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Papa Francesco: mari e deserti spazi dove Dio apre strade di fraternità

“E pensiamo ai Paesi in guerra, tanti Paesi in guerra. Pensiamo alla Palestina, a Israele, alla martoriata Ucraina, pensiamo al Myanmar, al Nord Kivu e a tanti Paesi in guerra. Il Signore dia loro il dono della pace”: al termine dell’udienza generale odierna papa Francesco ha rinnovato gli appelli per la pace in quei Paesi martoriati dalla guerra e, ricevendo i partecipanti alla Plenaria dei Vescovi Latini nelle Regioni Arabe (C.E.L.R.A.), ha espresso ‘vicinanza’ per la crisi in Medio Oriente:
“Possiate tenere accesa la speranza! Essere voi stessi, per tutti, segni di speranza, presenza che alimenta parole e gesti di pace, di fratellanza, di rispetto. Una presenza che, di per sé stessa, invita alla ragionevolezza, alla riconciliazione, a superare con la buona volontà divisioni e inimicizie stratificate e indurite nel tempo, che si fanno sempre più inestricabili. Grazie perché siete la fiammella della speranza là dove questa sembra spegnersi!”
Mentre nell’udienza generale papa Francesco non ha svolto la catechesi ma ha offerto una meditazione sul tema ‘Mare e deserto’, tratto dal Salmo 107: “Oggi rimando la consueta catechesi e desidero fermarmi con voi a pensare alle persone che (anche in questo momento) stanno attraversando mari e deserti per raggiungere una terra dove vivere in pace e sicurezza”.
Il papa ha offerto una meditazione sul significato di ‘mare’ e di ‘deserto’: “queste due parole ritornano in tante testimonianze che ricevo, sia da parte di migranti, sia da persone che si impegnano per soccorrerli. E quando dico ‘mare’, nel contesto delle migrazioni, intendo anche oceano, lago, fiume, tutte le masse d’acqua insidiose che tanti fratelli e sorelle in ogni parte del mondo sono costretti ad attraversare per raggiungere la loro meta.
E ‘deserto’ non è solo quello di sabbia e dune, o quello roccioso, ma sono pure tutti quei territori impervi e pericolosi, come le foreste, le giungle, le steppe dove i migranti camminano da soli, abbandonati a sé stessi. Migranti, mare e deserto”.
E’ stato un richiamo alle migrazioni: “Le rotte migratorie di oggi sono spesso segnate da attraversamenti di mari e deserti, che per molte, troppe persone (troppe!), risultano mortali. Per questo oggi voglio soffermarmi su questo dramma, questo dolore. Alcune di queste rotte le conosciamo meglio, perché stanno spesso sotto i riflettori; altre, la maggior parte, sono poco note, ma non per questo meno battute”.
Per il papa il respingimento del migrante è un peccato grave: “E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: ‘Non molesterai il forestiero né lo opprimerai’. L’orfano, la vedova e lo straniero sono i poveri per eccellenza che Dio sempre difende e chiede di difendere”.
Richiamando il prossimo messaggio per la Giornata del migrante il papa ha sottolineato il valore biblico del mare e del deserto: “In effetti, il mare e il deserto sono anche luoghi biblici carichi di valore simbolico. Sono scenari molto importanti nella storia dell’esodo, la grande migrazione del popolo guidato da Dio mediante Mosè dall’Egitto alla Terra promessa.
Questi luoghi assistono al dramma della fuga del popolo, che scappa dall’oppressione e dalla schiavitù. Sono luoghi di sofferenza, di paura, di disperazione, ma nello stesso tempo sono luoghi di passaggio per la liberazione (e quanta gente passa per i mari, i deserti per liberarsi, oggi), sono luoghi di passaggio per il riscatto, per raggiungere la libertà e il compimento delle promesse di Dio”.
Ed è stato molto chiaro affermando che i migranti non dovrebbero essere in mare o nel deserto: “Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato. Lo otterremo invece ampliando le vie di accesso sicure e le vie di accesso regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa da guerre, dalle violenze, dalle persecuzioni e dalle tante calamità; lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà. E unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui”.
Infine un ‘affondo’ sulla cultura dell’indifferenza: “E chi non può stare come loro ‘in prima linea’ (penso a tanti bravi che stanno lì in prima linea, a Mediterranea Saving Humans e tante altre associazioni), non per questo è escluso da tale lotta di civiltà: noi non possiamo stare in prima linea ma non siamo esclusi; ci sono tanti modi di dare il proprio contributo, primo fra tutti la preghiera.
E a voi domando: voi pregate per i migranti, per questi che vengono nelle nostre terre per salvare la vita? E ‘voi’ volete cacciarli via. Cari fratelli e sorelle, uniamo i cuori e le forze, perché i mari e i deserti non siano cimiteri, ma spazi dove Dio possa aprire strade di libertà e di fraternità”. (Foto: Santa Sede
Giornata del Mare: gli operatori siano al centro della pastorale

Ogni anno nella seconda domenica di luglio si celebra la Domenica del Mare, in cui le comunità cattoliche di tutto il mondo pregano per coloro che lavorano nel settore marittimo e per chi si prende cura di loro. Per l’occasione, il Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, card. Michael Czerny, ha inviato un messaggio a tutte le persone impegnate in questo comparto e a cappellani e volontari attivi nella pastorale del mare.
Infatti la Domenica del Mare è un’occasione per richiamare l’attenzione su uno dei settori di cui poco si parla ma che è al centro della vita di ognuno: come è stato sottolineato nel messaggio, prendendo spunto dalla Prima Lettera ai Corinzi, in cui san Paolo paragona la Chiesa ad un Corpo con molte membra:
“Egli osserva che anche le membra meno visibili contribuiscono in maniera necessaria e significativa al funzionamento ed al benessere dell’insieme. I marittimi sono tra i membri meno visibili di tutta l’umanità. Eppure, è attraverso i loro sforzi invisibili che possiamo far fronte a molte delle nostre necessità. In mare, essi sperimentano la bellezza sconfinata della natura, ma attraversano anche l’oscurità fisica, spirituale e sociale”.
Dal 1920, l’Apostolato del Mare è diventata una realtà ‘istituzionalizzata’ nella Chiesa, e ogni anno si celebra la domenica del mare nella seconda domenica di luglio. L’Apostolato del Mare, conosciuto come Stella Maris, era prima inserito all’interno del Pontificio Consiglio dei Migranti, ed è stato poi assorbito dal Dicastero guidato dal Cardinale Czerny:
“Il numero totale di questi lavoratori e delle loro famiglie è di svariati milioni. La Domenica del Mare rende visibili le loro realtà quotidiane, che sono invisibili. Oggi come in passato, la navigazione marittima può comportare l’assenza da casa e dalla terraferma per mesi e persino per anni. Tanto i marittimi quanto le loro famiglie possono perdere momenti significativi della vita gli uni degli altri”.
Il prefetto del Dicastero vaticano denuncia le ingiustizie e la mancanza di dignità: “Sacrifici, questi, che il salario può giustificare, tuttavia tale beneficio può essere minacciato da ingiustizie, sfruttamento e disuguaglianza. E’ meraviglioso, perciò, quando i volontari, i cappellani ed i membri delle chiese locali portuali, che si impegnano nella pastorale marittima, difendono la dignità e i diritti dei marittimi”.
Il card. Czerny sottolinea l’importanza della pastorale marittima: “La pastorale marittima può aiutare a riportare la periferia al centro in molti modi, per esempio: incontrando la gente del mare di persona e nella preghiera; migliorando le condizioni materiali e spirituali di questi lavoratori; difendendone la dignità e i diritti; promuovendo relazioni internazionali e politiche volte a salvaguardare i diritti umani di coloro che navigano e lavorano lontano dalle famiglie e dal proprio Paese di origine”.
Inoltre ha sottolineato il compito della Chiesa: “La Chiesa è chiamata a servire ciascun membro della famiglia umana. Dal momento che i marittimi provengono da tutti i Paesi del mondo e professano tutte le religioni del mondo, includerli nella vita e nella pastorale della Chiesa favorisce la crescita nella comprensione reciproca e nella solidarietà fra tutti i popoli e le religioni”.
Per questo le parole di san Paolo è un incoraggiamento per la Chiesa: “Queste parole incoraggiano oggi la Chiesa a lavorare per una maggiore unità, non solo tra persone diverse tra di loro, ma anche tra quelle che sperimentano divisioni e tensioni reciproche. Come ci ricorda san Paolo, la Chiesa non deve rifuggire queste sfide, se vuole essere fedele alla missione affidatale dal Signore. Una maggiore unione tra i credenti contribuisce a una maggiore unità tra tutti i popoli e i Paesi”.
E’ un invito a diffondere il cristianesimo anche attraverso il mare: “Il cristianesimo si diffuse in terre lontane proprio attraverso il mare. Non c’era altra scelta. La Chiesa, oggi, può trarre ispirazione da quegli abitanti delle comunità costiere che furono i primi a sentire il messaggio nuovo di Cristo per bocca degli apostoli che viaggiavano per mare e di altri missionari. Ogni nuova imbarcazione che arrivava significava maggiori incontri e scambi, maggiore apertura alle novità e alle immense possibilità che si aprivano oltre le coste locali. La chiamata ad accogliere lo straniero può sfidarci quando preferiamo rimanere socialmente e spiritualmente isolati”.
E’ un invito alla cura del mare, affinchè tutti i lavoratori si sentano partecipi nella Chiesa: “Invitiamo tutti e ciascuno a fare la propria parte per riparare, con coraggio, la nostra Casa comune e crescere nella fraternità e nell’amicizia sociale. Riconosciamo, quindi, il contributo essenziale di coloro il cui lavoro potrebbe altrimenti rimanere invisibile. Sosteniamo il ministero di accoglienza di quanti hanno bisogno di ascolto e di un luogo a cui appartenere, un porto sicuro, una comunità che accolga tutti coloro che desiderano tornare a casa. Lasciamoci ispirare dall’esempio degli scambi reciproci nella vita dei marittimi. La gente del mare possa sentirsi parte della Chiesa ovunque vada”.
Henri, in esilio senza fine a Niamey

La terza guerra mondiale in realtà c’è già stata e non accenna a terminare. Solo che i riflettori erano puntati altrove, su mondi e morti più importanti. Morire nel Congo della Repubblica Democratica, l’ex. Zaire di Mobutu Sese Seko, non è la stessa cosa che altrove dove la statua al milite ignoto glorifica gli eroi e i martiri della libertà. Nulla di tutto ciò per gli stimati 10.000.000 di morti e delle 500.000 donne violentate strada facendo nel Congo.
Lo ‘scandalo geologico’ della RDC, che possiede i migliori giacimenti delle terre ‘rare’ per l’elettronica e l’informatica, ha solo facilitato il protrarsi delle guerre telecomandate dall’esterno e pagate a caro prezzo all’interno. Le coalizioni di vari Paesi africani e appoggi, in soldi, armi e logistica delle Grandi Potenze con interessi sul campo, hanno creato in questi anni una lunga guerra senza fine.
Per questo motivo, come tanti altri, Henri ha abbandonato una delle regioni più sfortunatamente ricche del suo Paese, la Repubblica Democratica del Congo, all’età 22 anni e. da allora, non vi è più tornato. Ha visto massacrare chi scappava dal martoriato Ruanda e poi, strada facendo, la nascita e lo sviluppo di gruppi armati al soldo di ditte e potenze straniere ‘affamate’ di risorse minerarie. Henri si trova a Niamey, col doppio degli anni dal giorno del suo esodo dal Paese natale e non è neppure riconosciuto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.
Ha smesso di esistere dal punto di vista giuridico. Non è ‘rifugiato’, non è ‘migrante’, non è ‘sfollato’, non ha lavoro, non ha famiglia, non ha identità e solo gli rimane ciò che si ostina a chiamare un futuro. Per arrivare nel Benin, dove ha soggiornato per 11 anni con lo statuto di rifugiato, aveva attraversato il Centrafrica, il Cameroun e la Nigeria. Alla fine le autorità, per ragioni politiche, hanno ritenuto che il suo statuto non era più sostenibile e allora Henri è partito in Ghana pensando di avere migliore fortuna con l’Alto Commissariato per i Rifugiati basato a Ginevra, in Svizzera.
Pensa dunque di prendere il proprio destino in mano per tentare di attraversare il mare di Mezzo che osserva con timore coloro che hanno l’ardire sfidarne il mistero. Abbandona dunque il Ghana e, con un lungo viaggio, raggiunge l’Algeria, una delle sponde del Mediterraneo. Ivi Henri è arrestato, detenuto e infine deportato alla frontiera col Niger e, nel 2019, è accolto dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni.
Siccome Henri non vuole tornare nella sua regione di origine ancora in guerra, per motivi umanitari è affidato all’Alto Commissariato per i Rifugiati. Passa altri 4 anni come richiedente asilo in un campo-villaggio non lontano da Niamey chiamato Hamdallay, per vedere, infine, la sua domanda di asilo definitivamente respinta. L’istituzione gli offre una modica somma di denaro come ‘liquidazione’e Henri trova una camera da affittare in uno dei nuovi quartieri alla periferia della capitale, Niamey 2000.
La vita di Henri, nel suo cercare invano una terra d’asilo a causa della guerra permanente nel suo paese appare come una delle metafore del nostro tempo. Entrambi, lui, il suo Paese e milioni di persone celebrano nel complice e assordante silenzio del mondo che conta, un esilio senza fine. Henri abita in uno dei quartieri del futuro di Niamey perché, in quella zona, gli affitti sono meno cari.
Natasha e il giorno della nascita

Natasha sarebbe diventata un diamante diverso dagli altri nel suo Paese. Natasha sarebbe diventata la principessa di un regno che non c’è. Natasha si sarebbe sposata un sabato mattina e il viaggio di nozze cominciava il giorno dopo per una destinazione sconosciuta. Natasha avrebbe avuto almeno due figli come sua madre Rose che ha ventidue anni.
Natasha è nata l’anno scorso a Freetown, la città libera e capitale della Sierra Leone. Natasha ha un fratello maggiore chiamato ‘l’unto’e non ha mai visto suo padre. Natasha ha viaggiato con sua madre e altra gente che non conosceva prima del viaggio. Natasha è arrivata a Niamey passando dal Mali e, senza saperlo, si è accampata con la madre accanto alla sede di una nota compagnia di trasporti della città. Natasha avrebbe voluto tornare al suo Paese perché lì c’è il mare che guarda lontano.
Natasha è stata sepolta ieri nella sabbia del cimitero cristiano di Niamey. Natasha è morta per mancanza di cibo accanto alla strada che separa la compagnia di trasporti dall’ufficio dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM. Natasha non poteva sapere che quella sarebbe stata la prima e unica migrazione della sua vita.
Natasha, nome che significa ‘giorno della nascita’, è stata posta in un piccolo feretro e deposta tra le braccia della sabbia del cimitero nella zona riservata ai bambini. Natasha è stata accompagnata da sua madre, dal fratello e da uno zio di poco maggiore di lei. Natasha è partita senza salutare perché aveva fretta di arrivare dove anche sua madre, un giorno, la raggiungerà. Natasha andrà incontro a sua madre e, con un pò di fortuna, anche di suo padre che non ha conosciuto.
Natasha ha sentito l’acqua benedetta scorrere attorno a lei come per il giorno del battesimo. Natasha era sorpresa di sentire la sabbia cadere e coprire la piccola casa che la custodiva. Natasha non sapeva che anche sua madre avrebbe avuto la forza di buttare un pugno di sabbia per coprirla. Natasha si trova circondata da tante altre piccole tombe che sembrano colline di un villaggio senza nome.
Natasha si è commossa quando a visto sua madre salutarla con la mano prima che tutto fosse ricoperto di sabbia. Natasha si è accorta dopo del ramoscello verde piantato sulla sua tomba. Natasha sa bene che per la prossima stagione delle piogge un albero col suo nome germoglierà una domenica mattina.
Giornata del mare: navigare insieme in una Chiesa sinodale

Oggi, come ogni anno, le comunità cattoliche celebrano la ‘Domenica del Mare’, una giornata internazionale di preghiera per i marittimi e le loro famiglie, ma anche per coloro che nella Chiesa offrono loro supporto, come i cappellani e i volontari che si dedicano all’Apostolato del Mare, l’opera con cui si assistono spiritualmente i lavoratori del mare fin dal 1920.
Papa Francesco invita le religioni ad adoperarsi per la pace

Questa mattina papa Francesco ha chiuso il ‘Bahrain Forum for Dialogue’, che è una delle espressioni per un maggiore dialogo e coesione religiosa nel Paese, dove c’è un tasso di immigrazione tra i più alti del mondo, lanciando un appello per una umanità riconciliata, che sappia accantonare i conflitti e ricordando un detto popolare che dice che ‘Ciò che la terra divide, il mare unisce’:
Giornata della Pesca: il card. Turkson chiede dignità per i pescatori

Oggi si celebra la Giornata Mondiale della Pesca, celebrata dal 1998, che dà lavoro e sostentamento a circa il 10% della popolazione lavorativa globale; infatti sono più di 800.000.000 le persone che dipendono, come fonte di reddito e di approvvigionamento alimentare, dalla pesca; il 97% vive nei paesi in via di sviluppo.
La Chiesa celebra la Domenica del mare

“Questi sono tempi difficili per il mondo, perché abbiamo a che fare con le sofferenze causate dal coronavirus. Il vostro lavoro da marittimi e pescatori è diventato ancora più importante, per assicurare alla grande famiglia umana cibo e altri generi di prima necessità. Di questo, noi vi siamo riconoscenti. Anche perché siete una categoria molto esposta. Negli ultimi mesi la vostra vita e il vostro lavoro sono notevolmente cambiati e avete affrontato (e ancora affrontate) tanti sacrifici, lunghi periodi di lontananza a bordo delle navi senza poter scendere a terra. La lontananza dai familiari, dagli amici e dal proprio Paese, la paura del contagio, tutti questi elementi sono un peso faticoso da portare, ora più che mai. Vorrei dirvi: sappiate che non siete soli e non siete dimenticati”.
Papa Francesco ai pescatori: non perdete la religiosità popolare

“Sono lieto di incontrarvi e vi saluto tutti cordialmente. Ringrazio il vostro Vescovo per le sue parole, come pure i sacerdoti qui presenti, che accompagnano spiritualmente il vostro lavoro e le vostre famiglie”: con queste parole papa Francesco ha salutato una settantina di pescatori della diocesi di San Benedetto del Tronto, accompagnati dal vescovo, mons. Carlo Bresciani, da don Giuseppe Giudici, dal sindaco, Pasqualino Piunti.