I numeri dello IOR. On-line il primo rapporto annuale

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Ernst von Freyberg lo aveva promesso a maggio: nella prima settimana di ottobre lo IOR avrebbe pubblicato il suo rapporto annuale. Qualcosa di più della mera pubblicazione del bilancio (già sul sito internet dell’Istituto dal 30 luglio) che lo avrebbe reso più credibile agli occhi del mondo finanziario internazionale. Una novità assoluta nella storia della cosiddetta “banca vaticana”, che di certo tranquillizza il circuito delle “banche corrispondenti”. Ma che forse – sostiene qualche osservatore vaticano – potrebbe avere un rischio insito in sé: il fatto che lo IOR si comporti come un qualunque istituto finanziario internazionale, praticamente come una banca, non va a strozzare il dibattito sulla natura vera dell’Istituto?

Il dibattito non è solamente filosofico. Quando von Freyberg aveva annunciato che ci sarebbe stata la pubblicazione di un rapporto, ancora Papa Francesco non aveva nominato la commissione referente presieduta dal cardinal Farina. Ma ora la commissione lavora a pieno ritmo, e sembra abbia un lungo lavoro davanti a sé, per definire i compiti e il ruolo dello IOR nella missione della Chiesa e verificare eventuali responsabilità di cattiva gestione. Nel briefing con i giornalisti di ieri, padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, si è lasciato scappare in maniera sibillina un “supposto che lo IOR continui ad esistere”, frase che sembra essere un chiaro segnale che il dibattito sull’esistenza stessa dell’Istituto è stato aperto.

Il rapporto

Il rapporto annuale è di 100 pagine, denso di tabelle. Si riferisce al 2012, e per questo i vertici dello IOR non vogliono dare interviste riguardo quanto è stato fatto. Von Freyberg ha parlato in via istituzionale con Radio Vaticana e l’Osservatore Romano. Non dirà altro. C’è, all’inizio del rapporto, anche un indirizzo del prelato dello IOR, mons. Giovan Battista Ricca, che è stato oggetto di report giornalistici nel quale veniva accusato di essere “il prelato della lobby gay”. I report non sono mai stati ufficialmente smentiti, e Papa Francesco ha detto solo che quelle accuse non c’erano nella indagine previa che gli era stata consegnata. Tanto gli è bastato per confermargli la fiducia. Ricca, ovviamente, non può dire molto riguardo l’Istituto: è appena arrivato.

Si legge nel comunicato stampa dell’Istituto che il rapporto “consta di un’analisi delle operazioni svolte nel 2012, di informazioni sulla corporate governance e sul contesto legale, di una previsione a livello operativo per il 2013 e del rendiconto al 31 dicembre 2012, corredato dei dati del 2011 per un più facile confronto. Il rendiconto è stato sottoposto a revisione contabile e redatto in conformità ai principi contabili International Financial Reporting Standards (IFRS)”.

Gli IFRS sono i principi contabili internazionali  emessi dall’International Accounting Standards Board e omologati alla Commissione europea.

L’utile è di 86,6 milioni di euro, quattro volte quello del 2011. Al 31 dicembre 2012, risultano affidati all’Istituto beni di clienti (inclusi depositi, beni in custodia e gestiti in portafogli) per un valore 6 miliardi 320 milioni 914 euro, per un patrimonio netto di 769 milioni di euro. L’85 per cento di questi beni è rappresentato dagli assets di 5200 istituzioni cattoliche. I dati del bilancio del sito www.ior.va parlano di 18900 clienti, di membri del clero, impiegati o ex impiegati del Vaticano con conti per lo stipendio o la pensione e di diplomatici accreditati presso la Santa Sede, per un totale di circa 1,2 miliardi di euro di depositi. Gli investimenti in titoli hanno fruttato 3.619.310 di euro, molto di più dei quasi 2 miliardi e mezzo del 2011.

Sono cifre che fa bene ripassare, perché segnalano che il “tesoro” dello IOR non è poi di così grande entità.

Come investe i soldi lo IOR?

Come investe i soldi lo IOR? Il comunicato dell’Istituto spiega che lo IOR “protegge i depositi e i beni patrimoniali dei suoi clienti investendo prevalentemente in titoli a tasso fisso, titoli di Stato e depositi a termine sul mercato interbancario. In media, meno del 6 % degli attivi totali è investito in titoli azionari e in fondi gestiti esternamente”.

“La politica d’investimento dello IOR – dice Ernst von Freyberg, in una dichiarazione riportata sul comunicato ufficiale –  è pensata innanzitutto per garantire la sicurezza dei beni affidatici. La nostra attenzione si concentra su una gestione conservativa e una bassa esposizione al rischio”.

Non è una notizia. Già l’ex direttore generale Paolo Cipriani, in un inedito “porte aperte” con i giornalisti a giugno 2012, aveva spiegato in che modo lo IOR proteggeva i depositi dei propri clienti, e come la storia delle “rendite altissime” fornite dalla cosiddetta “banca vaticana” fosse poco più di un mito.

I miti sullo IOR

Ma ci sono da sfatare molti miti, riguardo lo IOR. Il primo è quello di una supposta opacità e segretezza nella rendicontazione. Ci sono state, e ci sono, operazioni sospette. Il presidente von Freyberg avrebbe detto in una recente intervista (che però viene definita dai portavoce dell’Istituto niente più di una ‘conversazione’) che le transazioni sospette rilevate sono in “numero di due cifre”. Ma la politica di pulizia dei conti era partita persino da prima dell’11 settembre, data che è una spartiacque. Prima, i criteri della trasparenza finanziaria erano privi delle raccomandazioni speciali, aggiunte in maniera specifica per evitare il finanziamento del terrorismo.

Basta fare una ricerca di archivio per notare come lo IOR avesse affidato la sua rendicontazione dei conti ad una società esterna già nel 1996. La società designata per la revisione di conti era la Price Waterhouse, e il “Corriere della Sera” salutò la notizia come  “una operazione di immagine di non secondaria importanza, dopo la gestione Marcinkus, che torna utile soprattutto nei rapporti con le ‘centinaia di banche a cui lo Ior deve fare riferimento tutte le volte che ha bisogno di un referente locale per i versamenti agli ordini religiosi”.

Sono le stesse banche corrispondenti cui si risponde oggi, con la pubblicazione del rapporto annuale. Come ha spiegato il presidente von Freyberg in una intervista a Radio Vaticana, lo IOR non fa assolutamente l’attività di una banca, perché “non prestiamo soldi, non facciamo investimenti diretti, non ci comportiamo come una controparte finanziaria… riceviamo soldi in depositi e gli investiamo in titoli governativi, qualche titolo azionario e nel mercato interbancario quando depositiamo nelle altre banche, con un interesse leggermente più alto di quanto riceviamo per poter restituire ai nostri clienti il denaro ogni qual volta lo vogliano”.

Le banche corrispondenti

Per movimentare il denaro, lo IOR si serve di banche corrispondenti, nei quali apre conti correnti dai quali movimenta il denaro. In tempo di stesura della legge antiriciclaggio, le pressioni di parte italiana (presumibilmente non d’accordo con la nuova legge antiriciclaggio che il Vaticano andava scrivendo sotto richiesta di MONEYVAL) arrivarono fino a definire il Vaticano uno stato extra-comunitario non equivalente, il che significava una commissione di 38 euro si ogni bonifico. Lo IOR pare pagò di tasca sua le commissioni per gli istituti religiosi (ancora i primi clienti dell’Istituto) e poi  si adoperò in favore dei clienti, spostando tutti i conti corrispondenti verso la Germania, e chiudendo i rapporti con le banche corrispondenti italiane.

In fondo, però, l’operazione trasparenza era partita da tempo. Dopo la Price Waterhouse, il Vaticano aveva scelto la Deloitte per certificare i propri bilanci. E intanto, dopo l’11 settembre, era partita la procedura know your customer, conosci il tuo cliente: schede su schede erano state mandate ai correntisti IOR, una cosa mai avvenuta prima. Forse c’era stato qualche errore, qualche dato mancante. Ma succede in tutte le banche.

Benedetto XVI ha poi dato un impulso decisivo affinché il percorso della trasparenza finanziaria andasse oltre il mero accordo di buon vicinato con l’Italia, e verso un riconoscimento terzo, trasparente e internazionale, ma nell’ambito del rapporto tra Stati sovrani.

Per questo non si può che plaudire riguardo la sforzo verso la trasparenza totale portato avanti da Enrst von Freyberg. Preoccupato dell’esistenza stessa dell’Istituto, ha persino assunto l’interim della direzione generale, togliendo l’Istituto dall’imbarazzo delle dimissioni (quasi obbligate) di Paolo Cipriani e del suo numero due, e istituendo una figura come il chief risk officer nella figura di Paolo Montaresi e nominando come vicedirettore Rolando Marranci. Quello – dicono dal Torrione Niccolò IV – è stato un momento in cui l’esistenza dell’Istituto è stata a rischio. Come sarebbe a rischio se non si pubblicasse il rapporto nel giorno esatto in cui è stato promesso che sarebbe stato pubblicato: come farebbe lo IOR a essere credibile senza mantenere le promesse?

Il dibattito è sempre aperto

Ma ci sono anche delle domande da porsi. Prima di tutto, se la tempistica della pubblicazione del rapporto sia opportuna. La commissione referente non ha ancora dato un indirizzo allo IOR, alcuni si interrogano ancora sulla necessità di avere un istituto finanziario e altri si chiedono se non sia il caso di trasformarlo davvero in una banca; il consiglio di otto cardinali (finalmente legittimati da un documento ufficiale) si comincia a riunire oggi per pensare a come ristrutturare la Curia, e anche da lì potrebbe venire un indirizzo sul futuro dell’Istituto.

Altro problema sul tavolo: questo sforzo per la trasparenza che ha il sapore di una vera e propria campagna mediatica (ma dal Torrione rifiutano questa espressione, parlano di “trasparenza dovuta”) comporta due rischi fondamentali. Da una parte, quello di enfatizzare il ruolo di società esterne come il Promontory Financial Group, che sta setacciando i conti dello IOR al ritmo di 1000 al mese, perché ci sia una certificazione esterna che i conti dello IOR sono a posto. Dall’altra parte, questo sforzo rischia di strozzare il dibattito sullo status e la reale definizione dello IOR. Perché lo IOR non è una banca, ma in fondo potrebbe dare l’idea che si stia comportando come una banca. Potrebbe questo strozzare la discussione sulla reale entità dell’Istituto?

La missione dello IOR

E allora si deve andare a rileggere il Chirografo (ovvero la costituzione) del 1990, che riformò lo IOR dopo lo scandalo Marcinkus. Perché non ci si deve mai scordare la ragione principale di esistere dello IOR, un istituto ad pias causas, nato per finanziare le opere di religione. “Scopo dell’Istituto – si legge all’articolo 1 del Chirografo  – è di provvedere alla custodia e all’amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati all’Istituto medesimo da persone fisiche o giuridiche e destinati ad opere di religione o di carità”.

Ovvio, c’è stato anche un uso inappropriato della peculiarità dello IOR. Ma è altrettanto vero che lo IOR ha fatto moltissimo, dall’era della presidenza Caloia in poi, per essere una istituzione finanziaria la cui trasparenza fosse accreditata a livello internazionale.

Allo IOR parlano spesso di “incomprensioni”, che in fondo sono state messe sui giornali con frequenza specialmente durante il dibattito sulla riforma (richiesta peraltro dall’Europa)  della normativa vaticana antiriciclaggio. Ma queste incomprensioni che sarebbero già dovute crollare alla pubblicazione del Rapporto di MONEYVAL,  il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’aderenza dei Paesi membri agli standard internazionali sul riciclaggio. I valutatori di MONEYVAL hanno considerato “largamente conforme” agli standard internazionali sia le norme vaticane in materia di segreto, sia quelle sulla cooperazione internazionale.

Senza alcun dubbio, il rapporto aveva eliminato l’idea dello IOR come un posto di opacità e di operazioni illecite, nonché l’idea di una Vaticano che non coopera a livello internazionale, chiuso ai controlli e pieno di misteri finanziari.

Nel rapporto di MONEYVAL l’Istituto non solo è stato giudicato largamente conforme, ma – si legge al paragrafo 39 dell’executive summary, il riassunto dell’intero rapporto – “gli ufficiali dello IOR hanno dimostrato un chiaro impegno e grande consapevolezza per quanto riguarda l’accurata implementazione degli obblighi sotto la legge antiriciclaggio. I valutatori sono stati compiaciuti di notare che le procedure interne stabilite dallo IOR sono andate, in qualche caso, oltre le richieste della legge prima degli emendamenti e delle modifiche introdotte a gennaio 2012. Le loro procedure contenevano parzialmente delle richieste che mancavano o non erano chiare nella precedente legge”.

Non solo: i valutatori avevano considerato largamente conformi agli standard internazionali sia le norme vaticane in materia di segreto sia quelle sulla cooperazione internazionale. Non basterebbe questo a tranquillizzare le banche corrispondenti? Qualcuno potrebbe anche malignamente chiedersi se tutta questa necessità dello IOR di “pubblicizzare” la sua trasparenza non sia un’operazione di immagine, più che di sostanza…

Verso un modello vaticano di trasparenza finanziaria

Perché in fondo l’operazione trasparenza è ancora più ampia, come si vede dalla normativa pubblicata lo scorso 8 agosto, che istituisce un Comitato di Sicurezza Finanziaria. Globalmente, la riforma ha creato un modello vaticano di trasparenza finanziaria, e di questo parlerà la Santa Sede nella plenaria di MONEYVAL il prossimo dicembre, quando farà un rapporto sui suoi progressi ancora più ampio di quanto richiesto dalla normale procedura.

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