinata a morire poche ore dopo; c’è la storia di un’orfana, cresciuta senza una mamma e di un ragazzo capace di consolare i suoi genitori al punto da prepararli alla sua partenza per il cielo:
“Questo testo non è un manuale sull’elaborazione del lutto, non è un trattato di psicologia né di teologia. Intende solo raccontare storie vere, che possano portare un messaggio di speranza, mostrando che per tanti la morte non ha avuto l’ultima parola.
La morte è illogica: siamo fatti per vivere! La morte toglie il respiro. A chi se ne va, ma anche a chi resta. Ci separa dagli affetti e sembra porre una distanza invalicabile tra noi e i nostri cari. Il lutto, allora, si presenta come un passaggio intenso e doloroso, come un macigno che ha bisogno di essere maneggiato, ma forse non sappiamo da che parte iniziare. E allora sprofondiamo in un abisso. Smettiamo di vedere la luce”.
Come si vive il lutto insieme a Dio?
“Non ho ricette, non ho risposte preconfezionate. Ogni vissuto, ogni storia, ha le sue dinamiche e non credo ci sia una formula che vale per tutti. Inoltre, Dio ci ama ciascuno in modo unico e singolare; quindi, comunica con ognuno nella maniera in cui possiamo accoglierlo. Mi sento di dire, però, che Gesù ha redento il lutto: lo ha vissuto anche lui (ricordate quando ha perso l’amico Lazzaro? Gesù pianse. Ha voluto provare quello che proviamo noi, davanti alla morte, per non lasciarci soli nemmeno in quel dolore. Poi, però, ci ha aperto gli occhi su qualcosa di inedito: la resurrezione. Infatti, ha riportato in vita il suo amico).
Nel mio libro riporto delle storie di persone che, come ho potuto vedere io stessa, hanno lasciato che Gesù abitasse il loro dolore per la perdita di una persona cara. E sono accaduti miracoli. Il miracolo che accumuna tutti è che con Gesù si ha una consolazione impensabile, grande, profonda. E’ una consolazione che non esiste, se la cerchiamo solo in questo mondo”.
Perché la morte fa paura?
“Si ha sempre paura di ciò che è ignoto. Da sempre ce lo insegnano i filosofi: ciò che non si conosce fa paura. E nessuno di noi, se è in vita, sa cosa ‘significa’ morire. A poco serve che Epicuro ci dica di ‘stare tranquilli’, perché ‘quando c’è lei (la morte) non ci siamo noi e quando ci siamo noi non c’è lei’. La morte fa paura anche perché è associata al dolore.
Ci fa paura lasciare delle persone che ci amano nel pianto. E poi, spesso, temiamo la morte delle persone care, soprattutto se sono dei pilastri nella nostra vita. La morte crea un distacco e può essere molto, molto doloroso. Le testimonianze che riporto nel libro non negano questa parte: la morte fa paura, la morte fa male. Però, con Gesù si apre una strada nuova”.
Come si può ritrovare la ‘pace’?
“Un punto in comune in tutte le testimonianze che ho raccolto è questo: il dolore va attraversato. Tutto e fino in fondo. Piangere, ad esempio, ci fa bene. E’ importante, poi, parlare con persone fidate di quello che proviamo. Un altro spunto: scrivere (lettere, pensieri, stati d’animo). E, soprattutto, dialogare con Dio che è il Dio del Cielo e della Terra e ora tiene noi su una mano, la persona cara che ci manca sull’altra. Lui è il punto di contatto.
Nei lutti che ho vissuto io stessa (ho perso mia madre quasi sei anni fa e ho subito degli aborti spontanei, dei quali l’ultimo mi ha causato davvero un dolore assordante), la forza più grande l’ho ricevuta dall’Eucaristia. Lì si apre un piccolo squarcio di Paradiso. Se la prendi con fede, davvero già metti un po’ il naso nell’eternità, inizi a gustare la pace vera di quel luogo che è la ‘casa di Dio’.
Ad ogni Eucaristia sperimenti che le tue lacrime sono accolte e asciugate, che Dio è davvero in te per ‘servirti’, per sanare le tue ferite, per addolcire le tue angosce”.
Allora come ‘vincere’ la disperazione per la perdita di un caro?
“Prima di tutto credo si debba pensare che la persona cara merita il nostro ricordo, le nostre attenzioni e premure, ma non ha bisogno della nostra disperazione in eterno. A volte, se ci si concentra su delle cose belle, se si torna a sorridere, ci si può sentire quasi in colpa, come se smettere di provare un dolore atroce significhi smettere di volere bene alla persona che ci ha lasciati. Il lutto ha e deve necessariamente avere un suo tempo di elaborazione, ma tornare a stare bene deve essere una priorità, nel lungo termine.
Le persone del mio libro hanno attraversato il dolore, un dolore che, in parte, nel cuore, resta. A volte la malinconia e la nostalgia tornano, però hanno saputo trovare delle motivazioni per vivere ancora e per vivere bene. Non aspettano con ansia solo il momento di raggiungere la persona cara. Hanno trovato stimoli e obiettivi per il loro tempo qui, anche se hanno perso un figlio o è mancato molto prematuramente un coniuge.
La disperazione può esserci. Il lutto può essere una prova grandissima. Se però ci si accorge che non si sta riuscendo ad elaborarlo è molto utile riconoscerlo e chiedere aiuto. Lasciarsi aiutare, anche da uno terapeuta, può essere una forma di coraggio. Ricordiamo che Dio, a volte, si serve proprio dei fratelli e delle sorelle per aiutarci”.
In quale modo la Pasqua aiuta a vivere il passaggio dalla morte alla vita?
“E’ Gesù che ci mostra per la prima volta nella storia qualcosa che nessuno aveva mai visto. Dicono: ‘Se qualcuno tornasse indietro a dirmi che esiste la vita dopo la morte, allora ci crederei’. Ecco, noi cristiani, quel qualcuno, lo abbiamo. C’è chi è tornato indietro. C’è, per noi, chi ci dice ‘Guardate: dopo essere stato martoriato, offeso, ucciso, eccomi qui… sono vivo!’ Gesù ha vinto.
A volte non ci rendiamo conto, noi cristiani, che siamo testimoni della potenza della Resurrezione. Non ci rendiamo conto che abbiamo un messaggio incredibile. Siamo più che giustificati a passare dal terrore per il male del mondo alla speranza nella vita eterna. Perché è una speranza concreta. Gesù è tornato proprio per dirci: ‘Guardate, dopo tutto quello che mi hanno fatto, quanta vita c’è ancora’.
Gli apostoli hanno smesso di avere paura, in quel momento. Erano fuori di sé dalla gioia. Hanno capito che la morte, davanti a Dio, è davvero un nulla. Un momento, un passaggio, appunto. La vita non finisce mai, se ci stringiamo a Colui che ne è eterno dispensatore. Non è lo stesso vivere già con questa certezza nel cuore oppure no. Io ho ricevuto questa grazia (anche se spesso vacillo, come tutti!) e a tutti coloro che ci leggono vorrei augurare di trovare questa fede, di custodirla, di ritrovarla se assopita, di chiederla e ottenerla dal Risorto”.
Per concludere: cosa significa risorgere?
“Gesù ci dice che non dobbiamo temere la morte del corpo. Non è facile, ce lo siamo detti, ma c’è una morte peggiore, quella dello spirito, del cuore. Risorgere è lasciare che tutta la nostra vita, già da ora, sia presa e trasformata dalla luce di Cristo. Perché non meditare su questo e non lasciare che la luce passi, proprio in questa Pasqua?”
(Tratto da Aci Stampa)
Papa Francesco: con la compunzione si dilata il cuore
In mattinata papa Francesco ha iniziato le celebrazioni del Triduo pasquale, che apre alla Pasqua, presiedendo nella Basilica di san Pietro la Messa Crismale del Giovedì Santo in cui si procede alla benedizione dell’olio degli infermi, dell’olio dei catecumeni e del crisma e si rinnovano le promesse sacerdotali con un’omelia sulla frase evangelica ‘Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui’:
“Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza. Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi ‘si riempirono di sdegno’, uscirono e lo cacciarono fuori della città. I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola. Così persero l’occasione della vita”.
Una scena simile si verificò nella sera dell’ultima cena: “Ma nella sera di oggi, Giovedì santo, avviene un incrocio di sguardi alternativo. Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro. Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola ‘smascherante’ che il Signore gli aveva rivolto: ‘Tre volte mi rinnegherai’. Così ‘perse di vista’ Gesù e lo rinnegò al canto del gallo.
Ma poi, quando ‘il Signore si voltò e fissò lo sguardo’ su di lui, questi ‘si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto… E uscito fuori, pianse amaramente’. I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli cambiò la vita”.
Rivolgendosi ai sacerdoti il papa ha sottolineato la parola ‘compunzione’: “La parola evoca il pungere: la compunzione è ‘una puntura sul cuore’, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento. Un episodio, che riguarda ancora San Pietro, ci aiuta. Egli, trafitto dallo sguardo e dalle parole di Gesù risorto, nel giorno di Pentecoste, purificato e infuocato dallo Spirito, proclamò agli abitanti di Gerusalemme: ‘Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso’…
Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo”.
Ed ha spiegato il pianto su se stessi: “Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori.
Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa (ci insegna san Paolo) è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella tristezza secondo Dio”.
La compunzione è un serio pentimento: “Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per me. E’ guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia, l’ipocrisia clericale, cari fratelli, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto, tanto…
State attenti alla ipocrisia clericale. Per poi, rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore”.
Inoltre la compunzione apre la solidarietà: “Un cuore docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati. Non si scandalizza. Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri”.
La compunzione è uno strumento di intercessione: “E il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, non è poesia questo, questo è sacerdozio!”
Infine la compunzione è una grazia, che deve essere chiesta con la preghiera: “Il pentimento è dono di Dio, è frutto dell’azione dello Spirito Santo. Per facilitarne la crescita, condivido due piccoli consigli. Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del futuro. Del passato, ricordando la fedeltà di Dio (Dio è fedele), facendo memoria del suo perdono, ancorandoci al suo amore; e del futuro, pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza”.
Allargando lo sguardo il cuore si dilata: “Allargare gli orizzonti, cari fratelli, allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore, stimola a rientrare in sé stessi con il Signore e a vivere la compunzione. Un secondo consiglio, che viene di conseguenza: riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata. Fratello, com’è la tua preghiera? Torniamo all’adorazione: ti sei dimenticato di adorare?, e torniamo alla preghiera del cuore”.
(Foto: Santa Sede)
L’augurio pasquale di mons. Andrea Migliavacca, vescovo di Arezzo
In vista delle celebrazioni della Settimana Santa e della Pasqua il vescovo Andrea Migliavacca ha incontrato la stampa per condividere il proprio augurio alla comunità: “Vorrei estendere il mio augurio a tutta la comunità non solo alla Chiesa, ma a tutti, da chi non crede a chi non è cristiano, fino a chi arriva da Paesi lontani. Auguro che sia una Pasqua di pace; a Mosca, in Ucraina, a Gaza e nella Terra Santa, in Sud Sudan, in Siria e in tutti quei luoghi colpiti dalle ostilità e che il Papa chiama ‘terza guerra mondiale a pezzi’, dei pezzi che si stanno via via unendo, purtroppo.
Il Risorto porta questo saluto: ‘Pace a voi’. Il mio augurio poi vorrei fosse un augurio di vita, in questo contesto di inverno demografico e dove diminuiscono costantemente le nascite. Alla vita si manca oggi di rispetto su più fronti, con un Paese europeo che addirittura mette in costituzione il diritto all’aborto, ma anche nei tanti modi con cui viene negata la dignità della vita delle persone, come avviene con la non attenzione ai poveri. Che la Pasqua ci aiuti a scoprire la ricchezza e la bellezza della vita e ci faccia diventare difensori della vita.
Vorrei poi che il mio augurio pasquale fosse un augurio alla famiglia e di famiglia. Le famiglie oggi vivono situazioni di grande difficoltà, ma la famiglia è il luogo che aiuta a rendere coesa una società e ci apre al mondo del lavoro, dello studio. Essa è il fondamento sul quale la società può camminare insieme, per questo va custodita e accompagnata”.
Nel difficile contesto internazionale nel quale viviamo non possiamo lasciarci vincere dalla sfiducia. “La luce e la speranza sono uno dei frutti della Pasqua. Un dono che può essere coltivato con la preghiera che educa il cuore a diventare costruttore di pace. La speranza nasce anche dalla consapevolezza che dove ci sono guerre oggi ci sono anche costruttori di pace. Certo, serve uno sguardo realistico, ma deve essere contrastata la cultura della guerra e delle armi”.
In merito alle crescenti emarginazioni e povertà il vescovo Andrea Migliavacca ha sottolineato come “Il Risorto nella Pasqua visita i suoi e porta la luce e la pace. Tutti, specialmente in questo tempo, a partire dalla Chiesa, siamo invitati a visitare i volti e i luoghi della povertà, così come le tante famiglie che non arrivano a fine mese.
Lo si può fare portando un aiuto concreto, ma anche attraverso l’arte dell’incontro. Le persone infatti hanno bisogno di aiuto materiale, ma anche di umanità”. Ecco allora l’invito “a vivere e rendere vivi i quartieri, i luoghi di incontro e aggregazione”, nella consapevolezza che c’è un clima di “alleanza tra varie istituzioni civili, compresa la Diocesi e la Caritas diocesana, per contribuire a rispondere meglio alle problematiche delle nostre comunità, condividendo la lettura dei problemi e la disponibilità a unire le forze”.
La diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro si appresta a celebrare la Settimana Santa, culmine dell’anno liturgico. Sono numerose le Messe presiedute dal vescovo Andrea Migliavacca. Domenica delle Palme e della Passione del Signore, nella basilica di San Domenico in Arezzo alle ore 10.30 si svolgerà la commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme con una processione fino alla Cattedrale dove poi verrà celebrata la Messa (in diretta su Tsd nel canale 85 e in streaming all’indirizzo www.tsdtv.it/live).
Mercoledì Santo, 27 marzo, nella Pieve di Santa Maria in Arezzo, alle ore 21.00 ci sarà un concerto-meditazione realizzato dalla Cappella Musicale della Cattedrale, diretta dal maestro Cesare Ganganelli. Il momento di preghiera alternerà letture a riflessioni del vescovo Andrea Migliavacca, brani di polifonia, a cappella, o con accompagnamento organistico a cura del maestro Eugenio Maria Fagiani.
Il Giovedì Santo alle ore 10.00 il Vescovo è in Cattedrale per la Messa Crismale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 per la Messa in Coena Domini (in diretta su Tsd); alle 16 il Presule sarà invece alla Casa Circondariale di Arezzo per la Messa nella Cena del Signore celebrata insieme ai detenuti, il personale carcerario e i volontari che vi prestano servizio.
Il giorno seguente, Venerdì Santo, alle ore 9.00 in Duomo ad Arezzo, ci saranno l’ufficio delle letture e le lodi e alle ore 18.00 la celebrazione dell’azione liturgica della Passione del Signore. Alle ore 21.00 il nostro Vescovo sarà a Cortona, per la “processione dei simulacri” e la commemorazione della Passione del Signore. La partenza è prevista dalla chiesa dello Spirito Santo e dopo aver toccato diverse chiese della cittadina etrusca, si conclude in piazza della Repubblica, alla presenza delle autorità cittadine, con un intervento del Vescovo (l’evento è seguito da Radio Incontri, in FM 88.4 e 92.8 e in Dab, oppure in streaming all’indirizzo www.radioincontri.org).
Cortona ha il privilegio di custodire anche un consistente frammento della Santa Croce. La reliquia, fu donata a frate Elia dall’imperatore di Costantinopoli e da lui portata a Cortona nel 1242. La Passione di Gesù, ebbe così a Cortona una ragione in più per favorire il sorgere di Compagnie laicali a carattere penitenziale. Alcune Compagnie sono scomparse con il tempo, ma sono rimasti gli artistici simulacri che ogni anno, nei giorni del dolore e della gloria del Signore, ripercorrono le vie cittadine, ricomponendo così, per immagini, il racconto della Passione.
Il Sabato Santo alle ore 9.00 in Cattedrale vengono celebrati ufficio delle letture e lodi, mentre la Veglia Pasquale inizierà alle ore 22.30 (trasmessa in diretta su Tsd). Nel corso della Veglia ci sarà anche il conferimento del sacramento del battesimo per un gruppo di otto adulti. Il giorno di Pasqua le celebrazioni presiedute dal vescovo Andrea sono alle 10.30 in Duomo ad Arezzo per il Pontificale (in diretta su Tsd) e alle ore 18.00 nella Concattedrale di Sansepolcro.
Il Martedì di Pasqua il Presule presiederà alle ore 18.00 presso la Collegiata di Foiano della Chiana la Messa a processione del Cristo Risorto (evento seguito da Radio Incontri).
Papa Francesco ricorda le vittime di Mosca e di Kiev
“Ed assicuro la mia preghiera per le vittime del vile attentato terroristico compiuto l’altra sera a Mosca. Il Signore le accolga nella sua pace e conforti le loro famiglie. Egli converta i cuori di quanti progettano, organizzano e attuano queste azioni disumane, che offendono Dio… Cari fratelli e sorelle, Gesù è entrato in Gerusalemme come Re umile e pacifico: apriamo a Lui i nostri cuori! Solo Lui ci può liberare dall’inimicizia, dall’odio, dalla violenza, perché Lui è la misericordia e il perdono dei peccati. Preghiamo per tutti i fratelli e le sorelle che soffrono a causa della guerra; in modo speciale penso alla martoriata Ucraina, dove tantissima gente si trova senza elettricità a causa degli intensi attacchi contro le infrastrutture che, oltre a causare morti e sofferenze, comportano il rischio di una catastrofe umanitaria di ancora più ampie dimensioni. Per favore, non dimentichiamo la martoriata Ucraina! E pensiamo a Gaza, che soffre tanto, e a tanti altri luoghi di guerra”.
Con queste parole dopo la recita dell’Angelus papa Francesco ha introdotto i fedeli ai riti della Settimana Santa, ricordando le vittime dell’attentato a Mosca e della guerra in Ucraina. L’attentato nella capitale russa ha causato finora almeno 143 morti, ma destinati a salire, visto che di molte persone che erano nella grande sala del Crocus Music Hall non si hanno notizie.
Solo nella serata di venerdì i pompieri sono riusciti a estinguere completamente l’incendio appiccato dagli attentatori che venerdì sera erano entrati sparando e uccidendo chiunque incontrassero. I feriti ancora in ospedale sono 107, ma 200 spettatori mancherebbero all’appello.
Alcune fonti legate all’Isis hanno ribadito la matrice islamica dell’attentato. D’altra parte, estremisti musulmani hanno perpetrato varie stragi negli anni. Appena compiuto l’attentato il presidente Putin ha tentato di chiamare in causa l’Ucraina:
“Hanno cercato di fuggire verso l’Ucraina, dove gli era stata aperta una finestra per attraversare la frontiera di Stato. I criminali hanno organizzato un omicidio di massa ai danni di gente inerme, come un tempo facevano i nazisti, che compivano massacri nei territori da loro occupati. Tutti gli esecutori, gli organizzatori e i mandanti affronteranno una punizione inevitabile. Individueremo e colpiremo chi sta dietro questi terroristi, chi ha preparato questo delitto, chi ha consentito che potesse accadere”.
Infatti ancora prima che il presidente russo parlasse alla nazione, il sito del quotidiano Kommersant aveva cancellato dalla homepage ogni riferimento all’Isis, e affermando che secondo alcune fonti, il commando della strage era composto da combattenti russi filo ucraini che indossavano ‘barbe false’ per sembrare combattenti islamici.
Dal Canale Zapiski, che raccoglie le opinioni dei reduci dell’Operazione militare speciale: “Abbiamo certezza assoluta che questo massacro sia opera dei servizi segreti ucronazisti, istruiti da quelli occidentali”, mentre la direttrice di RT Margarita Simonyan ha considerato l’allarme su una minaccia dell’Isis lanciato dall’intelligence americana una prova del complotto: “Ormai è chiaro che tutto è stato orchestrato. Poco importa se il cane con la camicia ricamata si è sguinzagliato da solo, oppure se gli hanno impartito un ordine. In ogni caso la colpa è dell’ammaestratore”.
Le condoglianze al popolo russo sono giunte anche dall’arcivescovo di Mosca, mons. Paolo Pezzi: “A seguito del brutale attacco terroristico a Mosca, in cui molte persone sono state uccise e ferite, vorrei esprimere le mie più sentite condoglianze ai parenti delle vittime e il mio sostegno a tutti coloro che hanno sofferto in questa terribile tragedia”.
Ed ha richiamato al momento culminante della Settimana Santa: “Oggi i nostri cuori sono pieni di orrore e dolore, ma non lasciamo che ci facciano dimenticare che la nostra vita e quella di tutti gli uomini è nelle mani di Dio. La Settimana Santa, in cui la Chiesa cattolica entra già domani, ci ricorda che la morte non è l’ultima parola, che Cristo vince la morte… La risposta di Dio alla sofferenza umana è una presenza piena di amore”.
L’appello di mons. Pezzi è stato un invito ad essere testimoni di speranza: “Con fiducia in Lui, vi chiedo di pregare per la salvezza di tutti coloro che sono ancora in pericolo di vita, per il riposo eterno dei defunti, per l’aiuto e la guarigione degli afflitti e per il coraggio e la pazienza di tutti coloro che sono chiamati ad assisterli.
Vi prego di non disperare e di essere quella presenza piena di amore di Cristo dove vi trovate, di essere testimoni di speranza in questi tempi bui. Vi chiedo anche di esercitare la dovuta diligenza e prudenza per il bene della vostra sicurezza personale e pubblica”.
Alla Basilica di Santa Rita a Cascia, Domenica delle Palme presieduta dal card. Ernest Simoni
Sarà la prima volta a Cascia, ai piedi di Santa Rita, per il Cardinale Ernest Simoni, che Papa Francesco ha definito ‘martire vivente’, per i quasi 28 anni in cui durante il regime comunista in Albania, sua terra natale, è stato prigioniero, subendo persecuzioni, lavori forzati, violenze e minacce.
Nel suo instancabile apostolato, a ben 95 anni di età, il porporato, che oggi risiede nell’Arcidiocesi di Firenze, ha accolto con gioia l’invito della Comunità Agostiniana di Cascia e presiederà la Santa Messa Solenne della Domenica delle Palme, nella Basilica di Santa Rita. La celebrazione si terrà alle ore 10.30, preceduta dalla processione con le palme che partirà dall’inizio del viale del Santuario. Sarà trasmessa anche in diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
Nel suo pellegrinaggio, il Cardinale, incontrerà le monache di clausura e i padri agostiniani, portando la sua preziosa testimonianza umana e di fede a tutti, soprattutto all’alba della Pasqua. Lui che ha sempre proclamato il perdono e la misericordia per i suoi aguzzini, pregherà davanti al corpo di Rita da Cascia, santa del perdono.
Simbolicamente, il Cardinale Simoni aprirà, quindi, la Settimana Santa della Basilica di Santa Rita, dove sono molti gli appuntamenti in preparazione alla Pasqua di Risurrezione. Tra i più importanti:
26 Marzo – MARTEDÌ SANTO
Celebrazione anticipata dell’8° GIOVEDÌ di SANTA RITA
(I 15 Giovedì di Santa Rita sono il cammino di preghiera e riflessione, in preparazione alla festa del 22 maggio e a ricordo dei 15 anni in cui la santa portò la spina, ricevuta dalla corona di Gesù, sulla fronte)
• ore 17.00 – Santa Messa e Passaggio all’Urna di Santa Rita
In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
28 Marzo – GIOVEDÌ SANTO
• ore 8.00 – Canto delle LODI
• ore 17.00 – CENA DEL SIGNORE, presiede il Rettore Padre Mario De Santis
Segue la possibilità di rimanere in ADORAZIONE fino alle ore 23.00
In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
29 Marzo – VENERDÌ SANTO
• ore 8.00 – Canto delle LODI
• ore 15.00 – ADORAZIONE della CROCE, presiede Padre Pietro Bellini
In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
• ore 21.00 – Processione penitenziale del Cristo Morto per le vie cittadine
30 Marzo – SABATO SANTO
• ore 8.00 – Canto delle LODI
• ore 21.00 – SOLENNE VEGLIA PASQUALE, presiede parroco di Cascia, Don Davide Travagli
In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
31 Marzo – DOMENICA DI RISURREZIONE
• ore 17.00 – Santo Rosario
• ore 17.30 – Canto del VESPRO con le monache
• ore 18.00 – SANTA MESSA animata dalla Corale Santa Rita di Cascia
In diretta sul canale YouTube del Monastero www.youtube.com/user/monasterosantarita
Quinta Domenica di Quaresima: Gesù e la Nuova Alleanza
Il brano del Vangelo è un preludio alla passione e morte di Gesù; siamo ormai vicini alla festa di Pasqua. L’occasione è data da alcuni greci che chiedono di incontrare Gesù e si rivolgono ai discepoli. Li spinge forse la curiosità perché Gesù aveva risuscitato Lazzaro o perché pensavano di assistere a qualche miracolo. Gesù non si è incarnato per dare spettacolo di sé ma per rivelare all’uomo il senso vero della vita e quanto essa è preziosa al cospetto di Dio; questa nostra vita per la quale Gesù si è incarnato ed istituisce un’alleanza nuova con l’umanità, sancita a prezzo del suo sangue.
L’antica Alleanza era stata sancita tra Dio e Abramo; con Mosè era stata estesa a tutto il popolo ebreo e lo stesso Mosè ne aveva promulgato la legge: i dieci comandamenti, ‘osserva la mia legge, allora tu sarai il mio popolo, io sarò il tuo Dio’. L’Alleanza nuova, sancita da Gesù, è nuova perché scritta nel cuore dell’uomo: ‘Dio darà un cuore nuovo e uno spirito nuovo perché ogni uomo possa osservare la legge e i termini dell’alleanza’.
In questa dimensione acquista senso anche il soffrire, il patire: soffrire per il marito, per la moglie, per i figli, per il prossimo; soffrire a causa della giustizia, per la comunione, per la solidarietà, per il bene comune. Grazie alla nuova Alleanza Gesù diventa la vite e noi i tralci; Gesù è il Capo, noi le membra; Gesù è il buon pastore, noi le sue pecorelle. Un’Alleanza sancita con il sangue di Cristo in croce e non su due tavole di pietra; da qui l’espressione di Gesù: ‘Se il chicco di grano , caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto’.
Chi ama la propria vita e cerca solo di salvaguardarla, la perde; ma chi la perde in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Conoscere Gesù, cercare Gesù significa accettare e servire il suo progetto di amore; e Gesù aggiunge: laddove sono Io, là sarà anche il mio servitore e il Padre mio lo onorerà come onora me. L’invito di Gesù non mira a dover scegliere la sofferenza per la sofferenza, ma è invito a vivere, qualunque circostanza offra la vita, con amore vero: e Dio è amore.
Nel brano del Vangelo si evince che Gesù stava vivendo un momento cruciale e decisivo della sua vita; riconosce che ‘è venuta l’ora’ ed ha la certezza di quello che succederà: ‘Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me’: anche i pagani siano essi greci o romani. Però se il chicco di grano non muore non può diventare una rigogliosa spiga. Sul capo di Gesù si addensano: l’ora delle tenebre e l’ora della luce, l’ora del Padre e l’ora dei nemici. Dal cielo allora arriva una voce: ‘L’ho glorificato e lo glorificherò ancora’, è la voce del Padre.
Alla folla presente Gesù chiarisce: ‘Questa voce non è venuta per me ma per voi’. L’ora di Cristo Gesù segna la nascita di un mondo nuovo; dalla croce scaturirà la vita eterna per i credenti. Il cristianesimo, come vedi, non è una recita da teatro, ma è operare ogni giorno la guarigione o rinascita che si effettua con la purificazione del cuore. Quei Greci del Vangelo avevano chiesto: possiamo vedere Gesù?
Questo Gesù, ieri come oggi, anche se non fisicamente, è presente tra di noi: è presente nella Parola di Dio; è presente nei fratelli piccoli o grandi, sofferenti nel corpo o nello spirito, è presente nell’assemblea; è presente nell’Eucaristia: ‘Prendete e mangiate, questo è il mio corpo’. Oggi è facile incontrare Gesù: bisogna solo avere fede, fede viva. Bisogna vedere quale Gesù vogliamo vedere: se un Gesù, frutto di fantasia, come Erode e rimase deluso; o il Gesù inviato dal Padre: quel Gesù che ‘pur essendo Dio, imparò l’ubbidienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna’.
Amico, forse ti fa paura la croce o ti spaventa il sacrificio; dimentichi che non si sale senza sforzo, non si raccoglie il frutto senza prima gettare il seme. Abbi fiducia nel Signore; dice infatti Gesù alla samaritana: ‘Chi beve di quest’acqua tornerà ad aver sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà sete in eterno’. A me, a te la scelta con l’aiuto di Dio, ma ricordati sempre che la croce esprime sempre: amore, servizio, dono di sé senza riserve; solo essa è l’albero della vita.
La Chiesa è custodita dai Sacramenti
“Con eventi e parole intimamente connessi, Dio rivela e attua il suo disegno di salvezza per ogni uomo e donna, destinati alla comunione con lui. Questa relazione salvifica si realizza in maniera efficace nell’azione liturgica, dove l’annuncio della salvezza, che risuona nella Parola proclamata, trova la sua attuazione nei gesti sacramentali. Questi, infatti, rendono presente nella storia umana l’agire salvifico di Dio, che ha il suo culmine nella Pasqua di Cristo. La forza redentiva di quei gesti dà continuità alla storia di salvezza che Dio va realizzando nel tempo.
Vivere il lutto insieme a Dio: un libro per prepararci alla Pasqua
Uno dei problemi della nostra società segnata dal progresso è che considera la morte un tabù: se non se ne parla, allora non ci tocca… ma non è così. La morte arriva. A volte in un lampo – e da oggi a domani tutto sembra svanire -, a volte dopo anni di dolore e ci chiediamo il perché di un simile calvario. La morte è fredda, è violenta. È grigia. Ed è spregiudicata: non guarda in faccia nessuno.