Sua Riverita Eccellenza dopo 5 anni ci riprova con la sua pataccata – Parte 1
[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.11.2022 – Vik van Brantegem] – Ecco, Carlo Calenda (secondo Wikipedia “un politico e dirigente d’azienda italiano, senatore della Repubblica e segretario del partito Azione) è clamorosamente scivolato su delle vecchie patacche, riscaldata (male) con Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la miniserie diretta da Mark Lewis, con l’accompagnamento di Andrea Purgatori e diffusa da Netflix. «Quattro appuntamenti per mettere insieme i pezzi di un mosaico impossibile» (ANSA). Tanto clamore mediatico, a livello internazionale, fondato sul nulla, creato con il disordine informativo.
Siamo grato a Calenda per il tonfo che ha fatto, perché ci ha riportato alla memoria la pataccata di Emiliano Fittipaldi di cinque anni fa, del 18 settembre 2017, per il lancio del suo libro patacca Gli impostori, scritto su quella falsa-riga. Ne ho scritto tanto a suo tempo – come anche in generale sul “giallo” della scomparsa di Emanuela Orlandi – sul mio diario Facebook (non c’era ancora il Blog dell’Editore). Sulla questione ho scritto l’ultima volta un anno fa, il 29 novembre 2021 con l’articolo Torna il giallo Orlandi. Giancarlo Capaldo: «Dal Vaticano ci fu disponibilità a trovare il corpo». La famiglia di Emanuela chiede alla magistratura vaticana di riaprire il caso e di sentire l’ex magistrato [QUI]. Prendendo spunto dal clamore succitato da Calenda per le pataccate riciclate, oggi iniziamo una serie di 6 articoli sulla pataccata del 18 settembre 2017, di cui nel frattempo avevamo perso la memoria.
«Non risulta che sia stato nascosto nulla,
né che vi siano in Vaticano “segreti”
da rivelare sul tema»
(Padre Federico Lombardi, S.I.).
Partiamo con quanto pubblicato ieri da Nico Spuntoni su La Nuova Bussola Quotidiana (La serie TV. Orlandi, Calenda credulone si beve le patacche di Netflix). Poi, proseguiamo nei giorni successivo riprendendo quanto pubblicato su Facebook cinque anni fa, sulla pataccata regina del “documento” falso diffuso da Fittipaldi. Come un pataccaro, anche uno smascheratore di pataccate può riciclare il suo lavoro del passato, non vi pare?
Iniziamo a ricordare che il complesso fenomeno del “disordine informativo”, cioè la divulgazione di contenuti non veritieri, si evidenzia in tre tipi di informazioni false, diffuse con o senza intento malevolo:
- Malinformazione: consiste nella circolazione di informazioni basate su fatti realmente accaduti, ma strumentalizzati ad hoc al fine di recare danno a persone, istituzioni o intere comunità.
- Misinformazione: una variante informativa priva di attinenza al reale, con la divulgazione di contenuti non veritieri senza alcun intento malevolo, quindi, diramata senza lo scopo intrinseco di rendere virale un contenuto falso.
- Disinformazione: una tipologia di informazione di stampo volutamente fittizio, che ha come scopo malevole il trarre in inganno singoli individui, organizzazioni collettive o intere comunità. La disinformazione si verifica quando le informazioni percepite da un soggetto possono non corrispondere alla stessa intenzione per cui esse sono state diffuse, confondendo e/o modificando le opinioni di qualcuno o dell’intera opinione pubblica verso una persona, un argomento, una situazione.
Una bufala (o sòla, o patacca), è una fake news (notizia falsa o inverosimile), diffusa a prescindere da qualunque tipo di controllo di veridicità, sulla base del cosiddetto principio della “post-verità” (la condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza: la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della effettiva veridicità dei fatti raccontati; fatti oggettivi – chiaramente accertati – sono meno influenti nel formare l’opinione pubblica rispetto ad appelli ad emozioni e convinzioni personali). Si dice anche “mediatica”, quando la falsa notizia viene diffusa e amplificata dai mass media, involontariamente (misinformazione), a causa delle insufficienti verifiche sulle fonti della notizia, o intenzionalmente (disinformazione).
Poi, non dimentichiamo che la storia umana è piena di misteri, composti di fatti ed eventi famosi e non che sono a prima vista incomprensibili. Ma poi con il tempo vengono alla luce elementi che permettono di capire le cause di quanto accaduto e risolvere i casi. Invece, ce ne sono altri che nonostante le ricerche, le analisi e gli approfondimenti sviluppati nel corso del tempo rimangono misteri incomprensibili e per questo inquietanti, talvolta terribili, che sembrano sfidare le leggi della fisica, della logica e della razionalità. E finché un mistero resta tale, il giallo costruito sopra continua a riproporsi ad intervalli regolari. Finché non arriva un elefante, che sfonda il muro di omertà e di segreti, che fa sgretolare il mistero e risolve l’arcano.
Il pataccaro di turno, un soggetto affetto di disordine informativo, si comporta sì come un elefante che sfonda lo schermo, ma non ha nessuna intenzione di risolvere l’arcano, ma soltanto di rafforzare il mistero… e fare audience, come si fa per vendere abbonamenti ad un programma televisivo o per vendere un libro, con delle pataccate nel disordine informativo.
Ieri, Spuntoni ha asfaltato la più recente (ma non ultima) fatica pataccara in una frase: «Di un famoso programma d’inchieste giornalistiche si dice spesso che lo si apprezza fino a quando non si occupa di un tema che si conosce». E ha concluso, invitando la Santa Sede a non ignorare il clamore mediatico, a livello internazionale, che la serie di Netflix ha provocato, e a ripartire dalla Nota del (allora) Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., “a proposito di recenti affermazioni nella stampa italiana sul Vaticano e il sequestro Orlandi” di 10 anni fa, del 14 aprile 2012, che riportiamo in fondo. Ovviamente, il “giallo” continuerà a ricompare ciclicamente e ciclicamente si risponderà, nel nome della verità e del rispetto per la povera ragazza e della sua famiglia. Tanto è dovuto.
La serie TV
Orlandi, Calenda credulone si beve le patacche di Netflix
di Nico Spuntoni
La Nuova Bussola Quotidiana, 5 novembre 2022
Il neosenatore Calenda garantista a corrente alternata si straccia le vesti per la serie tv di Netflix su Emanuela Orlandi e accusa il Vaticano, la Chiesa e la Santa Sede senza conoscere la differenza tra loro, ma non si accorge che tutta l’operazione è costruita su dei palesi falsi spacciati per giornalismo d’inchiesta. Una critica ragionata e una richiesta – seria – alla Santa Sede: nelle indagini riparta dalla nota del 2012.
Di un famoso programma d’inchieste giornalistiche si dice spesso che lo si apprezza fino a quando non si occupa di un tema che si conosce. La stessa sensazione che potrebbe provocare un personaggio come Carlo Calenda, il leader di Azione smanioso di esibire meritocrazia, garantismo, popolarismo, antiqualunquismo ed approfondimento dei dossier come marchi di fabbrica della sua creatura politica e a cui, però, basta spesso un tweet per contraddirli tutti simultaneamente.
All’ex ministro dello Sviluppo Economico è stato sufficiente vedere la serie Netflix “The Vatican Girl” per spararla grossissima e scrivere solennemente che è “oramai chiaro che il Vaticano sa perfettamente cosa è accaduto a questa povera ragazza di 15 anni” aggiungendo, inoltre, che “il grado di protervia e arroganza delle gerarchie vaticane anche davanti a prove documentali che attestano il coinvolgimento della Santa sede è inaccettabile”.
Non contento, probabilmente a digiuno della differenza giuridica tra Chiesa cattolica, Santa Sede e Città del Vaticano, il ‘competente’ Calenda ci ha tenuto a ricordare che l’Italia è “uno stato laico non una comunità di vassalli della chiesa” e per questo chiederà “al Ministro degli Esteri di attivarsi” sulla vicenda.
Che c’entra il mai discusso principio di laicità dello Stato italiano – definito legittimo già da Pio XII nel 1958, senza voler scomodare le citazioni di Paolo VI e di Benedetto XVI – con questo caso di cronaca nera? Dietro le durissime parole di Calenda si cela un cliché della polemica anticlericale che però è del tutto fuori contesto e che è quantomeno inopportuno vedere sulla bocca del leader di un partito che dice di ispirarsi anche al popolarismo di Sturzo.
Peraltro, occorrerebbe ricordare al neosenatore – che in un successivo tweet si sente di dover precisare: “alla arguta domanda ‘ma che ti frega era una cittadina vaticana’. Il rapimento è avvenuto sul territorio italiano” – che usando la stessa logica da lui adoperata, il suo scomposto j’accuse allo SCV e la richiesta di “attivarsi” che vorrebbe avanzare alla Farnesina potrebbero essere – esse sì – considerate un’indebita ingerenza dal momento che – come ricordato dalla Sala Stampa della Santa Sede tre anni fa – “per ragioni di carattere giuridico l’autorità inquirente vaticana non ha giurisdizione per svolgere indagini sulla scomparsa, avvenuta in Italia, di Emanuela Orlandi”.
Uno scivolone, quello di Calenda, inaccettabile per un senatore della Repubblica e ancor di più per un leader di partito. Inaccettabile per la perentorietà delle accuse non dimostrate e per i toni nei confronti della Santa Sede e di Città del Vaticano (anche se lui tira in ballo persino tutta la Chiesa cattolica!) che sono – lo informiamo – due enti distinti e separati. Nel primo tweet, elogiando il documentario di Neflix, Calenda ha ringraziato in particolare il “lavoro investigativo di Emiliano Fittipaldi”.
Lo stesso giornalista che in campagna elettorale aveva smontato un’accusa di molestie piovuta addosso ad un esponente importante di Azione. In quel caso Calenda aveva dato, giustamente, sfoggio del suo garantismo anche nelle ore più intense del clamore mediatico ed il lavoro investigativo di Fittipaldi su Domani aveva contribuito a fare chiarezza sull’accaduto. Una tempesta che si era spenta sul nascere grazie a Fittipaldi che aveva ricostruito il tutto, carte alla mano.
Purtroppo, però, non si può dire lo stesso delle carte tirate in ballo in “The Vatican girl” e che hanno fatto affermare così perentoriamente a Calenda che “oramai chiaro che il Vaticano sa perfettamente cosa è accaduto a questa povera ragazza di 15 anni”. L’ex ministro del Mise, infatti, fa presumibilmente riferimento al documento di cinque pagine che Fittipaldi ha raccontato di aver ricevuto nel 2017 da una sua fonte e proveniente – a suo dire – dalle carte rubate dalla cassaforte della prefettura degli Affari economici nell’archivio della Commissione Cosea nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014.
Cinque fogli dal titolo apparentemente eloquente: “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”. Talmente eloquente da suonare improbabile. Basta poi soffermarsi sul linguaggio utilizzato per capire che con ogni probabilità ci si trova di fronte ad un falso: nella pretesa degli autori, la lettera doveva essere l’onorario per il mantenimento della ragazza a Londra dal 1983 al 1997, presentato nel marzo del 1998 dall’allora presidente dell’Apsa, il cardinale Lorenzo Antonetti ai vescovi Giovanni Battista Re, all’epoca sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato e Jean-Louis Tauran, segretario per i rapporti con gli Stati.
È sufficiente conoscere l’abc del burocratese curiale per rendersi conto che si tratta quasi sicuramente di un falso: il cardinale Antonetti, che all’Apsa aveva iniziato il suo servizio nel 1977, non si sarebbe mai rivolto ai suoi due confratelli con l’improbabile formula “Sua riverita Eccellenza”. Tutti sanno che in Curia (e non solo) si utilizza “Sua Eccellenza Reverendissima” e di certo lo sapeva Antonetti. Nella serie, peraltro, quando Fittipaldi spiega di essere andato a chiedere informazioni all’ostello londinese dei padri Scalabrini di Clapham Road 176 (a cui arriva per deduzione, perché sulla lettera c’era scritto Chapman Road) in cui sarebbe stata tenuta Emanuela Orlandi, giustifica il nulla di fatto sostenendo che “è chiaro che se ci fosse stata avrebbero utilizzato un altro nome o probabilmente non sarebbe stata scritta al registro”.
Un’osservazione pertinente ma che andrebbe, a rigor di logica, avanzata anche nel caso della nota spese: davvero se il presidente dell’Apsa avesse fatto un onorario di quanto speso tra il 1983 ed il 1997 per la presunta permanenza londinese, si sarebbe spinto a mettere per iscritto che quello era un “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi”, ovvero della ragazza protagonista del giallo irrisolto per antonomasia che tutti cercavano da più quattordici anni?
Inoltre, l’Apsa, tramite una serie di società controllate, è proprietaria sin dal Dopoguerra di diversi immobili nella capitale britannica: perché avrebbe dovuto spendere quei soldi rendicontati per l’alloggio a Chapman Road (che Fittipaldi ha ricollegato di sua iniziativa all’ostello di Clapham Road), peraltro coinvolgendo altri testimoni in una vicenda per cui gli occhi del mondo erano concentrati sul Vaticano, anziché assegnarle una delle sue case?
Queste ultime considerazioni, in ogni caso, appartengono al campo della logica nel quale ci avventuriamo per seguire l’esempio di Fittipaldi con la struttura dei Scalabrini. Quel che è certo, invece, è che quel “lavoro investigativo” apparso nella serie Neflix e per il quale lo stesso giornalista ha utilizzato il condizionale, per un senatore della Repubblica come Carlo Calenda, invece, sembra inchiodare indiscutibilmente la Santa Sede (o Città del Vaticano? o addirittura tutta la Chiesa cattolica?).
Sarebbe interessante sapere dal leader politico che si proclama orgogliosamente garantista quali sarebbero Le “prove documentali che attestano il coinvolgimento della Santa sede”: la nota spese pubblicata dal giornalista da lui lodato nel tweet? Eppure è lo stesso Fittipaldi ad affermare nella serie che il suo contenuto “è talmente grave che mi fa immaginare che non può essere vera”.
L’eccesiva credibilità data ad un documento che un giornalista di lungo corso come Orazio La Rocca non ha esitato a definire una “patacca” non è l’unico punto debole della serie di Netflix. Anzi, ce ne sono molti su cui ritorneremo. Forse è ora che la Santa Sede, di fronte ad attacchi scomposti come quello di Calenda suscitati dalla visione di un documentario in cui non mancano ricostruzioni superficiali ed ingiuste persino su Giovanni Paolo II, rompa il silenzio sull’affaire Orlandi e individui ufficialmente una figura che possa rispondere pubblicamente, punto su punto, alle accuse (ma anche alle domande) che vengono poste.
Sarebbe un errore ignorare il clamore mediatico, a livello internazionale, che la serie di Netflix ha provocato. Perché non ripartire da quella Nota del 14 aprile 2012 firmata dall’allora Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, S.I., che sappiamo – grazie al primo Vatileaks – essere nata dopo uno scambio via mail con il Segretario personale del pontefice allora regnante, Benedetto XVI e che riportava quanto raccolto dall’ascolto degli ultimi testimoni viventi di chi occupava ruoli di responsabilità in Curia nel 1983?
NOTA DEL DIRETTORE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE, PADRE FEDEREICO LOMBARDI, S.I., A PROPOSITO DI RECENTI AFFERMAZIONI NELLA STAMPA ITALIANA SUL VATICANO E IL SEQUESTRO ORLANDI, 14.04.2012
Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede N. 214, 14 aprile 2012
La vicenda del tragico sequestro della giovane Emanuela Orlandi è stata nuovamente richiamata all’attenzione pubblica nel corso degli ultimi mesi da alcune iniziative e interventi che hanno avuto eco sulla stampa, e in cui è stato avanzato il dubbio se da parte di istituzioni o personalità vaticane si sia fatto veramente tutto il possibile per contribuire alla ricerca della verità su quanto avvenuto.
Poiché è passato ormai un tempo considerevole dai fatti in questione (il sequestro avvenne il 22 giugno 1983, quasi trent’anni fa) e buona parte delle persone allora in posizioni di responsabilità sono scomparse, non è naturalmente possibile pensare a un riesame dettagliato degli eventi. Ciononostante è possibile – grazie ad alcune testimonianze particolarmente attendibili e ad una rilettura della documentazione disponibile – verificare nella sostanza con quali criteri e atteggiamenti i responsabili vaticani procedettero ad affrontare quella situazione.
Le domande principali a cui rispondere sono le seguenti:
Le Autorità vaticane del tempo si impegnarono veramente per affrontare la situazione e collaborarono con le autorità italiane in tal senso?
Ci sono ancora elementi nuovi, non rivelati ma conosciuti da qualcuno in Vaticano, che potrebbero essere utili per conoscere la verità?
È giusto ricordare anzitutto che il Papa Giovanni Paolo II in persona si dimostrò particolarmente coinvolto dal tragico sequestro, tanto che intervenne diverse volte (ben otto in meno di un anno!) pubblicamente con appelli per la liberazione di Emanuela, si recò personalmente a visitare la famiglia, si interessò perché fosse garantito un posto di lavoro per il fratello Pietro. A questo impegno personale del Papa è naturale che corrispondesse l’impegno dei suoi collaboratori.
Il Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato e quindi primo collaboratore del Papa, seguì personalmente la vicenda, tanto che, com’è noto, si mise a disposizione per i contatti con i rapitori con una linea telefonica particolare.
Come ha attestato già in passato e attesta tuttora il Cardinale Giovanni Battista Re – allora Assessore della Segreteria di Stato e oggi principale e più autorevole testimone di quel tempo -, non solo la Segreteria di Stato stessa, ma anche il Governatorato furono impegnati nel fare tutto il possibile per contribuire ad affrontare la dolorosa situazione con la necessaria collaborazione con le Autorità italiane inquirenti, a cui spettava evidentemente la competenza e la responsabilità delle indagini, essendo il sequestro avvenuto in Italia.
La piena disponibilità alla collaborazione da parte delle personalità vaticane che a quel tempo occupavano posizioni di responsabilità, risulta da fatti e circostanze. Solo per fare un esempio, gli inquirenti (e soprattutto il SISDE) avevano avuto accesso al centralino vaticano per possibile ascolto di chiamate dei rapitori, e anche in seguito in alcune occasioni Autorità vaticane ricorsero alla collaborazione con Autorità italiane per smascherare ignobili forme di truffa da parte di presunti informatori.
Risponde perciò a pura verità quanto affermato con Nota Verbale della Segreteria di Stato N. 187.168, del 4 marzo 1987, in risposta vaticana alla prima richiesta formale di informazioni presentata dalla magistratura italiana inquirente in data 13 novembre 1986, quando dice che “le notizie relative al caso…erano state trasmesse a suo tempo al PM dottor Sica”. Atteso che tutte le lettere e le segnalazioni pervenute in Vaticano furono prontamente girate al Dott. Domenico Sica e all’Ispettorato di P.S. presso il Vaticano, si presume che siano custodite presso i competenti uffici giudiziari italiani.
Anche nella seconda fase dell’inchiesta – anni dopo – le tre rogatorie indirizzate alle Autorità vaticane dagli inquirenti italiani (una nel 1994 e due nel 1995) trovarono risposta (Note Verbali della Segreteria di Stato N. 346.491, del 3 maggio 1994; N. 369.354, del 27 aprile 1995; N. 372.117, del 21 giugno 1995). Come domandato dagli inquirenti, il Sig. Ercole Orlandi (papà di Emanuela), il Comm. Camillo Cibin (allora Comandante della Vigilanza vaticana), il Card. Agostino Casaroli (già Segretario di Stato), S.E. Mons. Eduardo Martinez Somalo (già Sostituto della Segreteria di Stato), Mons. Giovanni Battista Re (allora Assessore della Segreteria di Stato), S.E. Mons. Dino Monduzzi (allora Prefetto della Casa Pontificia), Mons. Claudio Maria Celli (già Sotto-Segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato), resero ai giudici del Tribunale Vaticano le loro deposizioni sulle questioni poste dagli inquirenti e la documentazione venne inviata, per il tramite dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, alle Autorità richiedenti. I relativi fascicoli esistono tuttora e continuano a essere a disposizione degli inquirenti. È anche da rilevare che all’epoca del sequestro di Emanuela, le Autorità vaticane, in spirito di vera collaborazione, concessero agli inquirenti italiani ed al SISDE l’autorizzazione a tenere sotto controllo il telefono vaticano della famiglia Orlandi e ad accedere liberamente in Vaticano per recarsi presso l’abitazione degli stessi Orlandi, senza alcuna mediazione di funzionari vaticani.
Non è quindi fondato accusare il Vaticano di aver ricusato la collaborazione alle Autorità italiane preposte alle indagini.
Ciò dà occasione di ribadire che è prassi costante della Santa Sede di rispondere alle rogatorie internazionali, ed è ingiusto affermare il contrario (come si è fatto ancora recentemente a proposito di una rogatoria sullo IOR, che in realtà non è mai stata trasmessa alla Segreteria di Stato, come confermato ufficialmente dalle competenti Autorità diplomatiche italiane).
Il fatto che alle deposizioni in questione non fosse presente un magistrato italiano, ma che si fosse richiesto alla parte italiana di formulare con precisione le questioni da porre, fa parte della prassi ordinaria internazionale nella cooperazione giudiziaria e non deve quindi stupire, né tantomeno insospettire (si veda anche l’Art. 4 della Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, del 20 aprile 1959).
La sostanza della questione è che purtroppo non si ebbe in Vaticano alcun elemento concreto utile per la soluzione del caso da fornire agli inquirenti. A quel tempo le Autorità vaticane, in base ai messaggi ricevuti che facevano riferimento ad Ali Agca – che, come periodo, coincisero praticamente con l’istruttoria sull’attentato al Papa – condivisero l’opinione prevalente che il sequestro fosse utilizzato da una oscura organizzazione criminale per inviare messaggi od operare pressioni in rapporto alla carcerazione e agli interrogatori dell’attentatore del Papa.
Non si ebbe alcun motivo per pensare ad altri possibili moventi del sequestro. L’attribuzione di conoscenza di segreti attinenti al sequestro stesso da parte di persone appartenenti alle istituzioni vaticane, senza indicare alcun nominativo, non corrisponde quindi ad alcuna informazione attendibile o fondata; a volte sembra quasi un alibi di fronte allo sconforto e alla frustrazione per il non riuscire a trovare la verità.
In conclusione, alla luce delle testimonianze e degli elementi raccolti, desidero affermare con decisione i punti seguenti:
Tutte le Autorità vaticane hanno collaborato con impegno e trasparenza con le Autorità italiane per affrontare la situazione del sequestro nella prima fase e, poi, anche nelle indagini successive.
Non risulta che sia stato nascosto nulla, né che vi siano in Vaticano “segreti” da rivelare sul tema. Continuare ad affermarlo è del tutto ingiustificato, anche perché, lo si ribadisce ancora una volta, tutto il materiale pervenuto in Vaticano è stato consegnato, a suo tempo, al P.M. inquirente e alle Autorità di Polizia; inoltre, il SISDE, la Questura di Roma ed i Carabinieri ebbero accesso diretto alla famiglia Orlandi e alla documentazione utile alle indagini.
Se le Autorità inquirenti italiane – nel quadro dell’inchiesta tuttora in corso – crederanno utile o necessario presentare nuove rogatorie alle Autorità vaticane, possono farlo, in qualunque momento, secondo la prassi abituale e troveranno, come sempre, la collaborazione appropriata.
Infine, poiché la collocazione della tomba di Enrico De Pedis presso la Basilica dell’Apollinare ha continuato e continua ad essere motivo di interrogativi e discussioni – anche a prescindere dal suo eventuale rapporto con la vicenda del sequestro Orlandi – si ribadisce che da parte ecclesiastica non si frappone nessun ostacolo a che la tomba sia ispezionata e che la salma sia tumulata altrove, perché si ristabilisca la giusta serenità, rispondente alla natura di un ambiente sacro.
Per terminare, vorremmo riprendere spunto e ispirazione dall’intensa partecipazione personale di Giovanni Paolo II alla tragica vicenda della giovane e alla sofferenza della sua famiglia, rimasta finora nell’oscurità sulla sorte di Emanuela. Ancor più perché questa sofferenza purtroppo si ravviva al sorgere di ogni nuova pista di spiegazione, finora senza esito. Se le persone che scompaiono ogni anno in Italia e di cui non si sa più nulla nonostante le inchieste e le ricerche sono purtroppo numerose, la vicenda di questa giovane cittadina vaticana innocente scomparsa continua a tornare sotto i riflettori. Non sia questo un motivo per scaricare sul Vaticano colpe che non ha, ma sia piuttosto occasione per rendersi conto della realtà terribile e spesso dimenticata che è costituita dalla scomparsa delle persone – in particolare di quelle più giovani – e opporsi, da parte di tutti e con tutte le forze, ad ogni attività criminosa che ne sia causa.
Segue la Parte 2: QUI.