La missione pastorale nelle ‘aree interne’: a colloquio con mons. Felice Acroccca

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Nei mesi scorsi alcuni vescovi, provenienti da varie regioni italiane, hanno partecipato a Benevento alla terza tappa di un percorso, volto a riflettere sulle ‘aree interne’, che sono territori distanti dai servizi essenziali e spesso penalizzati nell’assegnazione delle risorse; territori esposti ad un processo di decremento progressivo della popolazione, che rischia di comprometterne le ricchezze ambientali e culturali, unendo il punto di vista del tessuto sociale con le problematiche e le opportunità pastorali.

La cornice di fondo è stata assicurata dalla riflessione teologico-pastorale di mons. Roberto Repole, arcivescovo di Torino e Susa, con un intervento focalizzato sull’esercizio del ministero ordinato alla luce del mutamento ecclesiologico operato dal Concilio Vaticano II:

“Sono passaggi che comportano un nuovo modo di concepire la figura del presbitero, a partire dalla rivisitazione del suo servizio di presidenza. Si tratta di considerare il ministero ordinato come differenziato e articolato al suo interno; di considerarne le possibili analogie con il ministero episcopale; di immaginare nuove ministerialità laicali”.

Per questo il segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, ha incoraggiato ad assumere la missione ecclesiale di favorire l’incontro con Gesù Cristo all’interno delle concrete situazioni in cui la gente si trova a vivere: “Serve una nuova spinta creativa che, alla luce della mobilità odierna, attivi pensieri, percorsi ed esperienze all’insegna della comunione e della solidarietà”.

A distanza di alcuni mesi il vescovo di Benevento, mons. Felice Accrocca, ha delineato la fisionomia del ministero ordinato: “Credo che per capire la fisionomia del ministero ordinato (vescovi, presbiteri, diaconi) bisogna necessariamente porsi all’interno dell’orizzonte tracciato dal Vaticano II, vale a dire, come ha detto mons. Roberto Repole, ‘in una dimensione di diaconia nei loro confronti e della Chiesa tutta’.

Le novità apportate dal concilio in ordine al ministero episcopale (‘pienezza del sacramento dell’ordine’, come recita al n^ 21 la Costituzione dogmatica sulla Chiesa ‘Lumen Gentium’), chiedono infatti di leggere anche la figura del presbitero non in funzione prettamente liturgico-cultuale, ma in relazione al triplice munus, di insegnamento, cioè, di santificazione e di governo”.

In che cosa consisterebbe l’esercizio del ministero ordinato nelle zone interne?

“Non so dare in quattro e quattr’otto la risposta che stiamo invece affannosamente cercando, e forse non c’è una risposta sola, perché i contesti sono diversi e quindi anche le risposte. Credo però sia foriera di ulteriori sviluppi la proposta avanzata da mons. Repole, che prospetta di leggerlo piuttosto nella logica ‘della episcopé, ovvero della sorveglianza, che non dell’azione diretta e immediata su ogni questione’. Vescovi e sacerdoti hanno il carisma della sintesi, non la sintesi dei carismi”.

Quanto sono importanti per la Chiesa le ‘aree interne’?

“Possiamo dire che è stata proprio la Chiesa ad accendere i riflettori sulla questione. Già nel maggio 2019 i vescovi della metropolia di Benevento sottoscrissero un documento (‘Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli Amministratori’) che metteva a fuoco il persistente e grave ritardo nello sviluppo delle cosiddette ‘aree interne’, esortando ad agire con una progettualità profetica, con ‘un progetto strategico di lunga gittata che miri a privilegiare l’interesse comune, il quale solo può consentire il benessere di tutti, singole persone come enti locali’. Non volevano invadere il campo, ma proporre un metodo che, in politica come in economia, tenesse fermo il primato della comunione”.

Quale ruolo avrà il sacerdote nelle ‘aree interne’?

“Credo sia molto stimolante la proposta di mons. Repole, che prospettava un ministero nella linea dell’episcopé, cioè di una sorveglianza, esercitata non nella linea di un potere assoluto, ma nel voler preservare la comunità cristiana da ogni possibile deragliamento della Chiesa dalla testimonianza apostolica”.

Cosa significa ‘lavorare’ con una logica di rete?

“Anzitutto acquisire la capacità di lavorare insieme, nella convinzione che il poco di molti è meglio del molto di pochi. Quest’ottica di lavoro è ancor più urgente nelle zone interne dove è molto facile trovare piccole parrocchie che non possono portare avanti da sole tante attività, perché non dispongono delle forze necessarie: torna quindi in primo piano la questione delle cosiddette ‘zone pastorali’, rimaste in gran parte, purtroppo, un discorso di scuola. Lavorare insieme richiede una disponibilità al confronto sincero, a mettersi in discussione, a valutare ogni cosa, come dice l’Apostolo Paolo (1Ts 5,21), per tenere ciò che è buono”.

Come è possibile porre attenzione alla cura delle relazioni per il cammino delle comunità?

“Credo che, proprio sviluppando una logica di rete, i ministri ordinati possano avere più tempo da dedicare alla cura delle relazioni. Ancora mons. Roberto Repole citava Karl Rahner, che già negli anni ’60 vedeva il servizio caritativo del diacono volto soprattutto ‘alla tessitura e alla cura delle relazioni e della formazione di una comunità umana’”.

(Foto: Diocesi di Benevento)

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