Carlo Urbani, il medico che ha identificato la SARS sacrificando la vita

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Carlo Urbani è stato un medico e microbiologo italiano; fu la prima persona a identificare e classificare la SARS o polmonite atipica esplosa tra il 2002 e il 2003, che fu la causa della sua morte, a Bangkok il 29 marzo del 2003.

Vent’anni dopo, questo volume nasce non solo per raccontare il ‘medico della SARS’ ai più giovani, a chi il suo nome lo conosce solo per le scuole o vie a lui intitolate, ma soprattutto per conoscere Carlo Urbani dalle parole di chi lo ha conosciuto ed è testimone della sua forza umana e professionale, per raccontare quanto lui continui a camminare ancora con le gambe di amici, colleghi, conoscenti, che danno ancora futuro alla sua opera, a quel protocollo che ha permesso fino a oggi, in un mondo segnato dalla pandemia SARS-CoV-2, di salvare milioni di vite.

Questo libro del giornalista Vincenzo Varagona, presidente nazionale dell’UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana), presentato al Salone del Libro di Torino, racconta ‘L’eredità di Carlo Urbani’, ovvero cos’è successo in questi 20 anni nei quali si è continuato a parlare di lui. A lui sono state intitolate scuole e ospedali.

Nel libro Varagona lo racconta attraverso le parole di coloro che lo hanno conosciuto direttamente come ‘amici colleghi e conoscenti… arrivando a tanti cuori anche in modo inaspettato’. Nel libro sono presenti anche testimonianze di persone che sono rimaste affascinate dalla figura di Carlo, dal suo esempio, pur non avendolo conosciuto direttamente:

“Tante storie sono nate in questo modo imprevedibile. Non ci stancheremo mai di raccontare la figura del medico di Castelplanio perchè è incredibile vedere come gli occhi dei ragazzi si illuminano, si riempiano di energia quando entrano in contatto con la sua testimonianza. Sono attratti dall’esempio di un uomo che ha avuto il coraggio di inseguire i suoi sogni”. La prefazione è di Tedros Adhanom Ghebreyesus, la presentazione di Roberto Burioni.

A lui chiediamo di raccontarci quale è l’eredità di Carlo Urbani a 20 anni dalla morte: “Ci sono due generi di eredità: la prima è costituita dalla sua ‘mission’, che è stata essenzialmente garantire l’accesso ai farmaci essenziali alle popolazioni più fragili ed, insieme, arrivare a questo traguardo attraverso la formazione di figure sanitarie locali, evitando facili colonizzazioni.

Questa mission è stata interrotta dalla morte di Carlo e non sono tante le realtà che  lavorano in questa direzione. C’è l’Aicu, con i suoi mezzi, che non sono certo imponenti. L’altra eredità è certamente il protocollo elaborato sulla sua pelle per combattere la Sars e che è diventato, con l’Oms, il protocollo Urbani antipandemia”.

In cosa consiste questo protocollo?

“Lo abbiamo avuto sotto gli occhi almeno per due anni. Si tratta di tutte le complesse misure che Urbani ha ritenuto necessarie per consentire di isolare il virus e impedirne quindi la diffusione. Sono misure poi codificate attraverso i decreti dei vari governi. L’isolamento dei reparti dove il virus si è manifestato, il fermo dei vettori attraverso i quali il virus gira (aerei, treni, auto…); l’adozione di tutte le misure di protezione personale, come le mascherine, la pulizia costante delle mani…

Aggiungiamo la decisione, in quel lontano 2003, di affidare a una serie di laboratori internazionali l’esame dei suoi tessuti polmonari, in modo da arrivare velocemente a identificare il virus e tutte le contromisure relative”. 

Ma Carlo Urbani era un eroe?

“La domanda è interessante. La risposta parte da un dato: la famiglia non desidera venga pronunciata questa parola. Carlo è stato sicuramente un ‘grande’, perchè non può non essere grande una persona che riesce a salvare milioni di uomini e donne. Era, tuttavia, una persona molto semplice, dalla grande umanità e con alcune debolezze che oggi ci fanno sorridere, come la paura dei cani, delle bestie feroci.

Come evitare di definire eroe una persona che salva interi paesi? Che si trasforma in diplomatico per convincere capi di stato circa la necessità di applicare il famoso protocollo? Un pò lo è stato, restando una persona normalissima”.

Cosa potrebbe insegnare ai giovani la vita di Carlo Urbani?

“Non a caso il messaggio di Carlo che più colpisce è l’essere stato capace di tradurre i suoi sogni in vita vissuta. Questo resta anche il messaggio che più colpisce i ragazzi nelle scuole. Da una parte figure importanti, come papa Francesco, che dice: ‘Non fatevi rubare i sogni’; dall’altra Carlo che testimonia come, con la determinazione e le idee chiare, si possa ottenere questo risultato. Un messaggio formidabile”.

Carlo Urbani invitava a ‘guardare oltre’: quale era la sua visione del mondo?

“Il suo sogno era un mondo senza diseguaglianze, in cui a tutti sia offerta la stessa possibilità di vivere una vita dignitosa. Non aveva esitato a cercare di arrivare alle leve del potere, inteso come servizio al prossimo, per raggiungere questo risultato. Così era diventato presidente italiano di MSF e poi ancora dirigente OMS, aveva ricevuto a Oslo il Premio Nobel. Grandi cose, ma non pensava affatto di essere ‘arrivato’. I suoi traguardi erano ancora lontani”.

A 20 anni dalla morte cosa resta del suo ‘insegnamento’?

“Resta tutto. I suoi traguardi sono lontani anche oggi, con altre due pandemie (ebola e covid 19) che hanno accresciuto le distanze sociali e le polarizzazioni delle risorse, sempre più in mano a pochi. Sarebbe miope, tuttavia, concludere che non sia servito a nulla.

A Castelplanio (AN) è nato il museo Carlo Urbani, inaugurato dal direttore generale OMS Tedros Ghebreyesus. L’hanno voluto, possiamo dire, i tanti studenti affascinati dalla figura di Carlo, che cercavano un punto di riferimento nel suo paese. Ognuno di noi sa che grazie alle proprie testimonianze si getta un seme. Nulla è inutile. Speriamo, un giorno, di raccoglierne frutti abbondanti”.

(Tratto da Aci Stampa)

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