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Da Parma un invito ad un cammino di speranza con i giovani

“C’è speranza per i giovani, a Parma? Il marziano che arriva o la persona che ha passato il mare, a Parma, vede speranza o rassegnazione? Siamo Capitale europea dei giovani. L’Europa è giovane e dà speranza? Queste domande me le faccio da cittadino e da Vescovo, preoccupato e voglioso di guardare avanti con una coscienza che si interroga, osservando prima di tutto la nostra Chiesa le cui membra sono la gente di Parma che crede, partecipa, vive, come ognuno può, la fede cattolica. Ho goduto della Giornata mondiale della gioventù e di altre manifestazioni con i giovani e soffro se la Chiesa non ascolta e non propone e quando vedo non accolte o sciupate le potenzialità ed energie dei giovani. Intuisco la loro voglia di autenticità, di crescita e di testimoni”.

Con queste domande inizia la lettera inviata da mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, alla città, che sarà capitale europea dei giovani nel 2024, in occasione della solennità del patrono sant’Ilario di Poitiers, coniugando la speranza, tema dell’Anno Santo, ed i giovani, simbolo di speranza nel presente e nel futuro, ma anche espressione spesso di sogni traditi: “Ognuno ha una responsabilità verso i giovani, gli adulti, la famiglia, la Chiesa e la società civile, le aggregazioni e la scuola. Pensare ai giovani, dobbiamo esserne coscienti, è inquadrare una galassia diversificata, per età, per provenienza, per possibilità, per inclusione. Un elenco lungo, troppo per essere raccolto qui. Parma è una città ricca. Dove si vive bene. Anche se questo non è per tutti”.

Consapevole di ciò ha indicato alcune speranze che i giovani, intervistati, nutrono: “Il desiderio che muove la speranza è, per molti, la felicità e per tanti la fede che prospettano uno sguardo verso il futuro. La speranza viene percepita come una molla… La speranza è colta come la possibilità e l’auspicio di un cambio di passo, nella consapevolezza che si può ‘avere una seconda possibilità’, e che ‘non è ancora detta l’ultima parola sulla realtà e che c’è ancora qualcosa di nuovo…’. Una speranza che viene alimentata, per alcuni dalla fede, per molti dalla testimonianza degli altri: ‘Giovani che fanno scelte in conformità al Vangelo’, ‘persone che, intorno a me, continuano a progettare e a vivere e non a sopravvivere’; per altri dalla gratitudine: ‘Spero di poter restituire al mondo parte di quello che ho ricevuto’, come gli stessi giovani intervistati hanno dichiarato. Messaggio che contiene domande, riflessioni e provocazioni, rivolte a tutta la comunità, sia cristiana che civile, perché solo camminando insieme si dà forma e volto alla speranza”.

Inoltre i giovani hanno sottolineato gli ostacoli alla speranza: “Ma i giovani hanno anche evidenziato ciò che spegne, ostacola, la speranza. Tra questi, la paura: ‘La paura di non riuscire ad arrivare al traguardo che mi sono posta, l’insicurezza nelle mie capacità’… Paura, incertezza, instabilità, vissute e colte anche nell’attuale contesto sociale e politico”.

Quindi parlare di speranza implica alcuni interrogativi sugli stili di vita di una comunità: “Parlare di speranza, come ci hanno detto e ci chiedono i giovani, porta ad interrogarci sullo stile di vita della nostra comunità, sulle attese che genera, sui modelli che propone, su quanto si ritiene essenziale, condiviso e non rinunciabile. Così pure se trae dal suo tesoro, dalla sua anima, un messaggio armonico che rende ragione delle dimensioni proprie della persona, non soltanto di carattere immediato e immanente, ma con piste di risposte a interrogativi profondi che non possono essere elusi e a domande di senso tanto radicali, quanto appaiono sovente lontani i punti luce che le possono rischiarare, come donne e uomini significativi, capaci di educare, ascoltare e attrarre”.

Ma la speranza è bloccata anche dalla precarietà: “La speranza fatica a crescere nella precarietà, nell’incertezza, nella povertà. Non possiamo negare che anche a Parma la forbice si sta allargando tra giovani che hanno tante possibilità di formazione e di un significativo o alto tenore di vita e chi ne ha molto meno, fino a non averne. Qui si mina la speranza. Può essere forte come la gramigna che fora l’asfalto, ma, più spesso, vi muore sotto. Pensiamo ai giovani migranti che cercano una sistemazione, un permesso di soggiorno, un lavoro, una possibilità di studio. In chiaro scuro la speranza e la sua negazione possono portare a delinquere e a oltrepassare le porte del Carcere. Via Burla non è una burla. E’ luogo di detenzione anche di giovani”.

Per questo il vescovo ha invitato i giovani ad essere testimoni di speranza: “I giovani sono testimoni di speranza. La nutrono e la diffondono. Sanno, come diceva don Pino Puglisi, ‘rispondere alle attese vere dell’umanità intera e del singolo… sperimentano che vivere è sperare’ fino al martirio, cioè fino a pagare di persona”.

Un giovane di speranza è stato Sammy Basso: “Una lezione non voluta, dalla cattedra della sua vita di giovane ventottenne, affetto da progeria. Tanti giovani hanno la domanda sulla vita e su cosa c’è oltre. Negarla è mettere la polvere sotto il tappeto. La speranza della vita piena che non finisce, non distoglie dall’oggi, anzi è la molla per il cambiamento. Nei testimoni di speranza possiamo mettere ‘i patrioti’ ricordati dal presidente Mattarella.

pI loro sono volti comuni, in professioni necessarie e spesso a rischio… Fa ben sperare vedere giovani che si offrono per i più poveri, anche loro coetanei, che servono in servizi essenziali, da volontari, come alla mensa della Caritas. Lo fanno in silenzio, non fanno polemiche sterili, non puntano il dito senza conoscere, si tirano su le maniche, si sporcano le mani”.

Perciò il messaggio del vescovo è un invito agli adulti di ascoltare i giovani: “Testimoni di speranza sono anche quei giovani (ce lo hanno detto nelle interviste) che sperano di fare famiglia, di generare figli. Preoccupa che questo desiderio resti, per loro, in bilico tra la speranza e la paura di non farcela. Due giovani che si sposano si aprono al futuro; il figlio è ‘la’ speranza della città e del mondo. Oltre che loro. Se intendiamo per ‘patriottismo’ l’agire con coraggio per il bene comune, sono veri patrioti”.

Ecco l’invito ad essere ‘pellegrini nella speranza’: “Il pellegrinaggio, tipico del Giubileo, è una pratica e un simbolo universale e può rappresentare la sinergia tra la speranza giovane e la nostra città. Richiede una partenza, un itinerario, una meta, e camminare con entusiasmo insieme. Si vince così più facilmente la fatica, e si supera, una volta partiti, la noia e l’apatia. Mette alla prova, purifica le speranze. C’è l’obbligo che nessuno resti indietro. Ci piace pensare che possa essere intrapreso da una comunità che, unendo tutti, trae dalla sua storia anche recente la motivazione per farlo (vi ricordate della pandemia e di quanto ci dicevamo?) avendo i giovani come apripista. Si cammina sulla terra, l’ambiente che ci è dato”.

Il messaggio si conclude con l’invito ad iniziare un pellegrinaggio di speranza: “Nel pellegrinaggio si può toccare l’essenziale che ci abita, attivare risorse sopite, aprirsi alla speranza. Dal di dentro si irradia la luce e la forza per il poliedro della speranza. Non ha luce propria, la riceve e l’espande al punto che diventa storia, cambiamento. L’augurio è che questa luce si riaccenda nel cuore di tutti i giovani e che si si espanda ovunque, partendo dalla nostra città, dal suo territorio, perché non ci può essere futuro se non lo speriamo insieme”.

(Foto: Diocesi di Parma)

Francesco Lorenzi: fare ‘ponte’ tra mondo cristiano ed evangelico

‘Il segreto del successo di questa serie è Dio. E un altro ruolo importate lo svolge lo Spirito Santo’: lo ha affermato nei giorni scorsi a Tv2000 l’attore Jonathan Roumie che interpreta Gesù nella serie ‘The Chosen’ in onda sull’emittente della Cei da venerdì 6 dicembre, che prosegue: “Raccontiamo delle storie, che il pubblico ha un bisogno enorme di riscoprire: una forma di narrazione ampia e articolata su Gesù, la sua vita, il suo ministero, la sua missione con una grande profondità umana”.

‘The Chosen’, serie diretta dal regista Dallas Jenkins, le cui prime edizioni sono andate in onda doppiate in italiano in chiaro su Tv2000, è un progetto partito dal basso negli Stati Uniti (finanziato tramite un crowdfunding da record mondiale, ben $ 10.000.000 raccolti solo per la prima serie) e lanciato nel 2019 gratuitamente sul web, che ha raggiunto finora numeri da record: oltre 200.000.000 di spettatori, più di 770.000.000 di visualizzazioni di singoli episodi, e conta più di 12.000.000 di follower sui social media. Ha una fan base mondiale oltre i 110.000.000 di persone, parte delle quali sono proprio in Italia, nazione in Europa con il più alto numero di app scaricare ed oltre 3.000.000 di episodi visti.

Per supportare l’uscita di questa serie per la nuova stagione di ‘The Chosen’ a fine maggio è uscito il singolo ‘Senza te non si può fare’, in cui per la prima volta in Italia una band cattolica (The Sun) ed un cantante evangelico (Angelo Maugeri), i più seguiti nei loro relativi contesti, collaborano insieme per un progetto straordinario.

Infatti in un articolo apparso all’interno del suo blog ‘Per Anime Libere’, Francesco Lorenzi, cofondatore della band vicentina, ha riflettuto sul rapporto di Dio con Mosè, e viceversa: “Vedevo di fronte a me in modo nitido come questa relazione parlasse al cuore di ogni uomo pronto a guardarsi dentro per lasciarsi guidare oltre l’Egitto interiore, superando il deserto e giungendo alla propria Terra Promessa. Così, parole e musica si sono mostrate in modo unitario, quasi come una dichiarazione di fiducia, vicinanza e supporto dal Padre verso ognuno di noi”.

Incontrati nella città di Giacomo Leopardi su invito dalle Missioni Estere dei Cappuccini, abbiamo chiesto il motivo per cui ‘senza Te non si può fare’: “Ognuno di noi è un tassello di un grande progetto ed ogni progetto ha bisogno di ogni singola parte. Partendo dalla relazione che Dio ha con Mosè e che Mosè ha con Dio, quell’esempio si ‘sposa’ con la vita che tutti noi. Tutti noi dobbiamo fare la nostra parte ed essere quell’elemento senza il quale non si può compiere in pieno il progetto di Dio”.

Band cattolica e cantante evangelica: quale è il progetto?

“Il progetto è nato per supportare la produzione cinematografica della quarta serie ‘The Chosen’ in italiano. Tale produzione nasce nel mondo evangelico e sta avendo buon successo anche nel mondo cattolico. Da qui il desiderio di fare un ponte tra mondo evangelico e quello cattolico”.

Per quale motivo ha definito questa canzone una ‘benedizione’ per chi la ascolta?

“Nella vita di ognuno ci sono attese talvolta incomprensibili: momenti in cui dobbiamo decidere di fare un passo indietro o in cui qualcosa a cui teniamo ci pare venga tolta vita o visibilità o importanza. Ma se cerchiamo la volontà del Padre affinché diriga i nostri passi, se cerchiamo la Sua volontà nelle scelte che compiamo, avviene poi che si manifestano meraviglie, che avevano solo bisogno di un certo tempo per mostrarsi e della nostra personale adesione a quel tempo, proprio come Mosè”.

Quindi ‘ostinato e controcorrente’?

“Il progetto è ‘ostinato e controcorrente’, come quello che tutto facciamo, cioè qualcosa di originale, che nel mondo musicale si vede sempre meno, perché c’è un grande appiattimento nelle produzioni ed anche nelle intenzioni. Lentamente abbiamo acquisito questo gusto di fare cose un po’ particolari, tal volte un po’ strane, ma molto belle e molto libere”.

Ed allora come si custodisce l’amore?

“L’amore è un sentimento molto importante che cambia la vita di tante persone. Quindi trovare il vero amore è difficile, ma importante è coltivarlo, in quanto vedo tante persone disperate alla ricerca dell’amore, ma non lo cercano fino in fondo. Io sono stato fortunato, ma parte di quella fortuna me la sono cercata attraverso la fatica”.

In quale modo comunicare la fede ai giovani?

“San Francesco di Assisi diceva di comunicare la fede attraverso i gesti e, se era proprio necessario, di usare anche le parole. Da buon francescano cerco di mettere in pratica ciò, anche se confesso di non riuscirci in pieno. Tante persone mi dicono, quando mi vedono, mi dicono che sono gli occhi che parlano:  cerco di comunicare la fede attraverso gli occhi”.

Uno sguardo, infine, alla Terra Santa, in cui avete fatto molti pellegrinaggi ed avete anche un progetto riguardante Gerusalemme: “La Terra Santa è un capitolo aperto nella nostra vita e la sentiamo come una seconda casa. Ora c’è una grande sofferenza nel vedere quello che sta succedendo in una terra così importante per tutto il mondo cristiano “.

(Foto: The Sun)

Papa Francesco prega la Madre di Dio per il giubileo

“Vergine Immacolata, Madre, Madre Immacolata, oggi è la tua festa e noi ci stringiamo intorno a te. I fiori che ti offriamo vogliono esprimere il nostro amore e la nostra gratitudine; ma tu vedi e gradisci soprattutto quei fiori nascosti che sono le preghiere, i sospiri, anche le lacrime, specialmente le lacrime dei piccoli e dei poveri. Guardali, Madre, guardali”: così è iniziata la preghiera di papa Francesco a Maria Immacolata, oggi pomeriggio, nell’omaggio in piazza Mignanelli, alla statua della Vergine posta su una colonna.

Nell’atto di venerazione il papa Le ha domandato di non dimenticare i ‘cantieri dell’anima’ in vista dell’imminente giubileo: “Madre nostra, Roma si prepara a un nuovo Giubileo, che sarà un messaggio di speranza per l’umanità provata dalle crisi e dalle guerre. Per questo in città dappertutto ci sono cantieri: questo (tu lo sai) provoca non pochi disagi, eppure è segno che Roma è viva, che Roma si rinnova, che Roma cerca di adattarsi alle esigenze, per essere più accogliente e più funzionale”.

Per questo ha chiesto che il giubileo sia anche ‘interiore’: “Ma il tuo sguardo di Madre vede oltre. E mi sembra di sentire la tua voce che con saggezza ci dice: ‘Figli miei, vanno bene questi lavori, ma state attenti: non dimenticate i cantieri dell’anima! Il vero Giubileo è dentro: dentro, dentro i vostri cuori – tu dici -, dentro le relazioni famigliari e sociali. ‘E’ dentro che bisogna lavorare per preparare la strada al Signore che viene’. Ed è una buona opportunità per fare una buona Confessione e chiedere il perdono di tutti i peccati. Dio perdona tutto, Dio perdona sempre, sempre”.

Per questo il giubileo deve essere un tempo di liberazione ‘sociale’: “Madre Immacolata, ti ringraziamo! Questa tua raccomandazione ci fa bene, ne abbiamo tanto bisogno, perché, senza volerlo, rischiamo di essere presi totalmente dall’organizzazione, dalle cose da fare, ed allora la grazia dell’Anno Santo, che è tempo di rinascita spirituale,che è tempo di perdono e di liberazione sociale, questa grazia giubilare può non venire bene, essere un po’ soffocata”.

Ed ha pregato la Madre di Dio per la Sua presenza: “Sicuramente, Maria, tu fosti presente nella sinagoga di Nazaret, quel giorno in cui Gesù per la prima volta predicò alla gente del suo paese… E Tu, Madre, Tu eri lì, in mezzo alla gente stupita. Eri fiera di Lui, del Figlio tuo, e nello stesso tempo presagivi il dramma della chiusura e dell’invidia, che genera violenza. Questo dramma tu l’hai attraversato e sempre lo attraversi, col tuo cuore immacolato ricolmo dell’amore del Cuore di Gesù. Madre, liberaci dall’invidia: che siamo fratelli tutti, che ci vogliamo bene. Niente invidia. L’invidia, quel vizio giallo, brutto, che rovina da dentro”.

Ha concluso la preghiera con l’invito ai fedeli di ascoltare Gesù: “Ed anche oggi, Madre, ci ripeti: ‘Ascoltate Gesù, ascoltate Lui! Ascoltatelo, e fate quello che vi dice’ (cfr Gv 2,5). Grazie, Madre Santa! Grazie perché ancora, in questo tempo povero di speranza, ci doni Gesù, nostra Speranza. Grazie Madre”.

Mentre prima della recita dell’Angelus papa Francesco ha ‘immortalato’ il momento della risposta della Madre di Dio: “Oggi, nella solennità dell’Immacolata Concezione, il Vangelo ci racconta uno dei momenti più importanti, più belli, nella storia dell’umanità: l’Annunciazione, quando il ‘sì’ di Maria all’Arcangelo Gabriele permise l’Incarnazione del Figlio di Dio, Gesù.

E’ una scena che suscita la più grande meraviglia e commozione perché Dio, l’Altissimo, l’Onnipotente, per mezzo dell’Angelo dialoga con una giovane di Nazaret, chiedendone la collaborazione per il suo progetto di salvezza. Se oggi troverete un po’ di tempo, cercate nel Vangelo di san Luca e leggete questa scena. Vi assicuro che vi farà bene, molto bene!”

E’ una scena come quella di Michelangelo nella ‘Cappella Sistina’: “Come nella scena della creazione di Adamo dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padre celeste sfiora quello dell’uomo; così anche qui, l’umano e il divino si incontrano, all’inizio della nostra Redenzione, si incontrano con una delicatezza meravigliosa, nell’istante benedetto in cui la Vergine Maria pronuncia il suo ‘sì’. Lei è una donna di un piccolo paese periferico e viene chiamata per sempre al centro della storia: dalla sua risposta dipendono le sorti dell’umanità, che può tornare a sorridere e a sperare, perché il suo destino è stato posto in buone mani. Sarà Lei a portare il Salvatore, concepito dallo Spirito Santo”.

Infine il papa ha posto alcuni interrogativi: “Fratelli e sorelle, contemplando questo mistero possiamo chiederci: nel nostro tempo, agitato da guerre e concentrato nello sforzo di possedere e dominare, io dove ripongo la mia speranza? Nella forza, nel denaro, negli amici potenti? Ripongo lì la mia speranza? Oppure nella misericordia infinita di Dio? E di fronte ai tanti falsi modelli luccicanti che circolano nei media e in internet, dove cerco io la mia felicità?

Dov’è il tesoro del mio cuore? Sta nel fatto che Dio mi ama gratuitamente, che il suo amore sempre mi precede, ed è pronto a perdonarmi quando ritorno pentito a Lui? In quella speranza filiale nell’amore di Dio? Oppure mi illudo nel cercare di affermare a tutti i costi il mio io e la mia volontà?”

Mentre al termine dell’Angelus ha ricordato che oggi i soci dell’Azione Cattolica Italiana rinnovano la propria adesione, esprimendo anche solidarietà ai lavoratori: “Oggi, nelle parrocchie italiane si rinnova l’adesione all’Azione Cattolica. Auguro a tutti i soci un buon cammino di formazione, di servizio e di impegno apostolico.

Benedico di cuore i fedeli di Rocca di Papa e la fiaccola con cui accenderanno la grande stella sulla Fortezza della loro bella cittadina, in onore di Maria Immacolata. E sono vicino ai lavoratori di Siena, Fabriano e Ascoli Piceno che difendono in modo solidale il diritto al lavoro, che è un diritto alla dignità! Che non sia loro tolto il lavoro per motivi economici o finanziari”.

(Foto: Santa Sede)

Don Nicola Rotundo: necessaria visione antropocentrica dell’Intelligenza Artificiale secondo Tommaso d’Aquino

“Risulta essere sempre più impattante l’Intelligenza Artificiale sulla quotidianità di ciascuno; che lo faccia in maniera diretta o trasversalmente, sta cambiando inevitabilmente il mondo e le relazioni rispetto a come lo abbiamo conosciuto fino ad ora. Ciò accade soprattutto a seguito dello sviluppo dell’Intelligenza Artificiale Generativa, con la capacità, oltre che di auto-apprendere, di produrre contenuti complessi che imitano sempre più la creatività umana”.

Partiamo da queste brevi parole di don Nicola Rotundo, membro del consiglio direttivo del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica (CIRB), condirettore delle collane ‘Tra storia e religioni’ e ‘Harmonic Innovation’ ed autore di ‘Intelligenza Artificiale: un punto di vista etico-sociale’, per cercare di comprendere il motivo per cui c’è tanta attenzione intorno all’Intelligenza Artificiale, che sta tracciando il futuro tecnologico della società:

“Il tema dell’Intelligenza Artificiale sta riscontrando grande interesse a tutti i livelli per via delle infinite applicazioni. Basti pensare a quelle in campo medico, dove l’Intelligenza Artificiale è divenuta fondamentale per la progettazione di nuovi farmaci o per lo sviluppo di nuove terapie. Sorprendente è l’ideazione di un particolare stetoscopio dotato di IA capace di identificare tempestivamente i segni di scompenso cardiaco, migliorando notevolmente la prevenzione del rischio cardiovascolare”.

Cosa è l’Intelligenza Artificiale generativa?

“Lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale si sta orientando sempre più verso quella che viene definita IA generativa, avente capacità di creare nuovi contenuti o idee come immagini, video, musica e non solo, tentando di imitare sempre più l’intelligenza umana, dove con un vero e proprio addestramento, le “macchine auto-apprendenti”, sono capaci di elaborare velocemente una gran mole di dati e informazioni simulando sempre meglio il comportamento umano. Tale simulazione manca però di quella scintilla che è propria degli esseri umani: l’anima”.

In quale modo è possibile difendersi dalle fake news costruite dall’Intelligenza Artificiale?

“L’Intelligenza Artificiale, se non è condotta in ultima istanza dall’uomo, rischia di elaborare dati senza distinguere le notizie vere dalle fake news, come ad esempio è accaduto quando il noto social X ha dato risalto ad alcune breaking news generate dal chatbox Grok di X sulla base di post che diffondevano disinformazione. Questo caso assieme ad altri, mostra come l’automazione spinta e la rimozione delle verifiche umane possano trasformare e distorcere la realtà.

Urge pertanto una revisione di questo approccio, bilanciando l’efficienza dell’IA con la supervisione umana, come anche sostenuto dal papa nel messaggio per la 58° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore”.

C’è possibilità che l’Intelligenza Artificiale possa superare l’intelligenza umana?

“Partiamo dal sottolineare che l’intelligenza umana è dono di Dio (Siracide 17, 1-12). Attraverso di essa, afferma Tommaso d’Aquino, l’uomo è capace di cogliere l’essenza delle realtà materiali (Summa Theologiae. I, q. 85, a. 8, respondeo), per conoscere la verità che Dio ha impresso in ogni cosa da lui creata e per potersene servire secondo la volontà del suo Autore, rispettando sempre il fine per il quale, Egli, ha fatto ciascuna cosa.

L’uomo, però, non può affidarsi alla sola intelligenza umana per raggiungere il fine per il quale è stato creato da Dio, perché essa è fallibile. Deve lasciarsi illuminare dalla Rivelazione (che è certa) e dall’intelligenza teologica che su di essa si fonda (Summa Theologiae, I, q. 1, a. 1, respondeo). Questa intelligenza di cui stiamo parlando è, però, nell’uomo opera dello Spirito Santo, che con i suoi santi sette doni, compreso quello, proprio dell’intelletto, conduce l’uomo ad una conoscenza che altrimenti gli sarebbe preclusa (Summa Theologiae, II-II, q. 8, a. 1, respondeo). Da queste sintetiche considerazioni si evince chiaramente che l’Intelligenza Artificiale mai potrà superare l’intelligenza umana e, ancor meno, quella che si lascia illuminare dallo Spirito Santo”.

E’ possibile immettere competenze umanistiche nell’Intelligenza Artificiale?

“Non è solo possibile ma soprattutto doveroso. Affermo questo perché sviluppando l’Intelligenza Artificiale non ci si può solo fermare all’aspetto tecnico; è necessaria l’adozione di quei saperi metempirici capaci di dare un indirizzo alla ricerca scientifica e quella tecnologica di frontiera, dando giusto valore e rispetto alla dimensione etica.

A tal proposito ecco cosa scrive il papa per la 19^ Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato: Oggi è urgente porre limiti etici allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, che con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura, piuttosto che messa a servizio della pace e dello sviluppo integrale”.

Allora in queste ‘situazioni’ quali capacità possono offrire le facoltà teologiche?

“Alcune Facoltà di Teologia si stanno premurando di mettere in dialogo la Filosofia e la Teologia Morale con l’Intelligenza Artificiale attraverso corsi rivolti agli sviluppatori ma anche ai fruitori dell’Intelligenza Artificiale. Sono percorsi che oserei dire necessari per i presbiteri e per i laici, poiché è fondamentale essere al passo coi tempi per gestire questa realtà ormai parte integrante del nostro quotidiano. Il mio personale auspicio è quello che in ogni Facoltà di Teologia possa essere istituito un corso curriculare atto a fornire gli elementi etici basilari che riguardano il rapporto con l’Intelligenza Artificiale, affinché i futuri presbiteri possano avere gli strumenti idonei per gestire una realtà così impattante sulla quotidianità”.

(Tratto da Aci Stampa)

Ad Assisi ‘CorporalMente’ per riflettere su corpo ed anima

Dal 12 al 15 settembre (con un’anteprima domenica 8 settembre ‘Sull’infinito’ di Alessandro Baricco) si è svolto il ‘Cortile di Francesco’, giunto alla decima edizione, l’appuntamento culturale annuale nel segno della fraternità promosso dai frati minori conventuali della basilica di San Francesco in Assisi, intitolato ‘CorporalMente’: “Se infatti le stimmate di san Francesco sono la manifestazione visibile, nel corpo, della profondità della sua unione con Cristo, è bello poter riflettere insieme, confrontarsi e intrattenersi (come è tradizione del Cortile, a partire da diverse prospettive) sulla relazione imprescindibile, ma non per questo scontata, tra il nostro mondo interiore personale e la sua manifestazione all’esterno nel corpo”, ha precisato fra Giulio Cesareo, direttore dell’Ufficio comunicazione del Sacro Convento di Assisi.

Molti i temi affrontati: dalla medicina e psicologia alla disabilità e integrazione; dai social media e ambiente all’intelligenza artificiale; dall’arte in Basilica alla spiritualità francescana con il ministro per le disabilità, Alessandra Locatelli, il direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, Costantino D’Orazio, il giornalista Luca Sommi ed il medico nutrizionista ‘mangiologo’ e divulgatore televisivo, Mauro Mario Mariani.

E naturalmente visite guidate al Museo del Tesoro della Basilica e, nella fantastica cornice artistica e simbolica della piazza superiore di san Francesco; concerti e spettacoli serali, tra cui ‘Il sogno’ dei ragazzi ospiti all’Istituto Serafico di Assisi, e la prima esecuzione assoluta del ‘Requiem per il Sociale’ del Maestro Andrea Di Cesare, opera musicale pop moderna per violino elettrico, looper, campionatori, computer synth e due attori (rivisitazione moderna del Requiem KV 626 di W. A. Mozart, arricchita da elementi pop, rock ed elettronici).

L’evento, ideato da Maria Cristina Lalli e prodotto in collaborazione con Angi (Associazione Nazionale Giovani Innovatori), Opera Morlacchi e Associazione Mozart Italia, ha visto la partecipazione straordinaria degli attori Lidia Vitale e Mirko Frezza. Mentre martedì 17 settembre si è svolta la prima rappresentazione assoluta di un corale su san Francesco realizzato da fra Renzo Cocchi; la chiusura del ‘Cortile di Francesco’ avverrà domenica 22 settembre, alle ore 21.30, con il concerto per la pace per archi e solista diretto da fra Peter Hrdy, maestro della Cappella Musicale della Basilica papale di San Francesco.

Dal punto di vista più specificamente francescano, si è svolto un focus particolare alla ‘Chartula di Assisi’, il breve testo autografo di San Francesco custodito in Basilica, scritto dopo l’episodio delle stimmate a La Verna: in modo particolare attraverso di esso si è cercato di scoprire aspetti meno noti del Santo, quali la personalità, la sua preparazione culturale e sensibilità psicologica, facendo anche ricorso all’analisi grafologica della sua scrittura con Davide Rondoni, Femino Giacometti ed Attilio Bartoli Langeli.

Fra Giulio Cesareo ha spiegato il titolo e la relazione esistente tra corpo e mente: “L’anniversario delle stimmate di san Francesco ci fa riflettere sul loro valore culturale, oltre a quello esclusivamente religioso. Intuiamo che esse ci rinviano all’inscindibile nesso che c’è tra l’interiorità e il corpo, perché le stimmate non sono un’azione divina dall’esterno ma la trasparenza nel corpo di ciò che era accaduto nel cuore di Francesco: nel suo rapporto con Cristo, con i frati, con le persone con cui era in contatto.

Francesco, un po’ come tutti noi, era stato ferito dalla vita, in particolare da quei frati dotti e sapienti che, animati anche da tanto zelo, premevano per ‘riscrivere’ il suo ideale originario e per assimilare sempre più la fraternità del suo Ordine a quelle comunità monastiche già esistenti. Francesco vive tutto ciò come una grande sofferenza, sia sente tradito nella sua intuizione originale, gli sembra che tutto stia crollando come un castello di carte e che la Chiesa (e lo stesso Dio) non stiano facendo niente per sistemare le cose.

A La Verna Francesco intuisce però che le ferite della vita sono preziose, perché possono diventare (come e con quelle di Gesù) feritoie di un amore più grande delle incomprensioni, dei tradimenti, dei fallimenti, perché alla fine ciò che lascia il segno nella vita delle persone e del mondo non sono le belle idee, i grandi progetti, ma l’amore autentico che passa attraverso la nostra vita: il nostro corpo!

‘CorporalMente’ vuole così richiamare questa unità tra corpo e mondo interiore, nella consapevolezza che la mente è ben più delle sinapsi cerebrali: è appunto ognuno di noi, la nostra identità che entra in relazione, si manifesta, ama ed è amata sempre e solo nel corpo; esso non è allora qualcosa di aggiunto o una parte di noi, ma proprio noi stessi in quanto capaci e abilitati all’incontro e alle relazioni”.

Quanto è importante la ‘Chartula’ per la vita francescana?

“La Chartula è una tra le reliquie più preziose di san Francesco, perché è proprio opera sua: ci parla di lui, della sua relazione religiosa con Dio, ma anche del suo modo di coltivare un’amicizia, quella con Leone, ci mostra la sua grande creatività (aveva elaborato una firma anche graficamente tutta sua a partire dall’espressione ‘te benedicat’: ‘ti benedica!’); infine ci rivela, grazie all’analisi grafologica, anche qualcosa in più a proposito del temperamento e della personalità di san Francesco, che è così ricco e profondo, da rimanere sempre alla fine (un po’ come tutti noi) una grande mistero”.

Eppoi gli spettacoli, tra cui ‘Il sogno’ e ‘Requiem universalis’: in quale modo l’arte valorizza il corpo?

“Il nostro sogno, insieme ai nostri amici artisti, intellettuali e persone comuni, nonché al tesoro che sono le persone con disabilità, è proprio sottolineare la dignità immensa del corpo, perché coincide con la dignità del volto di cui è espressione e manifestazione. Altrimenti il corpo da solo, sganciato dal volto, rischia di essere percepito solo come una cosa (che piace o no, attira o no): invece proprio grazie all’arte e ai suoi linguaggi evocativi, vorremmo ri-educarci a quest’arte ovvia (eppure mai scontata) di valorizzare l’alleanza ‘both ways’ (‘entrambi i modi’, ndr.): dal corpo alla persona e dall’interiorità al corpo. Avere cura del corpo per avere cura di sé; avere cura di sé è inseparabile dalla cura per il corpo e le relazioni che sono possibili solo nel e grazie al corpo”.

Dopo 10 anni cosa è il ‘Cortile di Francesco’?

“In queste dieci edizioni si è camminato molto e il passo di oggi sarebbe stato impossibile senza tutti quelli precedenti: per questo desidero ancora una volta ringraziare fra Enzo Fortunato, gli amici dell’associazione ‘Oicos’ e tutti coloro che negli anni hanno fatto nascere, crescere e sviluppare il ‘Cortile di Francesco’. Ognuno di noi con la sua storia, le sue competenze e le sue convinzioni, è un dono per gli altri a patto che la condivisione avvenga nella verità, nel rispetto e nell’apertura all’altro.

Credo che proprio per questo il ‘Cortile di Francesco’ sia il luogo dove è possibile sperimentare la fraternità (vera eredità di san Francesco) come evento culturale, attraverso incontri che nella diversità e nel rispetto, sono fonte di vero arricchimento reciproco. E di una riscoperta della diversità come valore aggiunto nelle relazioni, credo che oggi tutti abbiamo particolarmente bisogno”.

(Foto: Cortile di Francesco)

Da Ancona la proposta di mettersi all’ascolto della Croce

Per la festa di San Ciriaco, patrono dell’arcidiocesi di Ancona-Osimo e della città di Ancona, nel capoluogo marchigiano si è svolta la manifestazione ‘InCanto sulle vie di Francesco’: un’edizione speciale di una serie di eventi che da 11 anni si svolgono in Umbria e nel Centro Italia, percorrendo a piedi antichi percorsi francescani mentre i cori attendono i camminatori con esecuzioni canore.

Dal porto di Ancona è partito san Francesco per il Medio Oriente e al porto di Ancona è arrivato il patrono, san Ciriaco, come ha ricordato mons. Angelo Spina, arcivescovo di Ancona-Osimo: “Il suo corpo giunto da Gerusalemme ad Ancona 1606 anni fa, dono di Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, è segno di una presenza viva e di una protezione costante della Città e dell’intera Arcidiocesi di Ancona-Osimo. Il dono del corpo del santo venuto da Gerusalemme unisce due mondi: oriente ed occidente. Ancona è la porta d’oriente e la via della pace. Oggi più che mai abbiamo bisogno di guardare a San Ciriaco perché i santi sono i campioni della fede e dell’amore e creano unione e non divisione”.

Brevemente ha raccontato la storia del santo: “La storia del santo, come sappiamo, ci rimanda alle vicende vissute a Gerusalemme, all’anno 326 dopo Cristo, quando Elena, madre dell’imperatore Costantino era alla ricerca della vera Croce di Cristo. Un certo Giuda, ebreo, sapeva dove era. Su invito pressante di Elena, Giuda svelò dove era nascosta la Croce, ci fu l’inventio crucis. Giuda si convertì, si fece battezzare e prese il nome di Kuryakos, Ciriaco, che tradotto significa ‘del Signore’. Fu vescovo di Gerusalemme e non esitò ad affrontare il martirio per rendere testimonianza della sua fede, sotto Giuliano l’Apostata, con la convinzione ferma che gli ‘uomini possono uccidere il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima’. Il martirio di san Ciriaco rimanda alla Croce”.

Riprendendo le parole di san Paolo l’arcivescovo di Ancona ha sottolineato che ‘la parola della croce è potenza di Dio’, secondo la definizione di san Paolo: “San Paolo considera la Croce come Parola! E’ un’espressione fortissima. La Croce parla. Oggi c’è un linguaggio sempre più aggressivo; un linguaggio superficiale, frettoloso, che non tiene conto della fase di ascolto. Il cammino sinodale che la Chiesa ha intrapreso invita tutti ad ascoltare e poi a parlare, per costruire la comunità e percorrere strade di unità e di comunione”.

E’ un invito all’ascolto della Croce: “A noi viene chiesto di metterci in ascolto della Croce. Perché la Croce parla! Purtroppo non tutti l’ascoltano! E’ lo stesso san Paolo a spiegarlo con un binomio irriducibile: ‘La parola della Croce è stoltezza per quelli che non credono, ma per noi è potenza di Dio’. Da una parte, questa parola è ‘stoltezza’; potremmo dire senza significato, senza logica. E se questa parola non ha sapore, non ha significato, non ha logica, tanto vale non sentirla. In altri passi, egli dirà che la croce per alcuni è «scandalo» che significa ostacolo, pietra d’inciampo”.

Il pensiero corre verso coloro che sono stati addossati dalle croci: “La parola di queste innumerevoli e tremende croci, se non ascoltata, semina conflitti e morte, e rende ‘cimitero’ la nostra terra e il ‘mare nostro’, come più volte ci ha ricordato papa Francesco. Gesù, con la sua morte sulla croce, ha portato nel mondo una speranza nuova e lo ha fatto alla maniera del ‘seme’. Si è fatto piccolo, come un chicco di grano: ha lasciato la sua gloria celeste per venire tra noi, è ‘caduto in terra’. Ma non bastava ancora. Per portare frutto Gesù ha vissuto l’amore fino in fondo, lasciandosi spezzare dalla morte come un seme si lascia spezzare sotto terra”.

Però dalla Croce è nata la speranza: “Guarda la Croce, guarda il Cristo Crocifisso e da lì ti arriverà la speranza che non sparisce più, quella che dura fino alla vita eterna. E questa speranza è germogliata proprio per la forza dell’amore: perché l’amore tutto spera, tutto sopporta, l’amore, che è la vita di Dio, ha rinnovato tutto ciò che ha raggiunto. Sulla croce Gesù ha trasformato il nostro peccato in perdono, il nostro odio in amore, la nostra paura in fiducia, la nostra morte in resurrezione”.

Ugualmente dalla croce scaturisce la pace: “Se dalla croce fiorisce la speranza è dalla croce che viene donata la vera pace, perché il Signore Gesù, nel suo gesto di amore infinito, sacrificando se stesso, ci riconcilia con Dio e tra di noi. Dà il via a una nuova umanità che guardando a lui mette fuori dalla porta del cuore e della propria casa l’individualismo, la superbia, l’invidia, la gelosia, l’aggressività; per coltivare la giustizia e, insieme, la solidarietà, la condivisione di gioie e fatiche, di sofferenze e speranze; per tendere al dono di sé e non al possesso egoistico”.

E’ un invito alla città portuale ad essere accogliente: “Ancona, con il porto, è per sua natura una città che accoglie. Nel tempo ha saputo costruire inclusione, reciprocità, pur nella fatica e nelle contraddizioni. Nel corso della storia le tante ferite, alcune dovute a calamità naturali di lontana memoria e recenti, non hanno mai fermato lo spirito di solidarietà e di inclusione sociale, con l’attenzione ai più bisognosi”.

E’ un invito ad accorgersi dei ‘poveri’: “In questo momento storico non possiamo distogliere lo sguardo da ciò che sta avvenendo nel mondo intero, con la più grande emergenza umanitaria. Così come non possiamo assistere inerti al rischio continuo che tante persone in questa città scivolino nuovamente e silenziosamente in povertà che speravamo superate per sempre: infatti, quando qualcuno bussa per la prima volta ai Centri di Ascolto delle nostre Caritas, si sono già consumate gran parte delle risposte di dignità e di intraprendenza personali”.

Ed ha proposto tre tappe per una nuova visione della città: “Come sarebbe auspicabile se, abbandonate le forme continue di lamentela, ci fosse una prima tappa per fare memoria della storia di carità e giustizia della nostra città. Una seconda tappa che guardi al presente, evidenziando le capacità e i talenti a servizio delle diverse condizioni di povertà. Una terza tappa rivolta al futuro, orientata allo sviluppo di pratiche di lotta alla povertà da realizzare con i poveri stessi”.

E’ una proposta di costruire relazioni sotto la guida di san Ciriaco: “Nella città c’è un desiderio latente, quasi una necessità, di ricostruire relazioni forti tra singoli, corpi sociali e istituzioni. Abbiamo una grande opportunità: prendersi a cuore gli ultimi, dando loro spazio e voce, è infatti quanto di più nobile e nobilitante ci sia per rimettersi insieme tra tanti soggetti diversi, senza polemiche e senza secondi fini. E’ possibile? La risposta è: ‘sì’, se ci lasciamo guidare dal nostro patrono, san Ciriaco, ad abbracciare la croce gloriosa di Cisto salvatore, la croce che parla ai nostri cuori, unica nostra speranza e nostra pace”.

(Foto: arcidiocesi di Ancona-Osimo)

I vescovi europei all’Europa per la rinascita di un nuovo umanesimo

Parole come Natale, Maria o Giovanni fuori dall'Unione europea

Un appello a tutti, candidati e cittadini, a cominciare dai giovani che per la prima volta andranno a votare: “Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà”. Questa è la ‘lettera all’Unione Europea’ scritta in occasione della Giornata dell’Europa (9 maggio) congiuntamente dal card. Matteo Zuppi (presidente della Conferenza episcopale italiana) e da mons. Mariano Crociata (presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea), ricordando i principi ispiratori dei ‘padri fondatori’ con un tono confidenziale:

“Ti scriviamo perché abbiamo nel cuore un desiderio: che si rafforzi ciò che rappresenti e ciò che sei, che tutti impariamo a sentirti vicina, amica e non distante o sconosciuta. Ne hai bisogno perché spesso si parla male di te e tanti si scordano quante cose importanti fai! Durante il COVID lo abbiamo visto: solo insieme possiamo affrontare le pandemie. Purtroppo, lo capiamo solo quando siamo sopraffatti dalle necessità, per poi dimenticarlo facilmente! Così, quando pensiamo che possiamo farcela da soli finiamo tutti contro tutti”.

Dopo un excursus storico i presidenti dei due organi confessionali hanno ricordato il senso della comunità: “Cara Unione Europea, sei un organismo vivo; perciò forse viene il momento per nuove riforme istituzionali che ti rendano sempre più all’altezza delle sfide di oggi. Ma non puoi essere solo una burocrazia, pur necessaria per far funzionare organizzazioni così complesse come quella che sei diventata. Direttive e regolamenti da soli non fanno crescere la coesione”.

L’Europa deve ‘ritrovare’ un’anima: “Serve un’anima! In questi anni abbiamo visto compiere passi avanti significativi, quando per esempio hai accompagnato alcuni Paesi a superare le crisi economiche, ma abbiamo anche dovuto registrare fasi di stallo e difficoltà. E queste crescono quando smarriamo il senso dello stare insieme, la visione del nostro futuro condiviso, o facciamo resistenza a capire che il destino è comune e che bisogna continuare a costruire un’Europa unita”.

E’ un richiamo alla cura della pace, come hanno ammonito i papi e Robert Schuman all’inizio del percorso dell’unità europea: “In tutti questi anni siamo molto cambiati e facciamo fatica a capire e a tenere vivo lo spirito degli inizi. Dopo un così lungo periodo di pace abbiamo pensato che una guerra su territorio europeo sarebbe stata ormai impossibile. E invece gli ultimi due anni ci dicono che ciò che sembrava impensabile è tornato.

Abbiamo bisogno di riprendere in mano il progetto dei padri fondatori e di costruire nuovi patti di pace se vogliamo che la guerra contro l’Ucraina finisca, e che finisca anche la guerra in corso in Medio Oriente, scoppiata a seguito dell’attacco terroristico del 7 ottobre scorso contro Israele, e con essa l’antisemitismo, mai sconfitto e ora riemergente. Lo dice così bene anche la nostra Costituzione italiana: è necessario combattere la guerra e ripudiarla per davvero! Se non si ha cura della pace, rischia sempre di tornare la guerra”.

Ricordano che l’Europa è nata per eliminare i nazionalismi: “Tanti pensano di potere usufruire dei benefici che tu hai indubbiamente portato, come se fossero scontati e niente possa comprometterli. La pandemia o le periodiche proteste, ultima quella degli agricoltori, ci procurano uno sgradevole risveglio. Capiamo che tanti vantaggi acquisiti potrebbero svanire. Il senso della necessità però non basta a spingere sempre e tutti a superare le divisioni. Alcuni vogliono far credere che isolandosi si starebbe meglio, quando invece qualunque dei tuoi Paesi, anche grande, si ridurrebbe fatalmente al proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro”.

Invece lo stare insieme implica l’elaborazione di ideali comuni: “Per stare insieme abbiamo bisogno di motivazioni condivise, di ideali comuni, di valori apprezzati e coltivati. Non bastano convenienze economiche, poiché alla lunga devono essere percepite le ragioni dello stare insieme, le uniche capaci di far superare tensioni e contrasti che proprio gli interessi economici portano con sé nel loro fisiologico confrontarsi”.

Quindi appartenere ad uno Stato ed all’Europa non è in contrapposizione: “Eppure, le due appartenenze, quella nazionale e quella europea, si implicano a vicenda. La tua è stata fin dall’inizio l’Unione di Paesi liberi e sovrani che rinunciavano a parte della loro sovranità a favore di una, comune, più forte. Perciò non si tratta di sminuire l’identità e la libertà di alcuno, ma di conservare l’autonomia propria di ciascuno in un rapporto organico e leale con tutti gli altri”.

Ed hanno sottolineato l’apporto del cristianesimo nella costruzione dell’Europa: “Le nostre idee e i nostri valori definiscono il tuo volto, cara Europa. Anche in questo la fede cristiana ha svolto un ruolo importante, tanto più che dal suo sentire è uscito il progetto e il disegno originario della tua Unione. Come cristiani continuiamo a sentirne viva responsabilità; del resto troviamo in te tanta attenzione alla dignità della persona, che il Vangelo di Cristo ha seminato nei cuori e nella tua cultura. Soffriamo non poco, perciò, nel vedere che hai paura della vita, non la sai difendere e accogliere dal suo inizio alla sua fine, e non sempre incoraggi la crescita demografica”.

Non manca un passaggio sull’accoglienza dei migranti, sottolineando che spesso l’Italia è sola in questo compito: “Chi accoglie genera vita! L’Italia è spesso lasciata sola, come se fosse un problema solo suo o di alcuni, ma non per questo deve chiudersi. Prima o poi impareremo che le responsabilità, comprese quelle verso i migranti, vanno condivise, per affrontare e risolvere problemi che in realtà sono di tutti”.

In fondo l’accoglienza implica anche una rete relazionale: “Tu rappresenti un punto di riferimento per i Paesi mediterranei e africani, un bacino immenso di popoli e di risorse nella prospettiva di un partenariato tra uguali. Compito essenziale perché in realtà un soggetto sovranazionale come l’Unione non può sussistere al di fuori di una reciprocità di relazioni internazionali che ne dicano il riconoscimento e il compito storico, e che promuovano il comune progresso sociale ed economico nel segno dell’amicizia e della fraternità”.

Insomma la lettera è anche un appello a non disertare il voto per un nuovo umanesimo europeo: “Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea”.

Papa Francesco: la tristezza è un demone che si combatte con la santità

“Non dimentichiamo le guerre. Non dimentichiamo la martoriata Ucraina, la Palestina, Israele, i Rohinja, tante guerre che sono dappertutto. La guerra sempre è una sconfitta, ci vuole la pace”: anche nell’udienza generale di oggi in Aula ‘Paolo VI’ papa Francesco ha rivolto l’appello, affinché cessi nel mondo le guerre”; mentre poco prima aveva salutato le Pie Discepole del Divin Maestro, che celebrano il centenario di fondazione, voluta da don Alberione:

Papa Francesco ‘sogna’ una Chiesa del popolo

“Gesù, per la sua Chiesa, non assunse nessuno dei piani politici del suo tempo: né i farisei, né i sadducei, né gli esseni, né gli esiti. Nessuna corporazione chiusa; semplicemente prendi la tradizione d’Israele: tu sarai il mio popolo e io sarò il tuo Dio”.

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