Roma locuta, causa infinita est

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.12.2023 – Miguel Cuartero] – Roma locuta, causa finita [*]. Così si era soliti risolvere le questioni controverse e le cause aperte all’interno della Chiesa Cattolica: per secoli il pronunciamento solenne di Roma – in particolare del Papa e del suo braccio destro, la Congregazione per la Dottrina della Fede – chiudeva le discussioni con pronunciamenti che chiedevano a fedeli e pastori il religioso ossequio dell’intelletto e della volontà, ponendo fine alle discussioni.

Oggi non è così. Al contrario, i pronunciamenti di Roma sembrano purtroppo aumentare la confusione ed elevare le discussioni a gradi estremamente accesi e concitati (come è successo con l’Esortazione apostolica Amoris laetitia o col Motu proprio Traditionis custodes). Si potrebbe dire “Roma locuta, caos infinito” o “Roma locuta, causa infinita”, come si evince dalle reazioni all’ultima Dichiarazione della Santa Sede a proposito delle benedizioni.

All’indomani della pubblicazione della Dichiarazione Fiducia supplicans del Dicastero per la Dottrina della Fede [QUI] si evidenzia un alto grado di smarrimento e confusione nel mondo cattolico, non solo tra i fedeli ma anche tra gli stessi pastori.

In poche ore le reazioni si sono moltiplicate in tutto il mondo a causa del contenuto “esplosivo” di un documento che rompe con la tradizione bimillenaria della Chiesa e apre alla possibilità di un riconoscimento, da parte della Chiesa Cattolica delle relazioni omosessuali, purché stabili, durature e sinceramente animate dal mutuo affetto e rispetto. Sono queste le caratteristiche che il documento segnala come “ciò che di buono” si può trovare nelle relazioni cosiddette “irregolari”, in cui l’unione affettiva e sessuale si svolge in maniera pubblica AL DI FUORI del matrimonio.

È normale dunque, che un pronunciamento di tale portata, firmato dalle più alte cariche della Chiesa, il Sommo Pontefice e il suo Prefetto per la Dottrina della Fede, scateni una serie di reazioni forti e decise. Non si tratta infatti di una frase pronunciata in aereo, come tante volte il Papa ci ha abituati (ad es. “Chi sono io per giudicare?”), di una intervista “rubata”, di un incontro “privato” a favor di telecamere o di una ambigua affermazione pastorale che si presta a varie e diverse interpretazioni. Non si tratta di uno dei tanti scoop inventati o sfruttati dai media come dal 2013 siamo abituati con tanto di titoli di apertura con il Papa Francesco che “apre ai gay”. Qui si tratta invece di un documento ufficiale dal valore dottrinale, emanato dal Dicastero incaricato di conservare, difendere e diffondere il depositum fidei, un pronunciamento al quale è dovuto l’ossequio di obbedienza.

A reagire in maniera eclatante è innanzitutto, come c’era da aspettarsi, il mondo LGBT. Non quello esterno alla Chiesa (al quale non interessa il giudizio del magistero al quale non riconoscono alcuna autorità morale) ma quello intra-ecclesiale. Entusiasta è stata la reazione del padre gesuita nordamericano James Martin, noto per il suo lavoro di “pastorale LGBT” e del suo attivismo a favore del riconoscimento e legittimazione dell’omosessualità nella Chiesa.

A pochi minuti dalla pubblicazione del documento [QUI] ha entusiasticamente definito Fiducia supplicans come un «un netto cambiamento rispetto alla conclusione “Dio non benedice e non può benedire il peccato” di appena due anni fa» (riferendosi alla nota della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2021, che vietava le benedizioni alle persone dello stesso sesso, emessa sotto l’allora Prefetto Luis Ladaria). Martin ha inoltre annunciato: «Assieme a molti sacerdoti, ora sarò lieto di benedire i miei amici che hanno unioni omosessuali». In una intervista rilasciata al giornale Outreach (giornale di sensibilizzazione della “comunità cattolica LGBT”) ha dichiarato: «Non vedo l’ora di benedire le coppie omosessuali! È una cosa che aspettavo da anni!». Martin ha inoltre insinuato che la sostituzione del Cardinal Ladaria alla guida del Dicastero per la Dottrina della Fede sia stata dovuta a uno “scontento” personale di Papa Francesco per il responsum del 2021 che negava la benedizione alle coppie gay. Una dichiarazione dirompente che parla di una rimozione da una delle più alte cariche di Curia dovuta a uno scontento personale del Pontefice per una questione dottrinale definita, per la verità, dal Cardinal Ladaria con la sua nota con chiarezza e precisione, secondo la fede e la teologia della Chiesa Cattolica.

«There was widespread reaction to that responsum, as the new declaration notes in its opening. In particular, LGBTQ people and their friends and families felt that the focus on such relationships as sinful ignored or rejected their experience of loving, committed and self-sacrificing same-sex relationships. News reports also suggested Pope Francis was himself unhappy with that statement, and eventually the person responsible for its publication was removed from the C.D.F. So the Vatican’s pastoral approach to same-sex couples (as well as other couples not sacramentally married) has clearly shifted in the last two years».

Il 20 dicembre Martin ha postato sui social una foto che lo ritrae mentre benedice una coppia di ragazzi con la didascalia: «Cari amici: ho avuto l’onore di benedire i miei amici Jason e Damian questa mattina nella nostra residenza dei gesuiti, secondo le nuove linee guida stabilite dal Vaticano per le coppie dello stesso sesso. Ma prima di questo, sono stato benedetto dalla loro amicizia e dal loro sostegno».

Sempre in Stati Uniti, il padre canonista Gerald Murray dell’arcidiocesi di New York ha definito il documento “assurdo” e “orribile” in quando un primo passo per ridefinire la dottrina sul peccato nella Chiesa. D’altra parte ha assicurato che il documento porterà ulteriore caos nelle parrocchie e tra i fedeli: «Non è uno sviluppo dell’insegnamento della Chiesa; è una contraddizione e una corruzione di quell’insegnamento». Murray aggiunge un esempio di come la situazione potrebbe evolvere nelle realtà parrocchiali in cui una coppia omosessuale può “esigere” una benedizione della loro relazione perché “Papa Francesco lo ha detto”. «Questa è la contraddizione che stiamo vivendo», conclude Murray.

Ma la reazione più dura viene dal Kazakistan dove due vescovi, l’Arcivescovo di Astana Tomash Peta e il suo ausiliare, il Vescovo tradizionalista Athanasius Schneider, hanno pubblicato una lettera in cui proibiscono ai loro sacerdoti di benedire le coppie che vivono in situazioni morali irregolari [QUI]: «Proibiamo ai sacerdoti e ai fedeli dell’Arcidiocesi di Santa Maria in Astana di accettare o eseguire qualsiasi forma di benedizione di coppie in situazione irregolare e di coppie dello stesso sesso». Allo stesso tempo si rivolgono duramente al Sommo Pontefice per chiedere di revocare tale permesso accordato dal documento: «Con sincero amore fraterno e con il dovuto rispetto, ci rivolgiamo a Papa Francesco che – permettendo la benedizione di coppie in situazione irregolare e di coppie dello stesso sesso – “non cammina rettamente secondo la verità del Vangelo” (cfr. Gal 2,14), per riprendere le parole con cui San Paolo Apostolo ammonì pubblicamente il primo Papa ad Antiochia».

Dopo i vescovi kazaki è stata la volta di quelli africani, che governano la Chiesa in quella “periferia” tanto cara a Papa Francesco. I vescovi del Malawi, della Nigeria e dello Zambia non hanno accettato il pronunciamento di Roma e per prudenza pastorale, nonché per evitare ulteriori confusioni, preferiscono disattendere le indicazioni del Papa e del suo braccio destro. Lo fanno – hanno sottolineato – «in linea con l’immutabile insegnamento cattolico secondo cui la Chiesa non può benedire le relazioni peccaminose».

Molte altre sono le reazioni negative di sacerdoti, che manifestano la loro amarezza per una decisione che è di fatto contraria a ciò che fino ad oggi hanno predicato. Come il giovane sacerdote spagnolo, Jesus Silva, scrittore e molto seguito sui social, che provocatoriamente chiede se sia meglio applicare una “verità senza carità” oppure una “carità senza verità” (quella della Dichiarazione Fiducia supplicans). Allo stesso tempo Silva propone una formula di benedizione delle coppie irregolari “secondo le indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede”: «Signore, benedici i tuoi figli N. e N. e concedi loro di rendersi conto che la loro condizione disordinata non è conforme alla tua volontà, affinché, con l’aiuto della tua grazia possano iniziare a vivere in continenza permanente. Amen». Una formula provocatoria che mostra la necessità di continuare a segnalare e condannare il peccato che un certo “misericordismo” vorrebbe coprire e annullare, nel nome dell’accoglienza e della tolleranza.

Un altro giovane sacerdote e scrittore spagnolo, Patxi Bronchalo, ha espresso la sua preoccupazione per alcune letture aperturiste del documento che prevede di benedire le coppie irregolari [QUI]: «Leggo molto: “Alla fine si tratta di benedire l’amore di due persone che si amano, qual è il problema?” Attenzione a questi ragionamenti perché anche un uomo di 50 anni e una ragazza di 16 anni possono arrivare a chiedere che “si benedica l’amore che hanno l’uno per l’altra”. Direte che dobbiamo benedirli?». Di certo una provocazione molto pertinente perché è una deriva possibile in un eccesso di buonismo cieco che non distingue tra peccatori e peccato benedicendo tutto e tutti.

«Ecce caos!» scrive su X il giornalista vaticanista de Il Foglio, Matteo Matzuzzi, che continua: «La modalità Amoris laetitia che caratterizza Fiducia supplicans è evidente dal fatto che qualche vescovo dice già che non ammetterà alcuna benedizione di tal specie e qualche altro dice che ne darà immediata attuazione». In altre parole: “Roma locuta causa infinita“.

Questo articolo è stato pubblicato dall’autore sul suo blog Testa del Serpente [QUI].

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[*] Roma locuta, causa finita est (Roma ha parlato, il caso è definitivamente chiusa).
L’espressione ha origine da un passo dei Sermoni di Sant’Agostino, riferita alle questioni sottoposte al giudizio della Curia Romana o dello stesso pontefice dopo, per esempio, la condanna da parte del Papa Innocenzo I (401-417) delle dottrine perverse di Pelagio: la sentenza era decisiva, quando il Papa interveniva con la sua autorità petrina (qui la vera infallibilità) e la causa era definitivamente chiusa: «Jam enim de hac causa [Pelagiana], duo concilia missa sunt ad sedem apostolicam. Inde etiam rescripta venerunt: causa finita est; utinam aliquando finiatur error» (Sermones 131, § 10).
Come si nota, la prima parte dell’espressione è solo implicitamente contenuto nelle parole di Sant’Agostino.
Invece, nella sua opera Roma e il Papa nei proverbi e nei modi di dire (edizione nuova del 1904, a pag. 35) Marco Besso osserva: «Questo detto è molto comune nella curia romana per due applicazioni; nel campo ecclesiastico, perché quando una questione è definita dal Papa, non è più questione; nel campo forense, quando dai paesi cattolici si sottoponevano questioni in supremo appello alla Rota Romana, quasi a supremo giudice internazionale, nessun rimedio legale era più possibile dopo il pronunciato della Rota».
I dubbi e le perplessità in materia di fede e di morale non sono qualcosa di noto solo alla nostra generazione di Cattolici. Si può dire che essi siano stati una compagna costante della Chiesa fin dai suoi inizi. Le eresie e gli eretici, così come i facinorosi di ogni genere, sono stati innumerevoli nel corso della storia, e un numero considerevole di essi si trova tra Papi, cardinali e vescovi, cioè tra coloro che dovrebbero guidare nella spiritualità e nella pietà e condurre il loro gregge in quella direzione.
Per quanto il nostro tempo, sembra essere teologicamente confuso, ma non ancora così grave in molte cose, considerando che in passato le teste cadevano letteralmente in diversi intrighi, mentre qualcuno spingeva le idee. Tutto avveniva, ovviamente, nel nome di Dio. Tali intrighi, lontani dagli ideali evangelici, in pratica e infra-strutturalmente, furono quasi sempre sostenuti dal braccio secolare, ma le spade furono estratte e agitate per lo più da uomini di Chiesa. Oggi accade la stessa cosa, anche se in forma virtuale.
È vero cioè che varie istituzioni e diversi gruppi mondani cercano con tutte le loro forze di infangare la Sposa di Cristo e di odiarla davanti al mondo. E stanno facendo dei passi che minacciano seriamente la libertà religiosa e la dignità umana e cristiana dei fedeli. Ma è ancora più vero che quelle spade, che hanno il potere reale di uccidere – l’anima – vengono estratte e brandite all’interno della Chiesa. Succede con tutte le possibili controversie, dispute e litigi dai livelli più bassi a quelli più alti, dalle discussioni su temi religiosi nel mercato – quello reale o quello virtuale – fino alle discussioni di non piccolo conto, che avvengono tra teologi e vescovi, e sono spesso diretti al Papa e al papato.
Se in passato, fino ai tempi più recenti, ci fossero state tali controversie teologiche, tutti gli occhi sarebbero stati rivolti alla Santa Sede e ci si sarebbe aspettata da Roma una Dichiarazione, solitamente dalla congregazione (che era la) più importante della Chiesa Cattolica: la Congregazione per la Dottrina della Fede.
È in questo senso è nota la frase: “Roma locuta, causa finita est”, cioè: Roma ha parlato, il caso è definitivamente chiuso. Ciò significava per secoli, che ogni ulteriore discussione era esclusa e ciò che Roma diceva era diventato autorevole e vincolante per tutti i fedeli.
Oggi però, sembra che questa regola non valga più. Ciò viene confermato soprattutto da diversi casi recenti, che hanno suscitato così tanti dubbi, che la Santa Sede ha deciso di rispondere, mentre le risposte e i documenti sono state accolti da un gran numero di fedeli con un rifiuto e persino il disgusto.
Sotto questa luce, si pone la domanda su quale sia oggi il vero ruolo del Dicastero per la Dottrina della Fede, come custode e difensore del tesoro spirituale della Chiesa, se i fedeli – e non dei singoli, ma dei gruppi più ampi – ne respingono l’interpretazione. Tuttavia, d’altra parte si pone la questione, di come accogliere con obbedienza quell’interpretazione se viene percepita come un attentato alla coscienza, cioè come un violento assordamento della voce di Dio nell’uomo, anzi come un richiesta letterale di rifiutare Dio stesso e i suoi Comandamenti?
Quando si cerca una soluzione e c’è il dubbio sulla giustificazione delle proprie opinioni, il fedele è invitato a basarsi principalmente sull’insegnamento precedente della Chiesa e sulla continuità del Magistero.
Allora, oggi la vecchia massima: “Roma locuta, causa finita est” non solo non è valida, ma in realtà è molto più applicabile: “Roma locuta, causa non finita est”, cioè: Roma ha parlato, (ma) il caso è non finita. Approfondendo ulteriormente la questione, sembra come la situazione possa essere riassunta ancora meglio nella frase: “Roma locuta, causa infinita est”. In altre parole, la reputazione e la forza del Dicastero per la Dottrina della Fede oggi sembrano essere tali che quando Roma parla, il caso rimane incompiuto, reso ancora più complicato con il caos che crea e la risoluzione viene protratta all’infinito.
Chissà, in questo senso, cosa ci aspetta nel futuro prossimo o lontano, con quello che oggi è conosciuto come il Cammino sinodale tedesco, che sembra riversarsi su tutta la Chiesa. Cosa ci aspetta, considerando la serie di deviazioni liturgiche, dottrinali e morali, che ha preso di propria iniziativa. La situazione sembra così grave e distorta che molti, in assenza di una fede ferma nella promessa di Cristo, secondo cui nemmeno le porte dell’inferno prevarranno contro la Chiesa, cadrebbero in una profonda disperazione e sconforto.
Quando l’ortodossia viene messa in secondo piano, dalla stessa istituzione che sarebbe deputata alla sua difensa, nessuna forma di fraternità e misericordia universale che esclude la grazia di Dio, sarà in grado di sostituire con qualcosa di diverso di ciò che rende la Chiesa tale.
Ma anche qui la storia ci è maestra. Ci insegna, che ci sono stati tempi in cui la Chiesa ha quasi toccato il fondo, e poi, per la grazia di Dio e la potenza dello Spirito Santo, si è rialzata e risplendeva in tutta la sua bellezza come la Sposa per suo Sposo. Forse, la nostra generazione non vivrà abbastanza a lungo per vedere questo avvenire, ma certamente – con il nostro lavoro nella vigna del Signore – possiamo contribuire notevolmente a far sì che coloro che verranno dopo di noi possano raccogliere i frutti. Sta solo a noi di cercare con tutte le nostre forze a preservare la nostra fede. E dire con San Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2Timoteo 4,7). Il Signore penserà al resto.

«I capricci di un Prefetto vanesio
stanno facendo perdere l’Africa
a Papa Francesco»
(Matteo Matzuzzi).

La Chiesa Cattolica celebra il 3 giugno la memoria dei Santi Carlo Lwanga e 12 compagni, martiri ugandesi, tra i quattordici e i trent’anni di età, che vennero uccisi in maniera atroce nel 1886 a Namugongo in Uganda. Furono martirizzati non tanto perché Cristiani ma perché il rifiutarono, in quanto Cristiani, di accondiscendere ai desideri omosessuali del Re di Buganda, Mwanga II.

Santi Carlo Lwanga e compagni,
pregate per noi.

San Tommaso Moro ha aderito tenacemente alla tradizione della fede ricevuta dal Vicario di Cristo sulla terra in un’epoca in cui tanti tradivano e abbandonavano la fede apostolica. Nel suo processo del 1° luglio 1535, San Tommaso Moro rimase fermamente fedele alla viva Tradizione della Chiesa, che gli proibiva, in coscienza, di riconoscere Re Enrico VIII come Capo Supremo della Chiesa. Quando il Cancelliere lo riprese citandogli l’accettazione del titolo da parte di tanti vescovi e nobili della nazione, Tommaso Moro replicò: «Milord, per ogni vescovo che condivide la vostra opinione, io ho cento santi che stanno dalla mia parte; e a cambio del vostro parlamento – Dio solo sa di che sorta – io ho tutti i Concili Generali di mille anni di storia».
I martiri inglesi hanno preferito dare le loro vite in martirio piuttosto che rinunciare al loro tesoro più grande e duraturo, la vita del Cristo vivo per noi nella Sua santa Chiesa.

San Tommaso Moro,
prega per noi.

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