Eraldo Affinati: la scuola di don Lorenzo Milani si fonda sull’amicizia

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“Non limitiamoci a spiegare il programma e mettere i voti. Proviamo a fare domande di cui noi stessi non conosciamo la risposta. La scuola non dovrebbe essere un luogo separato dalla vita, bensì la sua intensificazione”: ‘Il sogno di un’altra scuola’ di Eraldo Affinati racconta la storia di don Lorenzo Milani ai ragazzi.

Affinati immagina di trovarsi in una classe ideale, composta da ragazzini dai 12 anni in su; c’è Tao, 16 anni, cinese, che a scuola va meglio in italiano che in matematica ed è appassionato di computer; Amina, 15 anni, di origine bengalese; Mohamed, 13 anni, nato in Italia da genitori africani, frequenta la terza media a Bari e gioca a bene a pallone nel ruolo di centrocampista; Romoletto, 16 anni, che vive in una borgata romana, è stato espulso da scuola e non sa che cosa fare; Manuela, 15 anni, di Forlì, studiosa e simpatica; ed infine Sofia, 12 anni, frequenta la seconda media ad Ancona e chiacchiera volentieri.

Eraldo Affinati (insegnante e scrittore, che insieme alla moglie Luce Lenzi nel 2008 ha fondato la Penny Wirton, una scuola di italiano gratuita per migranti che conta ormai 54 sedi in Italia)  riunisce virtualmente attraverso la scrittura ragazzi incontrati lungo il suo percorso di maestro ed educatore:

“Oltre ad aver dimostrato molto interesse per don Milani mi hanno aiutato a scrivere il testo: se non ci fossero stati loro, il libro non sarebbe così, al punto che li considero coautori, proprio come pensava il priore di Barbiana dei suoi studenti quando li guidò nella composizione di ‘lettera a una professoressa’. Un libro per ragazzi, ma anche per insegnanti, per offrire a tutti uno strumento per approfondire questa figura”.

Partendo da questi spunti di riflessione abbiamo chiesto al prof. Eraldo Affinati di spiegarci l’importanza della lezione di don Milani per la scuola, a 100 anni dalla nascita: “Sono tante le provocazioni che ci ha lasciato don Milani, ma se dovessi citarne soltanto una tornerei al tema sempre spinoso della valutazione.

Secondo il priore di Barbiana non bisogna premiare soltanto il traguardo raggiunto dagli scolari, bensì tenere sempre presente la stazione di partenza di ognuno, senza fare le parti uguali fra diseguali. Pierino e Gianni, i due personaggi simbolo di ‘Lettera a una professoressa’, sono molto diversi, non possiamo trattarli allo stesso modo.

E poi, nel momento in cui riconosciamo il merito del singolo alunno, non dovremmo staccarlo dal resto della compagnia, ma metterlo in relazione con gli altri che non hanno corrisposto alle nostre attese”.

Perché il suo metodo educativo si fondava sull’amicizia?

“Se il docente non crea un rapporto di reciproca fiducia in aula, fra lui e i ragazzi e all’interno dello stesso gruppo classe, niente di buono potrà accadere. Bisogna puntare sulla qualità della relazione umana. Con amicizia, sì, ma non solo. E’ necessario anche essere maestri. Dobbiamo stare insieme agli adolescenti, condividendone passioni e sconforti, e di fronte a loro, incarnando il limite che devono rispettare”.

Quanto erano importanti le parole per don Milani?

“La conoscenza e l’interpretazione delle parole erano a suo avviso preliminari a ogni rapporto umano. Se non avessimo una dimensione verbale ben strutturata, perfino le nostre emozioni rischierebbero di essere grumi emotivi. Vale anche il contrario: se le parole non sono legittimate dalla vita, diventano sterili. Don Milani guidava i suoi studenti verso un’esperienza integrale della realtà, anche in questo senso è stato un antesignano”.

Quindi don Milani è l’uomo del ‘futuro’?

“Di sicuro comprese cose che noi ancora oggi stentiamo a far nostre: sul ruolo della scuola, come intensificazione dell’esistenza; sulla Chiesa, che dovrebbe rinnovare il proprio linguaggio; sulla politica, troppo spesso schiacciata nella ricerca del consento; sulla responsabilità dell’uomo nei confronti della storia in cui vive: se, ad esempio, pensiamo al suo pacifismo e a come riuscisse a conciliarlo con lo spirito critico, ci rendiamo conto di quanto oggi sia attuale. Don Milani è stato un sacerdote, un profeta, un maestro e un grande scrittore epistolare, nel solco più puro della letteratura italiana, pensando a Petrarca, santa Caterina da Siena e Ugo Foscolo”.

E’ possibile un’altra scuola?

“Io dico di sì, da costruire anche all’interno di quella vecchia. Il famoso ‘I care’ resta decisivo perfino se hai di fronte trenta alunni, in quanto i ragazzi capiscono se tu stai facendo sul serio: magari all’inizio ti sfidano e si contrappongono, ma poi, a tempi lunghi, riconoscono l’autenticità dell’adulto che li ha formati”.

Per la scuola è possibile una ‘scrittura collettiva’?

“Oggi siamo di fronte alla rivoluzione digitale che ha cambiato tutte le carte in tavola. Ma il lavoro sulla scrittura resta indispensabile. Noi ce ne rendiamo conto nelle scuole ‘Penny Wirton’ per l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, quasi sessanta associazioni in ogni parte d’Italia: quest’anno ho assegnato ad ogni scuola una parola a cui ispirarsi per scrivere un racconto. I migranti hanno risposto con grande entusiasmo: ne è venuto fuori un atlante di voci che presto pubblicheremo”.

Oggi chi sono i ‘ragazzi’ di Barbiana?

“Oggi i ragazzi di Barbiana si chiamano Mohamed e Kadigia, vengono da tutto il mondo e hanno lo stesso problema linguistico che avevano i piccoli scolari dell’Appennino toscano ai quali si rivolgeva il priore, ma adesso su scala planetaria. Portano qui lo stesso scandalo della mancanza della parola che don Milani voleva curare.

Imparare l’italiano per loro significa capire cosa hanno vissuto. Molti lo faranno per la prima volta nella nostra lingua, quindi il nostro compito, rendendoli padroni della lingua, è quello di aiutarli a ricostruire il pensiero e la personalità. Oggi tocca a noi asciugare le lacrime, curare le ferite e insegnare a questi ragazzi a diventare grandi”.

In quale modo gli insegnanti potrebbero ‘utilizzare’ la lezione di don Milani?

“Non limitiamoci a spiegare il programma e mettere i voti. Proviamo a fare domande di cui noi stessi non conosciamo la risposta. Cerchiamola insieme ai nostri studenti”.

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