Paolo Curtaz racconta la ‘vivacità’ della Chiesa europea
“Lo stile sinodale consente anche di affrontare le tensioni in una prospettiva missionaria, senza rimanere paralizzati dalla paura, ma traendone l’energia per proseguire lungo il cammino… Sappiamo che tutto questo è possibile perché lo abbiamo sperimentato durante questa Assemblea, ma ancor di più perché lo testimonia la vita delle Chiese da cui proveniamo. Pensiamo qui in particolare al dialogo ecumenico e interreligioso, la cui eco è risuonata con forza nei nostri lavori.
Ma soprattutto crediamo che è possibile perché c’è di mezzo la grazia: costruire una Chiesa sempre più sinodale, infatti, è un modo per dare concretezza all’uguaglianza in dignità di tutti i membri della Chiesa, fondata nel battesimo che ci configura come figli di Dio e membri del corpo di Cristo, corresponsabili dell’unica missione di evangelizzazione affidata dal Signore alla sua Chiesa”.
Partiamo dalle raccomandazioni conclusive del sinodo continentale europeo, svoltosi nello scorso febbraio a Praga, per chiedere ad uno dei partecipanti, il teologo ed ‘evangelizzatore’ free lance Paolo Curtaz, di raccontarci il ‘clima’ sinodale vissuto nella capitale della Repubblica Ceca:
“A Praga si sono radunati i rappresentanti dei 45 Paesi europei, radunati in 39 conferenze episcopali, per fare questa riflessione sulla fase continentale del Sinodo. Ogni Conferenza episcopale aveva tre delegati in presenza e fino a 10 delegati online; quindi eravamo 220 persone in presenza e 280 persone online; io ero tra questi ultimi.
Sono stato inviato, anche se facevo parte della delegazione del Lussemburgo, come uno dei cinque rappresentanti europei del cosiddetto Sinodo ‘digitale’. Il clima è stato di grande attesa, di grande responsabilità ed anche di grande vivacità all’interno di questa assemblea molto impegnativa, che è durata quattro giorni”
La Chiesa europea è una chiesa dell’ascolto?
“Sono rimasto profondamente colpito da questa esperienza, perché sappiamo bene cosa c’è in gioco. Papa Francesco ha voluto coinvolgere, nei limiti del possibile, tutta la Chiesa sulla riflessione del come prendere decisioni sinodali, che finora erano di fatto delegate al Sinodo dei vescovi.
Quindi dopo la prima fase, in cui c’è stato l’ascolto di tutte le componenti della realtà cristiana mondiale con l’elaborazione del documento su cui si è riflettuto e si sta riflettendo a livello continentale, ho proprio avuto la percezione di una sfida improba nel riuscire ad ascoltare dal ‘basso’le comunità quella che è la reale situazione sul ‘campo’. Quindi direi che l’iniziativa stessa di provare ad ascoltarsi è già in sé un evento”.
Quale visione di Chiesa è emersa?
“La prima percezione che ho avuto, ascoltando le relazioni delle 39 Conferenze episcopali, che avevano a disposizione sei minuti ciascuna per relazionare (anche le’piccolissime’ come la diocesi di Monaco oppure Cipro), da queste sintesi, a cui tutti abbiamo assistito per poi discuterne nei gruppi di ascolto, è stata di una grande vivacità di Chiesa, anche a livello europeo.
Soprattutto (devo ammettere che non ne ero a conoscenza della portata di questa differenza) sono emersi due grandi ‘blocchi’ di temi e di riflessioni. Uno più legato alle Chiese ‘storiche’(quelle nazionali più grandi come Italia, Francia, Spagna, Germania, Irlanda, Austria, che sono Chiese ancora molto presenti, nonostante tutto), che manifestavano due tipi di difficoltà:
la prima nel confronto con la secolarizzazione anche a causa di alcune posizioni della Chiesa, che vengono percepite come fuori dal tempo (come il coinvolgimento delle donne all’interno delle decisioni ed, in maniera più marginale, le posizioni verso le comunità lgtbq), ma anche un forte clericalismo che viene denunciato da queste comunità, diciamo, più occidentali.
Un altro elemento presente in queste comunità, soprattutto in queste Chiese nazionali, è la portata dello scandalo della pedofilia, che ha minato radicalmente la credibilità della ‘struttura’, ma non degli uomini di Chiesa. Chiese locali come quella irlandese, francese, tedesca o nord-occidentali vivono questa profondissima ferita come determinante per riuscire ad essere credibili nel parlare nuovamente di Gesù Cristo.
Accanto a queste preoccupazioni per me la scoperta delle Chiese orientali (Chiese ‘giovani’, nate dopo la caduta del comunismo o rinate), quasi sempre in minoranza (la Chiesa bulgara ha solo 40.000 cattolici), che si pongono problemi ben diversi dai nostri, come la paura emersa nella Chiesa polacca di cedere alla logica del mondo, facendo predominare la pastorale rispetto alla teologia, cioè di non cedere alle ‘mode’ di cambiare la dottrina.
In questa tensione, tutta particolare tra fedeltà al deposito del Vangelo e capacità di ascoltare le difficoltà e le richieste delle singole Chiese locali, che si trova il percorso della Chiesa europea in questo momento. Quindi ribadisco che mi sono accorto di quanto sia profondamente variegata la Chiesa europea e questa, per me, è una grande ricchezza. Molto di più di quanto mi immaginassi”.
A quali sfide sono chiamate le Chiese europee?
“Il tema del Sinodo è la sinodalità: come decidere e come esercitare l’autorità all’interno della Chiesa? Interessante, perché le Chiese orientali (alcune di esse hanno la liturgia bizantina, pur essendo cattoliche) hanno già un’esperienza di sinodalità.
Credo che la grande sfida di papa Francesco sia stata proprio quella di dire che è possibile parlarsi in maniera molto franca; è stato interessante, perché nei lavori di gruppo o nelle relazioni delle Conferenze episcopali emergevano tutte le diversità.
Ma la sfida, come narrato negli Atti degli Apostoli della prima comunità a Gerusalemme, è quella di non separare o creare divisioni. E’ ovvio che le Chiese occidentali sono più sensibili a temi, che le Chiese orientali non sentono come priorità.
La grande sfida in assoluto della Chiesa europea è quella di ritornare all’ essenziale senza cedere alla ‘moda’, ma senza chiudersi alla novità”.
E’ possibile costruire una Chiesa sinodale?
“Credo che il primo passo è stato fatto! Vedo nella concretezza delle nostre realtà parrocchiali e diocesane italiane c’è molto cammino da fare, anche solo rispetto alla sensibilità delle nostre Chiese nazionali vicine.
Credo che lo stile della sinodalità, quindi il fatto di mettersi in ascolto spirituale dell’altro e di trovare punti di convergenza, ma anche di ammettere punti di tensione, che vanno inglobati, sia il futuro della nostra Chiesa per superare l’irrilevanza ed un clericalismo, che ancora molto sviluppo dell’evangelizzazione e per affrontare le grandi sfide di inclusione, di ascolto e di condivisione che il Signore ci ha affidato”.