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Per non dimenticare Cutro
Oltre 300 persone, tra cui i parenti delle vittime e alcuni dei superstiti, hanno partecipato stamattina all’incontro organizzato dal giornale online ‘Crotone news’, nell’ora in cui è avvenuto il naufragio, per ricordare le 94 vittime della strage di Steccato di Cutro (Crotone) alla presenza anche dell’ambasciatore della Repubblica Islamica e dell’Afghanistan a Roma, Khaled Ahmad Zekriya. Sulla spiaggia sono stati sistemati i peluche che l’anno scorso furono lasciati dai cittadini al Palamilone, il palazzetto dello sport che ospitò le salme. Dopo un momento di preghiera islamica, sono state accese 94 candele, tante quante le vittime della strage di migranti.
Nel 2023 lungo la rotta del Mediterraneo Centrale sono morte 2.271 persone, secondo i dati dell’Oim (organizzazione internazionale delle migrazioni). Il barcone naufragò la notte tra il 25 e il 26 febbraio, quindi tra sabato e domenica. Ma a Frontex era arrivata già sabato sera la segnalazione di un’imbarcazione che si trovava a circa 40 miglia dalla costa.
Il barcone naufragato era stato avvistato e monitorato non per un’operazione di salvataggio, ma per un’operazione di polizia: due navi della guardia di finanza provarono a raggiungere l’imbarcazione per i controlli di polizia previsti dal protocollo, ma le condizioni del mare continuavano a peggiorare ed entrambe le imbarcazioni erano tornate indietro senza raggiungerlo. Un’inchiesta di ‘Altreconomia’ ha sottolineato questa ‘law enforcement’:
“Nel 2023 le autorità italiane hanno classificato come operazioni di polizia e non Sar (zone per le attività di Ricerca e Soccorso in mare) oltre 1.000 sbarchi, per un totale di quasi 40.000 persone, un quarto degli arrivi via mare. Nel 20 23 sono sbarcate sulle coste italiane 157.651 persone. E sempre nel 2023 le navi delle organizzazioni non governative hanno salvato e sbarcato in Italia neanche 9.000 persone. Poco più del 5% del totale. Anche nei mesi più intensi degli arrivi la quota delle ong è stata limitata. Le poche navi umanitarie intervenute sono state deliberatamente indirizzate verso porti lontani”.
Il presidente di Libera e del Gruppo Abele, don Luigi Ciotti, ha parlato del naufragio della democrazia: “Oggi sulla spiaggia di Cutro giace un altro relitto: sono le promesse naufragate dell’Europa dopo la tragedia di un anno fa. Sono i principi stessi di libertà, dignità e giustizia, divelti e abbandonati alla deriva, o condannati a incagliarsi nelle secche delle nostre coscienze assuefatte.
Ciò su cui la nostra democrazia si fonda, ormai affonda. Affonda insieme alle imbarcazioni di migranti che hanno continuato a naufragare senza fare notizia: l’Onu parla di una media di quattro morti al giorno nel Mediterraneo, negli ultimi due mesi. Affonda insieme alle verità che non si riescono a trovare, perché dopo un anno ancora ignoriamo se quelle persone si sarebbero potute salvare, e chi ha deciso di non farlo.
Affonda insieme alle attese dei famigliari e degli amici delle vittime: alcuni di loro avrebbero voluto tornare a Cutro a ricordare i compagni di viaggio scomparsi, ma sono bloccati senza passaporto in Germania, con vite ancora precarie, appese ai tempi della burocrazia”.
Questa burocrazia che favorisce le mafie: “C’è una gigantesca ipocrisia, nelle politiche italiane ed europee sull’immigrazione: da un lato ci si appella al diritto, dall’altro si calpestano i diritti. Si mortifica lo sforzo di chi, nell’assenza di un intervento pubblico via via smantellato, presidia le acque del Mediterraneo per salvare le persone in pericolo.
Mentre le Ong sono accusate di agevolare il traffico di migranti, si scende a patti con Paesi dittatoriali che in quel traffico sono direttamente coinvolti, traendone profitto su due fronti: quello legale degli accordi con l’Occidente, quello illegale degli affari con le mafie”.
Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale del Terzo settore, ha ricordato l’impegno delle associazioni non governative: “A un anno dalla strage di Cutro in cui morirono circa 100 migranti, organizzazioni di Terzo settore e società civile sono in questi giorni assieme ai superstiti e ai famigliari dei naufraghi su quei luoghi di dolore e rabbia, dopo aver offerto loro supporto a seguito della tragedia.
Queste realtà sono quelle che soccorrono le persone in pericolo di vita al largo delle nostre coste, praticano quotidianamente l’accoglienza e promuovono l’integrazione dei migranti nei nostri territori, mantenendo vivo quel senso di umanità che troppe volte in questi anni abbiamo visto spegnersi di fronte a migliaia di vittime di viaggi disperati”.
Ed ha rivolto un appello al governo italiano per una collaborazione più organica: “Alle istituzioni continuiamo a chiedere un cambio di rotta nelle politiche migratorie a cui finora non abbiamo assistito, un approccio integrato che unisca il rafforzamento del soccorso in mare e la costruzione di un sistema serio di accoglienza e integrazione nel nostro Paese…
Ribadiamo inoltre la necessità di agire in modo efficace alla radice del fenomeno migratorio, facendo leva sul grande contributo che in questo senso può dare la cooperazione allo sviluppo”.
Mentre mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, arcivescovo di Matera-Irsina e vescovo di Tricarico, ha scritto una riflessione diffusa in occasione di questo primo anniversario: “Quale monito dalla tragedia di Steccato di Cutro? Ora si celebrerà l’anniversario. Si riaccenderanno i riflettori per qualche ora, sentiremo le solite dichiarazioni, rivedremo, con gli occhi del ricordo e di uno sgomento non ancora spento, i corpi galleggianti: i ‘più fortunati’ recuperati, riconosciuti e seppelliti; tantissimi altri rimarranno senza nome in una tomba comune.
Il mare, che oggi accoglie e custodisce la loro memoria, domani giudicherà questo nostro tempo così grigio e disamorato della vita; questa umanità, non più popolata da amici, figli o fratelli che, riconoscendosi, si incontrano, ma da nemici che si scansano quando non si uccidono”.
Il vescovo ha ricordato che sono anni in cui si assiste a questi naufragi: “Sono almeno 40 anni che si assiste, a volte sgomenti, altre volte addolorati, altre volte, purtroppo, stanchi o meglio scocciati, nel vedere corpi senza vita recuperati in tutto il bacino del Mediterraneo.
C’è la morte sulle rotte tracciate nel nostro mare: partono dalle coste africane o da quelle dei Balcani per approdare su quelle siciliane o calabresi, a volte pugliesi… Purtroppo, ormai, siamo abituati a conoscere o, meglio, vedere i migranti solo quando arrivano sulle nostre terre, ma difficilmente si parla delle motivazioni che li portano a scappare”.
Ed ha evidenziato il ruolo della malavita organizzata nelle attraversate del Mediterraneo: “Oggi la malavita organizzata ha investito sui poveri disgraziati: sono una risorsa da sfruttare che rende bene con ‘carrette’ del mare, con il racket della prostituzione delle donne, del caporalato per gli uomini.
Se nei secoli precedenti le motivazioni che spingevano la nostra gente a spostarsi, dall’Italia in altri Paesi, erano sintetizzati nel sogno americano o australiano, oggi si scappa da povertà, miseria, guerre, ingiustizie, persecuzioni.
Sta emergendo sempre di più una nuova figura del migrante che è quella del rifugiato che scappa dai deboli regimi dittatoriali, da guerre civili che hanno procurato e continuano a procurare milioni di vittime senza che l’occidente sia adeguatamente informato e nel silenzio delle istituzioni europee e mondiali”.
Navalny come Politkovskaya
“Dopo essere stato avvelenato, ingiustamente imprigionato e torturato, Aleksei Navalny è deceduto, dopo 37 mesi di sofferenza dietro le sbarre, a seguito di un trasferimento in una delle carceri più remote e dure della Russia. Aleksei era un prigioniero di coscienza, detenuto solo per aver denunciato un governo repressivo”: è quanto dichiarato da Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, all’indomani della morte dell’oppositore di Putin, che ha poi aggiunto:
“Navalny chiedeva libertà politica per sé e i suoi sostenitori; denunciava la corruzione e sfidava Putin. La sua morte è una testimonianza devastante e grave delle condizioni di vita sotto il regime oppressivo e repressivo del Cremlino. Ha pagato il prezzo più alto per aver espresso la propria opinione critica e per aver difeso la libertà d’espressione. Amnesty International è al fianco di tutti coloro che lottano per i diritti umani dentro e fuori i confini della Russia”.
Ed ha spiegato le condizioni del prigioniero russo: “Navalny è stato privato delle cure mediche, è stato tenuto per lunghi periodi in isolamento ed è stato vittima di sparizione forzata, quando è stato trasferito in una delle colonie penali più lontane che ci siano, vicino al Circolo polare artico. Le autorità russe hanno rifiutato di indagare adeguatamente e di essere trasparenti sulle precedenti accuse di violazioni dei suoi diritti umani”.
E’ un richiamo alla comunità internazionale a richiedere verità sulla sua morte: “Mentre è in corso la ricerca di giustizia, è chiaro che abbiamo poche vie a nostra disposizione. E’ quindi fondamentale che la comunità internazionale intraprenda azioni concrete affinché tutti coloro che sono responsabili della morte di Navalny rendano conto delle proprie azioni. Dobbiamo urgentemente chiedere alle Nazioni Unite di utilizzare le loro procedure e i loro meccanismi speciali per occuparsi della morte di Navalny”.
Per questo è stata chiara e precisa la dichiarazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “La morte di Aleksej Navalnyj nel carcere russo di Kharp rappresenta la peggiore e più ingiusta conclusione di una vicenda umana e politica che ha scosso le coscienze dell’opinione pubblica mondiale.
Per le sue idee e per il suo desiderio di libertà Navalnyj è stato condannato a una lunga detenzione in condizioni durissime. Un prezzo iniquo e inaccettabile, che riporta alla memoria i tempi più bui della storia. Tempi che speravamo di non dover più rivivere. Il suo coraggio resterà di richiamo per tutti”.
L’ong ha sottolineato la responsabilità di Putin: “Aleksej Naval’nyj è stato ucciso in prigione. L’amministrazione penitenziaria ha trasmesso la notizia e intende svolgere verifiche per stabilire la causa di morte; gli inquirenti hanno debitamente annunciato qualcosa di simile.
Non ce n’è bisogno, quella causa è già nota. Naval’nyj è stato assassinato; di questo assassinio pianificato e attuato metodicamente è responsabile lo stato russo, inclusi quegli stessi enti che ora cianciano di verifiche”.
Dopo aver ricostruito gli ultimi quattro anni del dissidente russo l’ong per la difesa dei diritti umani ha ribadito che tale uccisione è un assassinio politico: “Questo non è un semplice assassinio politico: è un attentato alla speranza. Ma è in nostro potere impedire questo ultimo crimine contro Naval’nyj, e anche di fermare altri assassini politici in corso proprio ora. Aleksej era straordinario per il coraggio, la tenacia e l’ottimismo. Per noi sarà sempre un esempio da seguire, una fonte di ispirazione che infonde speranza e non permette di lasciarsi cadere le braccia”.
Per il prof. Adriano Dell’Asta, vicepresidente della Fondazione ‘Russia Cristiana’, il dissidente è un esempio di libertà: “Esempio di democrazia, aveva mostrato in atto la disponibilità a battersi per una causa non strettamente personale: era infatti tornato in patria dopo che era stato oggetto di un tentato avvelenamento, ben sapendo di essere destinato alla galera, ma convinto di dover dare un esempio di coraggio civile che potesse scuotere un’opinione pubblica troppo accomodante con il potere, in patria ma, non dimentichiamolo, ancor più gravemente accomodante nel resto del mondo.
Ora a morire è Naval’nyj, ma non dimentichiamo, appunto, gli avversari politici, gli oppositori e i giornalisti eliminati in questo primo ventennio del XXI secolo. Esempio di libertà, non aveva smesso di essere libero, continuando a difendere la causa di tutta l’opposizione persino in carcere e persino quando vedeva che ogni sua azione scatenava le reazioni più odiose e assurde da parte dei suoi aguzzini. Esempio di dignità, col suo ritorno e con la sua resistenza, aveva mostrato cosa significhi essere uomini in questa nuova versione del ‘secolo lupo’, come la moglie del grande poeta Mandel’štam aveva chiamato i tempi di Stalin”.
Sul sito di Asia News don Stefano Caprio, docente di storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale, ha ricostruito i minuti precedenti il decesso dell’oppositore russo: “Naval’nyj è morto ufficialmente alle 14.17, e la notizia è stata diffusa con un comunicato stampa dell’amministrazione penitenziaria alle 14.19, per girare sui canali della Tass alle 14.20, annunciando alle 14.23, sei minuti dopo la morte, la ‘verosimile formazione di un trombo’, senza alcuna autopsia o conferma di medici competenti.
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha commentato la ‘spiacevole notizia’ alle ore 14.30, meno di un quarto d’ora dopo la morte. Il cronometraggio ufficiale, e non le supposizioni dei malvagi occidentali, dimostrano che si è trattato veramente di un’operazione pianificata e concordata ai massimi livelli, fino ai minuti secondi, con comunicati già pronti e stampati.
Putin non si farà ovviamente alcuno scrupolo nel negare ogni tipo di evidenza, ciò che rappresenta la sua migliore capacità professionale fin dai tempi del Kgb, ma non c’è modo di occultare un crimine di portata così clamorosa, tanto che in tutta la Russia sono in corso manifestazioni spontanee di grande partecipazione emotiva, segno che nel fondo dell’anima dei russi si conserva ancora la fiammella di Naval’nyj”.
Dopo la morte la polizia russa ha bloccato l’accesso al memoriale delle vittime della repressione politica ed ha arrestato coloro che erano venuti a commemorare l’oppositore, che secondo l’ong OVD per i diritti umani sono oltre 400 i detenuti in 30 città russe per aver voluto ricordare il dissidente. Inoltre 24 ore dopo è morto anche il fotografo Dmitry Markov, che aveva documentato le proteste del 2021 per l’arresto dell’oppositore al suo ritorno in Russia dalla Germania.
(Foto: Amnesty International)
A Roma il XLIV Convegno Bachelet: per una (r)esistenza democratica
“Percorriamo un tornante della storia in cui certamente è necessario vigilare perché la democrazia continui ad esistere. Non possiamo viverla come un fatto scontato, instaurato una volta per tutte – così il presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto per lo studio dei problemi sociali e politici ‘Vittorio Bachelet’, Franco Miano.
Il presidente della Repubblica: costruire una mentalità di pace
“Care concittadine e cari concittadini, questa sera ci stiamo preparando a festeggiare l’arrivo del nuovo anno. Nella consueta speranza che si aprano giorni positivi e rassicuranti. Naturalmente, non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo. Sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”.
Costruire insieme una democrazia economica: il microcredito risposta all’usura
‘Costruire Insieme Una Democrazia Economica – Il Microcredito come risposta al fenomeno del sovraindebitamento e all’usura’ è questo il titolo dell’incontro che si svolge oggi dalle ore 16.00 a Tricase presso la Sala del Trono di Palazzo Gallone. L’evento si svolgerà in presenza, e la diretta streaming sarà trasmessa su www.radiodelcapo.it e la pagina Facebook radiodelcapo.it webtv. La partecipazione è libera, previa iscrizione su eventbrite(https://giornataeuropeadellamicrofinanza2023.eventbrite.com/).
Il ‘Codice di Camaldoli’ una guida ancora oggi per i cattolici in politica
“La partecipazione alla crescita democratica della società civile e delle istituzioni ha oggi bisogno di donne e di uomini cristiani, consapevoli della loro fede, che testimonino, in ogni ambito del vivere comune, la loro ispirazione, i valori e i comportamenti che la loro fede continua a fermentare, senza i quali questa società non sarà migliore. L’individualismo esasperato di oggi non restituisce alle persone la libertà sperata, la felicità cercata, bensì il consumo di sé stessi. Abbiamo bisogno di recuperare la passione dell’altro, il riconoscimento dell’altro, l’accoglienza dell’altro”.
Prof. Luigi Alici: libertà da o libertà per?
Verso la Settimana Sociale: un processo di democrazia
Si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio del prossimo anno la 50ª Settimana Sociale dei Cattolici sul tema ‘Al cuore della democrazia, come deciso dal Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione dello scorso gennaio, sottolineando la necessità di favorire la riflessione sulle nuove forme di partecipazione e l’elaborazione di strumenti comuni per costruire e far crescere alleanze.
Ad Assisi un seminario alla ricerca dell’autorità
“L’autorità ci affascina e al contempo ci spaventa. Continuamente la ricerchiamo, deplorandone una crisi che sembra ormai definitiva, e continuamente la rifuggiamo. E tuttavia possiamo fare a meno dell’autorità? Ci interrogheremo su una delle questioni più affascinanti e più urgenti del nostro tempo”: questo è l’invito di un seminario alla Cittadella di Assisi, organizzato dalla rivista ‘Munera’, fino al 30 luglio sul tema ‘In cerca di autorità: famiglia, scuola, democrazia’.