Dall’Ecuador i racconti dei cooperanti

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Allarme in tutta l’America Latina per la situazione in Ecuador, dove martedì 9 gennaio il presidente Daniel Noboa, ha dichiarato l’esistenza di un ‘conflitto armato interno’, ordinando all’esercito di smantellare 22 gruppi criminali organizzati transnazionali, definiti organizzazioni terroristici non-statali, dopo che un gruppo armato ha occupato per alcune ore il canale pubblico TC Televisión a Guayaquil, mentre si verificavano disordini in sei carceri e altri atti violenti a Quito e in diverse città.

Al governo di Quito è giunta la solidarietà dei governi latinoamericani, dal Messico all’Argentina, passando per Colombia, Brasile e Cile. Il confinante Perù ha annunciato lo stato di emergenza sulla la frontiera settentrionale del Paese ed inviato le Forze Armate per monitorare la zona insieme alla polizia nazionale; mentre l’Argentina ha annunciato di inviare forze di sicurezza per contribuire a ristabilire l’ordine, definendo la situazione ecuadoregna un problema per il continente.

Sulla situazione del Paese è intervenuta, nei giorni scorsi, anche la Conferenza Episcopale ecuadoregna, rivolgendosi ‘a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che vivono in Ecuador’: “Viviamo tempi di angoscia nel nostro Paese. La criminalità organizzata sta seminando caos e disperazione nella nostra vita quotidiana. La violenza, da qualsiasi parte provenga, deve trovarci uniti, con lo sguardo rivolto al futuro e con la forza necessaria affinché l’Ecuador sia quello che è sempre stato, un luogo di pace, di lavoro, di fraternità”.

I vescovi hanno esortato la popolazione a non cedere al panico: “Non perdiamoci nel panico sterile che fa il gioco dei violenti, dando credito a qualsiasi immagine allarmistica condivisa sui social network, né nell’ingenuità di arrenderci, credendo che questa lotta riguardi solo chi ci governa… Siamo un Paese di fede. Fin da bambini abbiamo imparato che siamo tutti fratelli e sorelle, che chiamiamo Dio Padre; a Lui affidiamo, ancora una volta, l’integrità di ogni buon ecuadoriano e la stabilità dello Stato perché la pace ritorni al più presto. In questo 2024 in cui celebriamo il 150° anniversario della consacrazione del nostro Paese al Sacro Cuore di Gesù, ci impegniamo a favore della vita e della giustizia e Gli chiediamo di salvare l’Ecuador”.

Per questo Caritas Ecuador ha presentato un primo rapporto sulla situazione di violenza e insicurezza che ha investito il Paese, in cui si afferma che le province con la maggiore intensità di violenza sono Guayas (la provincia di Guayaquil), Esmeraldas, Los Ríos, El Oro e Pichincha (la provincia della capitale, Quito). A Guayaquil sono state registrate 11 morti violente, mentre a Esmeraldas, sul Pacifico, nel nord del Paese, otto veicoli sono stati incendiati intenzionalmente in stazioni di servizio e sulla strada E-15 sud Esmeraldas – Atacames e in diversi settori del centro città e dei quartieri.

A Quito una persona è morta carbonizzata e almeno sei minacce di ordigni esplosivi sono state segnalate in diverse zone della città. Quito, Esmeraldas, Guayaquil e Cuenca sono state le città in cui è stato segnalato un alto numero di atti criminali, tra cui scontri e posizionamento di ordigni esplosivi.

La Caritas avverte che gli spostamenti interni forzati, già in atto da diversi mesi, aumenteranno con questa crisi, esponendo le persone in mobilità forzata a condizioni precarie e al rischio di abusi e violenze: “Anche le estorsioni ai danni dei commercianti sono salite alle stelle, soprattutto nelle province costiere. Questo clima di conflitto possa portare a infrazioni dei diritti umani e a crimini di guerra, perché in un simile contesto possono essere commesse gravi violazioni dei diritti umani e crimini di guerra, come esecuzioni extragiudiziali, torture, sparizioni forzate e attacchi contro i civili”.

Secondo alcuni esperti, l’aumento delle violenze in Ecuador è legato a una lotta tra cartelli di narcotrafficanti, sia locali che stranieri, per il controllo delle rotte della cocaina diretta negli Stati Uniti e in Europa. Tale tesi è stata confermata da Andrea Cianferoni, responsabile per la ong ‘Cefa’ in Ecuador dal 2005: “E’ sicuramente una grande delusione vedere l’Ecuador in questo stato. Fino a pochi anni fa aveva il vanto di essere un esempio per l’intero continente latino americano. Negli ultimi anni la situazione è sprofondata e adesso è difficile vedere un futuro”.

I disordini erano però prevedibili: la situazione fuori controllo stava degenerando da anni, con dati che mostrano una forte insicurezza causata dal crimine organizzato. Nel 2022 lo stato sudamericano è stato il decimo Paese più violento dell’America Latina; invece nell’anno appena concluso si è posizionato tra le prime tre Nazioni, superando Honduras, Venezuela e Colombia. A Guayaquil, importante città portuale e al centro del narcotraffico internazionale, si è registrato un aumento degli omicidi del 80% nello scorso novembre:

“Ora le città sono fortemente militarizzate e sembra essersi ristabilito l’ordine. Staremo a vedere nei prossimi giorni e nelle prossime settimane come si evolverà la situazione. Una cosa però dobbiamo dirla: se ci sono state tante occasioni per lo Stato di prendere in mano la situazione e colpire queste bande criminali, questa è una che non può essere persa”.

Anche l’ispettore salesiano in Ecuador, p. Marcelo Farfán, come riportato da Antonio Labanca, addetto stampa di ‘Missioni Don Bosco’, ha raccontato la paura della popolazione: “E’ in preda alla paura. Nel Paese le scuole, la maggior parte delle aziende, delle industrie e delle istituzioni funzionano solo da remoto perché non si sa cosa potrebbe accadere… L’allerta sulla situazione in Ecuador è stata lanciata da tempo ma solamente i fatti recenti l’hanno portata all’attenzione dei media internazionali. E, come accade spesso, cambia il modo di reagire alla violenza manifestatasi a seconda delle analisi che si fanno sulla condizione sociale del Paese”.

Questa esplosione di violenza era nell’aria da tempo: “Il crescente impoverimento della popolazione risultato non solo della pandemia ma anche del calo dei prezzi del petrolio a livello internazionale. L’Ecuador è un Paese dipendente dal greggio. Poi ci sono le politiche sbagliate dagli ultimi tre presidenti, che hanno indebolito la capacità dello Stato di controllare narcotraffico e violenza, riducendo gli investimenti. A tutto questo si è sommata la diminuzione degli investimenti nell’istruzione. Il risultato è che le bande hanno approfittato dell’impoverimento delle famiglie. E dei giovani dei settori popolari senza accesso né al lavoro né all’università”.

Le bande armate sono composte soprattutto da giovani, reclutati dai narcotrafficanti:  “Sono giovani e giovanissimi non addestrati militarmente. Sono espressione della criminalità organizzata e questo, da un certo punto di vista, è più preoccupante perché compiono azioni molto violente e imprevedibili. Una delle strategie dei narcotrafficanti è di offrire gratuitamente la droga ai ragazzi per creare dipendenza, così questi divengono pronti a fare qualsiasi cosa pur di averne. Il pagamento delle loro prestazioni avviene con denaro e sostanze. In Ecuador non c’era grande consumo di stupefacenti, ma negli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziale”.

Per il salesiano l’Ecuador si è impoverito a causa della pandemia del Covid 19, a cui è seguita la diminuzione del finanziamento all’istruzione da parte governativa: “Il 30% vive situazione di povertà, 15% di grave povertà. Il governo ha diminuito il finanziamento per l’istruzione e anche quello per il contrasto al traffico di droga. Il nostro Paese dal 2020 è diventato per i cartelli centroamericani una specie di paradiso per operare senza la pressione delle polizie specializzate che operano negli altri. L’Ecuador è diventato centro di smistamento. La malavita è entrata negli apparati statali, nella magistratura, nella polizia, nella classe politica”.

Ma i salesiani e la Chiesa non abbandonano il campo educativo:  “Quel che vogliamo fare è offrire uno spazio di speranza per chi non ha opportunità. Noi salesiani siamo conosciuti per il nostro lavoro con i ragazzi di strada e con i popoli indigeni. Restiamo fermi sul nostro carisma educativo per dare istruzione e per affrontare la fatica di vivere senza prospettive di occupazione. Grazie a Dio la nostra comunità non incontra ostacoli in questo compito, e non abbiamo registrato nessun attacco ai confratelli. Siamo rispettati, ma non sappiamo come le cose potranno evolvere”.

Ed ecco i numeri di una presenza, piccola ma molto attiva: “Appena 132, ma è presenza significativa con 22 scuole sulla costa, sulle montagne ed in Amazzonia. Abbiamo dato vita ad un’università frequentata da 25.000 studenti a Guayaquil, a Quito e a Cuenca. Organizziamo giornate per giovani in situazioni di vulnerabilità in sette città. Per non dire dei tanti centri parrocchiali. Ma lavoriamo anche con la popolazione indigena dell’Amazzonia, sulle Ande, e con gli afro-discendenti”.

Concludendo p. Marcelo Farfán ha ricordato una ricorrenza importante:  “I primi missionari salesiani sbarcarono a Guayaquil il 12 gennaio 1888 e segnarono una data storica per la presenza della Congregazione nel Paese. Storicamente, l’opera dei Salesiani iniziò il 28 gennaio 1888 quando arrivarono a Quito e presero la responsabilità del Protettorato Cattolico delle Arti e dei Mestieri su richiesta del presidente dell’epoca, José María Plácido Caamaño.

Don Bosco ricevette questa notizia il 30 gennaio, un giorno prima della sua morte. Fu l’ultima missione che benedisse; per questo si dice che il santo dei giovani prese a cuore l’Ecuador perché nel nostro Paese vide ‘realizzato il suo grande progetto missionario’.

La prima opera salesiana nel paese fu l’Istituto Don Bosco, creato il 30 agosto 1896 a Quito. L’opera salesiana si diffuse inizialmente a Riobamba (1891), Cuenca (1893) e Gualaquiza (1894). Successivamente furono fondate opere in altre città come: Guayaquil (1902), Manabí (1927), Indanza (1914), Méndez (1915), Macas (1924), Sucúa (1931) e Limón (1936). Fino al 1893 le case salesiane dell’Ecuador formavano una Visitatoria. Da quest’anno venne eretta in Provincia, anche se il decreto canonico fu pubblicato il 20 gennaio 1902”.

(Foto: Salesiani Ecuador)

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