Sua Riverita Eccellenza dopo 5 anni ci riprova con la sua pataccata – Parte 2

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Prosegue dalla Parte 1: QUI.

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.11.2022 – Vik van Brantegem] – Con Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi, la miniserie diretta da Mark Lewis, con l’accompagnamento di Andrea Purgatori e diffusa da Netflix, è stato riscaldato (male) anche una patacca vecchia diffusa il 18 settembre 2017 da Emiliano Fittipaldi. «Quattro appuntamenti per mettere insieme i pezzi di un mosaico impossibile» (ANSA). Tanto clamore mediatico a livello internazionale fondato sul nulla, creato con il disordine informativo.

Vatican Girl: la scomparsa di Emanuela Orlandi: «1983: una 15enne vaticana scompare nel nulla, aprendo un mistero che attraversa quattro decenni di storia tra intrighi internazionali, Chiesa e mafia» – Parte 4: «Dopo lo scandalo di Vatileaks, un giornalista scopre nuove prove che suggeriscono che il Vaticano abbia nascosto informazioni riguardo alla sorte di Emanuela».

«Non risulta che sia stato nascosto nulla,
né che vi siano in Vaticano “segreti”
da rivelare sul tema»
(Padre Federico Lombardi, S.I.).

Già cinque anni fa, in occasione dell’uscita del suo libro Gli impostori, scritto su quella falsa-riga, ho scritto tanto – come anche in generale sul “giallo” della scomparsa di Emanuela Orlandi in generale – sul mio diario Facebook (non avevo ancora aperto il mio Blog dell’Editore). Prendendo spunto dal clamore succitato da Calenda per le pataccate riciclate, riporto quanto ho pubblicato su Facebook cinque anni fa, sulla patacca “regina” di Fittipaldi, in ordine cronologico di pubblicazione, concludendo con la mia Nota Facebook La “pataccata” di Fittipaldi. Se vero o falso pari sono… un punto di svolta (o di non ritorno) per il giornalismo italiano, che riassume un po’ tutto. Come fanno i pataccari, anche uno smascheratore di patacche può riciclare il suo lavoro del passato, non vi pare? Ci saranno un po’ di ripetizioni, ma repetita iuvant (e anche il pataccaro si ripete sempre).

Primo giorno
18 settembre 2017

«Per il lancio di un libro d’imminente uscita, questa mattina due quotidiani italiani hanno pubblicato un presunto documento della Santa Sede che attesterebbe l’avvenuto pagamento di ingenti somme, da parte del Vaticano, per gestire la permanenza fuori Italia di Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma il 22 giugno 1983.
La Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute.
Soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi, alla quale la Segreteria di Stato ribadisce la sua partecipe solidarietà» (Comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, 18 settembre 2017).

Primo post

Dare quel titolo di “Sua Riverita Eccellenza” ad Arcivescovo Tauran, dice tutto. Un falsario per niente abile oppure un presidente dell’APSA di allora rimbambito (da escludere, visto che ha vissuto 90 anni). Come scrisse Andrea Tornielli, documentandolo: UNA PATACCA. Il giornalismo “d’inchiesta” italiano in stato di coma.

«Una documentazione “falsa e ridicola”: così il Portavoce della Santa Sede ha bollato la lettera pubblicata dal giornalista Emiliano Fittipaldi riguardo a un presunto dossier da cui emergerebbe che il Vaticano pagò 483 milioni di lire per allontanare Emanuela Orlandi dall’Italia. La ragazza, che viveva in Vaticano, era scomparsa nel nulla nel 1983, e il presunto dossier avrebbe avuto tra i destinatari Giovanni Battista Re, all’epoca Sostituto [in realtà Assessore] per gli Affari Generali della Segreteria di Stato» (AGI).

«Il Portavoce della Santa Sede Greg Burke lunedì ha descritto come “false e ridicole” le notizie secondo cui il Vaticano aveva speso ingenti somme di denaro per il caso di Emanuela Orlandi, un’adolescente cittadina vaticana scomparsa in circostanze misteriose oltre 30 anni fa. In un articolo pubblicato lunedì da la Repubblica, il giornalista investigativo italiano Emiliano Fittipaldi scrive di un documento trapelato che mostra che il Vaticano avrebbe speso oltre 483 milioni di lire, circa 250.000 euro, per il caso tra il 1983 e il 1997. Orlandi è scomparso nel giugno 1983. In il pezzo, Fittipaldi riferisce che i soldi sono andati a una pensione a Londra e le spese mediche nella capitale britannica. Fittipaldi ha scritto libri in passato con rivelazioni legate ai due scandali Vatileaks con imbarazzanti fughe di documenti riservati» (ANSA, nostra traduzione italiana dall’inglese).

Secondo post

E vabbè, passa per quel “Sua Riverita Eccellenza” in alto di un documento “patacca” (copyright Andrea Torniellii, che ha già iniziato a smontarlo) per non menzionare altro, ma se quello che lo spaccia per vero scrive nel lancio del suo prossimo libro che si appoggia su questo documento “falso e ridicolo” (copyright Greg Burke), parlando di Emanuela Orlandi come “la ragazzina che viveva nella Santa Sede”, allora la frutta è già passato da tempo. Confondere il territorio dello Stato della Città del Vaticano con la Santa Sede (o Sede Apostolica che è “l’ente, dotato di personalità giuridica in diritto internazionale, preposto al governo della Chiesa cattolica”) è cosa se non da principianti, da superficiali (il che è peggio). Aspettiamo di capire come ci spiegherà come una persona fisica può vivere in un ente. Siamo allo sbando totale ormai, mi disse – in privato – un amico giornalista che stimo molto. L’ho risposto: da mo’.

Terzo post

L’amico vaticanista Andrea Tornielli lo definisce laconicamente per quello che è e che si dimostrerà di essere, la solita “patacca”. Quindi, una bufala, un fake news: un documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)».

“Resta un dato di fatto: a cinque anni dall’elezione di Papa Francesco dopo un conclave che aveva messo a tema la volontà di chiudere con i miasmi e i veleni curiali emersi nel primo Vatileaks, la stagione delle fughe di documenti e dei depistaggi non sembra affatto conclusa. Anzi, si tratta di attività fiorente come non mai” (Andrea Tornielli).

“Da dove proviene questo testo? Dall’archivio di Monsignor Lucio Vallejo Balda, il prelato spagnolo nominato Segretario della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e divenuto anche Segretario della commissione COSEA che tra il 2013 e il 2014 fece uno screening sui conti e la gestione amministrativa di enti e dicasteri vaticani. Vallejo Balda, che volle la pr Francesca Immacolata Chaouqui al suo fianco nella commissione, è stato con lei protagonista (e imputato) di Vatileaks 2 [poi ambedue condannati], il processo vaticano seguito alla pubblicazione in due libri usciti contenenti tutte le carte della commissione.
Secondo le fonti consultate da Vatican Insider, Balda conservava quel documento e dopo lo strano furto con scasso subito negli uffici della Prefettura 29 e il 30 marzo 2014, aveva confidato a più persone che tra il materiale trafugato c’era anche un dossier su Emanuela Orlandi. Sempre da quanto risulta a Vatican Insider, il dossier non era però presente nel plico di carte restituite alla Prefettura dopo il furto, e rimesse al loro posto da Vallejo Balda.
Va detto subito, a scanso di equivoci, che se il contenuto del dossier fosse vero, e cioè se i vertici della Santa Sede davvero avessero avuto un ruolo determinante nella gestione del rapimento e dell’occultamento di Emanuela, continuando a nascondere la verità, il Vaticano dovrebbe essere non riformato, ma definitivamente chiuso: non si sta infatti qui parlando di nepotismi, dell’assunzione di parenti, di affari poco chiari, di appalti gonfiati per la ristrutturazione di appartamenti, di deviazioni sessuali (tutte pratiche, sia chiaro, esecrabili, da condannare e da perseguire). Si sta parlando di reati gravissimi tali da richiamare l’epoca dei Borgia.
Se si prende però in esame il documento, i conti che non tornano sono tanti” (Andrea Tornielli).

«Quanto è accaduto lunedì 18 settembre 2017,
con la divulgazione dell’ultimo documento,
evidentemente scritto
e costruito come una “patacca”,
rappresenta un punto di non ritorno»
(Andrea Tornielli).

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Emanuela Orlandi, il giallo del nuovo dossier: “Oltre 483 milioni di lire spesi dal Vaticano per il suo allontanamento”
Un documento choc esce dalla Santa Sede. È il cuore di un libro-inchiesta di Emiliano Fittipaldi, “Gli impostori”. Se è vero, apre squarci clamorosi sulla vicenda della ragazzina scomparsa nel 1983. Se falso, segnala uno scontro di potere senza precedenti nel pontificato di Francesco. Ecco un’anticipazione.
di Emiliano Fittipaldi
la Repubblica, 18 settembre 2017

Prima di consegnarmi i documenti, la fonte aveva tergiversato per settimane. Nei primi due incontri, durante i quali avevo chiesto consigli su come raggiungere l’obiettivo, aveva escluso con fermezza di avere le carte che cercavo. “Le ho solo lette, se le avessi te le darei, figurati,” aveva chiarito seccamente di fronte alle mie insistenze. Non ero convinto che dicesse la verità, ma tentai le strade alternative che mi aveva indicato. Capii presto che era fatica sprecata, e dopo un po’ tornai alla carica.

Alla fine, al terzo appuntamento, la fonte ha ammesso di avere il dossier. “Te li do solo perché credo che sia venuto il momento di far luce sulla storia.” Al quarto incontro, avvenuto in un bar del centro di Roma, mi consegnò una cartellina verde. Me ne tornai a casa di corsa senza neanche guardarci dentro.

Appena varcata la porta del mio studio, la aprii. C’erano dei fogli: una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998. È scritta al computer o, forse, con una telescrivente, ed è inviata (così leggo in calce) dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran.

Al tempo, Giovanni Battista Re era il sostituto [era Assessore] per gli Affari generali della segreteria di Stato della Santa Sede; Jean-Louis Tauran era il numero uno dei Rapporti con gli stati, un’altra sezione del dicastero della Curia romana che “più da vicino”, come spiega il sito del Vaticano, “coadiuva il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione”.

Insomma, Re e Tauran erano nei vertici della Curia e, secondo l’estensore del documento, si sarebbero occupati direttamente della vicenda Orlandi. Il nome di Re era spuntato fuori già dalla lettura della prima sentenza istruttoria sul caso, firmata dal giudice Adele Rando nel 1997.

La presunta missiva di Antonetti, come molte altre a cui ho avuto accesso nelle mie inchieste sulla Santa Sede, non era firmata a penna. Alla fine, l’autore chiariva che non era stata nemmeno protocollata, “come da richiesta”.

Leggo il testo della prima pagina tutto d’un fiato.

Ecco il documento-dossier sul caso Orlandi

“Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)”, è il titolo.

“La prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi.

“La sezione di riferimento, sotto la mia supervisione, ha provveduto a raccogliere il materiale attraverso gli attori dello Stato che hanno interagito con la vicenda.

“Moltissimi limiti nella ricostruzione sono stati riscontrati nell’impossibilità di rintracciare documentazione relativa agli agenti di supporto utilizzati sul suolo italiano stante il divieto postomi di interrogare le fonti, incaricando esclusivamente il capo della Gendarmeria Vaticana in questo senso.

“L’attività di Analisi è suddivisa in archi temporali rilevanti per avvenimenti e per spese sostenute.

“Il documento non include l’attività commissionata da Sua Eminenza Reverendissima Cardinale Segretario di Stato Emerito Agostino Casaroli al ‘Commando 1’, in quanto alcun organo a noi noto o raggiungibile è a conoscenza di quanto emerso e della quantità di denaro investita nell’attività citata.

“I documenti allegati (197 pagine) al presente rapporto sono presentati in originale per la parte relativa ai pagamenti per i quali è stata rilasciata quietanza, sono presentati in forma di resoconto bancario le quantità di denaro utilizzate e prelevate per spese non fatturate”.

La lettera che ho in mano sembra, o vuole sembrare, un documento di accompagnamento a una serie di fatture e materiali allegati di quasi duecento pagine che comproverebbero alla segreteria di Stato le spese sostenute per Emanuela Orlandi in un arco di tempo che va dal 1983 al 1997. Scorro rapidamente le fredde voci di costo elencate. Delineano scenari nuovi e oscuri su una vicenda di cui si è scritto e ipotizzato molto, e su cui il Vaticano ha sempre negato di avere informazioni ulteriori rispetto a quanto raccontato e condiviso con i giudici italiani che hanno investigato in questi ultimi trentaquattro anni.

Il dossier sintetizza gli esborsi sostenuti dal Vaticano dal 1983 al 1997. La somma totale investita nella vicenda Orlandi è ingente: oltre 483 milioni, quasi mezzo miliardo di lire.

L’elenco riempie pagina due, tre, quattro e, in parte, cinque del rendiconto. La prima voce riguarda il pagamento di una “fonte investigativa presso Atelier di moda Sorelle Fontana”. La Orlandi, nell’ultima telefonata alla famiglia prima della sparizione, aveva in effetti detto che qualcuno le aveva proposto di pubblicizzare i prodotti di una marca di cosmetici, la Avon, durante una sfilata delle stiliste Fontana. Per la fonte, la Santa Sede aveva sborsato 450.000 lire. C’era un’altra spesa per la “preparazione all’attività investigativa estera” costata altre 450.000 lire, uno “spostamento” da ben 4 milioni di lire e, soprattutto, le “rette vitto e alloggio 176 Chapman Road Londra”.

Chi ha scritto il documento, come vedremo, aveva digitato male l’indirizzo: a quello giusto c’è la sede londinese dei padri scalabriniani, la congregazione dei missionari di San Carlo fondata nel 1887 da Giovanni Battista Scalabrini. Dagli anni sessanta gestiscono un ostello della gioventù destinato esclusivamente a ragazze e studentesse. Nel periodo 1983-1985, per le rette, erano stati versati 8 milioni di lire. Il prezzo giusto, mi dico, per ospitare una persona in quell’arco temporale (per dare un ordine di misura, nel 1983, secondo i dati storici della Banca d’Italia, lo stipendio medio di operai e impiegati era di circa 500.000, 600.000 lire nette al mese).

La prima pagina si chiude con i costi per l'”indagine formale in collaborazione con Roma” (23 milioni) e con la misteriosa “attività di indagine riservata extra ‘Commando 1’, direzione diretta Cardinale Casaroli”, per una cifra di 50 milioni di lire. Agostino Casaroli era il segretario di Stato che nella vicenda Orlandi ha avuto un ruolo importante, soprattutto all’inizio.

La nota, nella seconda e nella terza pagina, racconta i costi sostenuti per l'”allontanamento domiciliare” di Emanuela nel periodo “febbraio 1985-febbraio 1988”. Si elencano dispendiosi viaggi a Londra di esponenti vaticani di altissimo livello, soldi investiti per la “attività investigativa relativa al depistaggio”, spese mediche in ospedali e fatture per specialisti in “ginecologia”. Si parla di “un secondo” e di “un terzo trasferimento”, di decine di milioni di lire per “rette omnicomprensive” di vitto e alloggio.

Gli anni scorrono. Arrivo all’ultima pagina. Il documento segnala che il resoconto dei costi per le attività relative alla cittadina Orlandi e al suo “allontanamento domiciliare” si riferisce stavolta al periodo “aprile 1993-luglio 1997”. Le voci del quadriennio sono solo tre: oltre alle solite rette (con “il dettaglio mensile e annuale in allegato 22”) e ad altre “spese sanitarie forfettarie”, figura il capitolato finale. Mi si gela il sangue: “Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano, con relativo disbrigo pratiche finali: L. 21.000.000”.

La lista finisce qui, ma in fondo alla quinta pagina il mittente aggiunge una postilla. “Il presente documento è presentato in triplice copia, per dovuta conoscenza ad entrambi i destinatari, si rimanda a documentazione allegata sulle modalità di redazione. Non si espleta funzione di protocollazione come da richiesta. APSA è sollevata dalla custodia della documentazione allegata presentata in originale. In fede, Lorenzo Cardinale Antonetti. Stato Città del Vaticano, A.D. 1998, mese di marzo giorno 28.”

Smetto di leggere. Il documento, che esce certamente dal Vaticano, anche se non protocollato e privo di firma del suo estensore, pare verosimile. Ma quasi incredibile nel suo contenuto. Dunque, delle due l’una: o è vero, e allora apre per la prima volta squarci impensabili e clamorosi su una delle vicende più oscure della Santa Sede. O è un falso, un documento apocrifo, che mischia con grande abilità tra loro elementi veritieri che inducono il lettore ad arrivare a conclusioni errate.

In entrambi i casi, il pezzo di carta che ho in mano è inquietante. Perché, fosse un documento non genuino, significherebbe che gira da almeno tre anni un dossier devastante fabbricato ad arte per aprire una nuova stagione di ricatti e di veleni in Vaticano. Chi e quando avrebbe costruito un simile documento, che come vedremo contiene dettagli, indirizzi, nomi e circostanze molto particolari che solo un soggetto “interno” alla Città Santa poteva conoscere così bene? Se non è davvero stato scritto dal cardinale Antonetti, chi l’ha redatto con tale maestria, e chi l’ha poi messo, anni fa, nella cassaforte della Prefettura?

Difficile rispondere ora a queste domande. Ma è chiaro che, se il documento fosse falso, la Gendarmeria guidata da Domenico Giani avrà parecchio da lavorare. Il report fasullo potrebbe essere rimasto nascosto per anni in qualche cassetto, mai usato (almeno fino ad ora) e infine dimenticato. O potrebbe essere stato costruito ad hoc più di recente, dopo il furto del marzo del 2014, e restituito dai ladri insieme ad altri documenti certamente veritieri. Ma se è così, perché monsignor Abbondi non ha detto davanti ai magistrati di papa Francesco che lo interrogavano sul contenuto del plico anonimo con i documenti rubati che era tornato, tra gli altri, anche un dossier sulla Orlandi che non aveva mai visto, e quindi forse fasullo? Perché ha parlato genericamente di carte “sgradevoli”?

È pure evidente, però, che il report non spiega chiaramente cosa sia accaduto alla ragazzina che amava le canzoni di Gino Paoli, né accusa con nome e cognome qualcuno di responsabilità specifiche sul rapimento e sulla fine di Emanuela. Per quanto incredibile, cerco di costringermi a pensare che il documento possa essere anche una lettera autentica. Il report di un burocrate, il cardinale Antonetti appunto, che rendiconta minuziosamente ai due destinatari tutte le spese sostenute per “l’allontanamento domiciliare” della Orlandi, spese divise per quattro archi temporali definiti. Una pratica obbligatoria nei servizi segreti di ogni Stato del pianeta: alla fine di un’operazione, anche quelle in cui vengono usati fondi neri, i responsabili devono presentare il consuntivo di ogni spesa effettuata ai superiori.

La missiva è “presentata in triplice copia”, come si usa fare da sempre in Vaticano anche per i documenti riservati (uno va ai destinatari dei vari dicasteri coinvolti, un altro resta nell’archivio dell’Apsa). Stavolta una copia è finita anche negli archivi della Prefettura degli affari economici, cioè il ministero della Santa Sede che aveva il compito di supervisionare le uscite dei vari enti vaticani. Non è una stranezza: nell’enorme armadio blindato che i ladri hanno aperto nel marzo del 2014 ci sono migliaia di documenti provenienti anche da altri enti vaticani. Tra cui, per esempio, le lettere di Michele Sindona spedite non in Prefettura, ma ai cardinali presidenti di pontifice commissioni.

Fosse veritiero, dunque, il rendiconto datato marzo 1998, pur in assenza delle 197 pagine di fatture, darebbe indicazioni e notizie sbalorditive che potrebbero aiutare a dipanare la matassa di un mistero irrisolto dal 1983. Perché dimostrerebbe, in primis, l’esistenza di un dossier sulla Orlandi mandato alla segreteria di Stato, mai consegnato né discusso con le autorità italiane che hanno investigato per decenni senza successo sulla scomparsa della ragazzina. Perché evidenzierebbe come la chiesa di Giovanni Paolo II abbia fatto investimenti economici importanti su un’attività investigativa propria, sia in Italia sia all’estero, i cui risultati sono a oggi del tutto sconosciuti. Perché il dossier citerebbe un fantomatico “Commando1” guidato direttamente da Agostino Casaroli, potente segretario di Stato della Santa Sede, forse un gruppo di persone composto da pezzi dei servizi segreti vaticani (il corpo della Gendarmeria ha funzioni di ordine pubblico e di polizia giudiziaria, ma svolge anche lavoro di intelligence per la sicurezza dello stato) che ha preso parte alle attività successive alla scomparsa della ragazza.

Ma, soprattutto, il resoconto diventa clamoroso quando mostra come tra il 1983 e la fine del 1984 il Vaticano, dopo indagini autonome, avrebbe investe in un primo “spostamento” la bellezza di 4 milioni di lire.
Da allora il campo da gioco dei monsignori che si sarebbero occupati della vicenda di Emanuela si sposta in Inghilterra. In particolare, a Londra.

Possibile che Emanuela Orlandi sia stata ritrovata viva dal Vaticano e poi nascosta in gran segreto nella capitale inglese? Se non è così, e se il documento è autentico, a chi la Santa Sede ha pagato per quattordici anni “rette vitto e alloggio” elencate in un report che ha come titolo “Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi” e per il suo “allontanamento domiciliare”? Come mai nella nota sulla ragazza viene indicato che il capo della Gendarmeria del tempo, Camillo Cibin, avrebbe sborsato la bellezza di 18 milioni di lire, tra il 1985 e il 1988, per andare avanti e indietro da Londra? Chi sarebbe andato a trovare qualche tempo dopo il medico personale di papa Wojtyla, Renato Buzzonetti, insieme a Cibin, “presso la sede l. 21”, una “trasferta” da 7 milioni di lire? Perché e a chi, all’inizio degli anni novanta, il Vaticano avrebbe pagato spese sanitarie – come segnala ancora l’estensore dello scritto – per i controlli (o addirittura un ricovero) alla Clinica St. Mary, sempre a Londra? Chi è andata, sola o accompagnata, a farsi visitare dalla “dottoressa Leasly Regan, Department of Obstetrics & Gynaecology” dello stesso nosocomio un’unica “attività economica a rimborso” di cui il capo dell’Apsa non indica la spesa precisa, invitando a leggere i “dettagli in allegato 28”? (contattata da l’Espresso, la Regan nega di avere fatture a nome della Orlandi, e dice di non poter ricordare, dopo tanti anni, se ha curato una ragazza con le fattezze di Emanuela)

La storia, secondo il documento, non sembra finire bene. Perché la lista si conclude con un ultimo capitolato di spesa, sull’ “attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali”. Il trasferimento è il quarto segnalato nel report: chi viene portato in Vaticano? Perché nel luglio 1997 la “pratica” di Emanuela Orlandi viene considerata chiusa?

A metà giugno del 2017 capisco, dal Corriere della Sera, che qualcun altro è ha conoscenza del documento misterioso. La famiglia Orlandi ha infatti presentato un’istanza di accesso agli atti per poter visionare “un dossier custodito in Vaticano”. Il quotidiano accredita che il fascicolo possa contenere resoconti di attività inedite fino al 1997, con dettagli anche di natura amministrativa svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento”. Capisco che si tratta proprio del report che ho in mano. Il giorno dopo monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della segreteria, nega l’esistenza di qualsiasi carta riservata: “Abbiamo già dato tutti i chiarimenti che ci sono stati richiesti. Il caso per noi è chiuso”. Anche il cardinale Re interviene, assicurando che “la Segreteria di Stato” di cui nel 1997 lui era sostituto “non aveva proprio niente da nascondere.

Essendo uno dei due destinatari della presunta lettera di Antonetti, decido di chiamarlo, e domandargli se ha mai ricevuto quel report sull “allontanamento domiciliare” di Emanuela Orlandi, e se in caso contrario quello che ho in mano è un report apocrifo che vuole inchiodarlo a responsabilità che lui non ha. L’inizio del colloquio è rilassato. Appena gli leggo il titolo, il cardinale, senza chiedermi nulla nel merito del documento, tronca improvvisamente la conversazione: “Guardi io non so di questo. E mi dispiace non poterla aiutare. Sono qui con altre persone”. Clic.

La mia ricerca è iniziata nel febbraio del 2017. Leggendo il libro di Francesca Chaoqui e dell’ex direttore della sala stampa del Vaticano Federico Lombardi. Quest’ultimo ricordava come un testimone eccellente del processo che mi vedeva coinvolto, quello su Vatileaks 2, aveva parlato di alcuni documenti trafugati. Il test era monsignor Alfredo Abbondi, capo ufficio della Prefettura degli Affari economici.

La parte più interessante del suo interrogatorio riguarda un misterioso furto avvenuto nelle stanze di quell’ufficio nella notte tra il 29 e il 30 marzo 2014.

Dopo mezzanotte, qualcuno si era introdotto nel palazzo senza rompere alcuna serratura dei portoni di accesso, aveva sgraffignato qualche spicciolo negli uffici delle congregazioni ai primi piani dell’immobile e s’era poi concentrato sulla cassaforte e su uno soltanto dei dodici armadi blindati nascosti in una delle stanze della Prefettura, al quarto piano del grande edificio che si affaccia su piazza San Pietro.

A don Abbondi, la mattina del 14 maggio 2016, i magistrati chiedono conto di quella singolare vicenda. Il prelato spiega che nell’ufficio esisteva “un archivio riservato che era sotto la responsabilità del segretario Balda”, custodito inizialmente “in un armadio in una stanza vicina a quella del monsignore”; aggiunge che “dopo il furto, l’archivio riservato venne piazzato direttamente nella stanza di Vallejo”. Quando il promotore di giustizia gli domanda cosa avessero rubato i ladri, Abbondi specifica che, se dalla piccola cassaforte “portarono via soldi e delle monete, dall’armadio blindato prelevarono invece dei documenti dell’archivio riservato… alcuni dei quali vennero poi riconsegnati in busta chiusa nella cassetta della posta del dicastero”.

Proprio così: alcune carte trafugate vennero rispedite in un plico anonimo, quasi un mese dopo lo scasso. Un dettaglio già raccontato da Gianluigi Nuzzi. Non solo. Il giornalista aveva pubblicato anche alcuni dei documenti restituiti alla Prefettura, tra cui diverse lettere mandate dal “Banchiere di Dio”, Michele Sindona, a esponenti delle gerarchie vaticane, oltre a missive con riferimenti a Umberto Ortolani, fondatore – insieme a Licio Gelli – della loggia massonica deviata P2.

“Cosa c’era nel plico?” chiede diretto il promotore di giustizia a don Abbondi. “Documenti di dieci, vent’anni fa, che di fatto non avevano più alcun valore,” risponde il prelato. “Nel riordinare i fogli dopo l’effrazione, vidi che gli atti contenuti nell’archivio non erano tanto relativi alla sicurezza dello stato,” ma a fatti che il monsignore definisce “sgradevoli”. “Sgradevoli,” ripeto tra me e me.

Riponendo il libro mi domandai se, come ipotizzavano Abbondi e numerosi esponenti della Santa Sede, restituendo alcuni o tutti i documenti trafugati, i ladri avessero voluto lanciare un avvertimento, una minaccia, o se il furto nascondesse in realtà altre motivazioni. Certamente vi avevano collaborato persone informate dei segreti della Prefettura, visto che i banditi, violando un solo armadio blindato, erano andati a colpo sicuro. Di certo Abbondi fa intendere ai magistrati vaticani che i documenti ritornati dopo il furto non sono diversi da quelli che lui sapeva essere conservati nella cassaforte.

Cominciai a leggere il volume della Chaouqui…Senza tanti giri di parole, la Chaouqui fa poi capire al lettore che, dalla discussione avuta quella mattina con il suo amico (i due in seguito diventeranno acerrimi nemici), aveva compreso che era stato lo stesso Balda a compiere l’effrazione, forse con il supporto di manovalanza esterna. Un’accusa pesantissima.

Balda, che era già stato sentito dalla Gendarmeria insieme ad altri dipendenti dell’ufficio, ha sempre negato ogni addebito…L’avvocatessa calabrese – che nel 2014, ricordiamolo, era membro della Cosea e lavorava negli uffici della Prefettura che ospitavano la commissione – è uno dei pochissimi testimoni diretti di ciò che avvenne negli uffici dopo l’effrazione. E, come aveva fatto monsignor Abbondi in tribunale durante la sua deposizione, decide di raccontare nel suo libro il momento in cui tornano le carte sottratte un mese prima.

Ma se il prete aveva parlato genericamente di documenti “sgradevoli”, la Chaouqui entra nei dettagli, narrando in prima persona: “Alla fine i fascicoli ricompaiono, spediti da mano ignota agli uffici della Prefettura. C’è il dossier su un vescovo molto potente e sulle delicate questioni legate a un’eredità ricevuta quando era nunzio in Francia. Ci sono i resoconti delle spese ‘politiche’ di Giovanni Paolo II ai tempi della Guerra fredda e di Solidarność. C’è il carteggio tra il banchiere Michele Sindona e il faccendiere Umberto Ortolani, che il Vaticano avrebbe cercato in capo al mondo. C’è il file di Emanuela Orlandi e capisco il finale di una storia che deve rimanere sepolta”…

Ora ho deciso di pubblicare il documento. Avessero ragione Becciu e il cardinale Re, il documento sarebbe certamente un falso. Sarebbe importante capire allora chi sono gli impostori che l’hanno architettato, e per quali oscuri motivi la storia di una ragazza scomparsa nel 1983 venga ancora usata per ricatti e lotte intestine della città sacra. Ma se le verosimiglianze impressionanti delle note spese del dossier fossero confermate da nuovi elementi determinati, il Vaticano e i suoi alti esponenti avrebbe mentito ancora una volta. E gli impostori sarebbero loro.

Vatileaks, arriva la “nota spese” vaticana per il rapimento Orlandi
I quotidiani Repubblica e Corriere della Sera divulgano un documento che appare confezionato come una “patacca”, contenente il rendiconto del quasi mezzo miliardo di lire che la Santa Sede avrebbe speso per gestire la permanenza all’estero di Emanuela. La Segreteria di Stato smentisce: «Notizie false e prive di fondamento»
di Andrea Tornielli
Vatican Insider, 22 settembre 2017 (ultima modifica 15 luglio 2019)

Che il caso di Emanuela Orlandi, la giovanissima figlia di un dipendente vaticano scomparsa misteriosamente nel centro di Roma nel giugno 1983, sia un mistero mai chiarito intessuto di ricatti e depistaggi, è un fatto oggettivo e ben documentato. Che tra le persone a vario titolo coinvolte nella triste e oscura vicenda – trasformatasi in un caso internazionale con l’interesse dei servizi di intelligence di mezzo mondo e presunte connessioni con l’attentato a Papa Wojtyla e la vicenda Ior-Ambrosiano – vi sia chi non ha ancora raccontato tutta la verità, è altrettanto certo. Ora la storia si arricchisce di un nuovo capitolo, un documento destinato ad aumentare confusione e veleni.

Lo hanno pubblicato in contemporanea la Repubblica online (come anticipazione di un nuovo libro del giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi) e Il Corriere della Sera cartaceo, con articoli nei quali già si ammette che potrebbe trattarsi di un falso depistante. Si tratta di un documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)». A redigerlo – indirizzandolo all’allora Sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Battista Re e per conoscenza all’allora “ministro degli Esteri” Jean Louis Tauran – sarebbe stato il cardinale di origini novaresi Lorenzo Antonetti, dal 1995 alla fine del 1998 Presidente dell’APSA (l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che funge anche da ente pagatore del Vaticano).

La lettera sarebbe stata accompagnata da 197 pagine di fatture e giustificativi (non più presenti), contiene l’inquietante rendiconto delle spese che il Vaticano avrebbe sostenuto per gestire il rapimento di Emanuela Orlandi e la sua permanenza all’estero, in vari convitti, nonché le spese sborsate per indagare su un dichiarato “depistaggio”, per le indagini private, per non meglio precisate (e milionarie) attività espletate dall’allora Segretario di Stato Agostino Casaroli e dall’allora Vicario di Roma Ugo Poletti.

Il documento su carta semplice, senza intestazioni ufficiali, né timbri né firme manoscritte, composto da cinque pagine e datato marzo 1998, intitolato «Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio 1968)»

Innanzitutto, viste le date sommarie poste all’inizio delle singole pagine, si afferma che le attività sarebbero iniziate nel gennaio 1983, dunque mesi prima della scomparsa della ragazza: quasi un’ammissione del fatto che il Vaticano era coinvolto nell’organizzazione del rapimento. Si parla di milioni messi a disposizione di Teofilo Benotti per gestire i rapporti con la stampa interessata al caso, di spese per visite ginecologiche, di trasferte che all’allora capo dei Gendarmi vaticani, Camillo Cibin, a Londra, in compagnia del medico personale del Papa Giovanni Paolo II, Renato Buzzonetti: si presume per visitare la Orlandi. Infine, altro aspetto inquietante, è rappresentato dalle spese finali, datate 1997: «Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano, con relativo disbrigo pratiche finali: L. 21.000.000». Il che lascerebbe supporre che nel 1997 Emanuela sia arrivata Oltretevere e da qui mai più uscita.

Da dove proviene questo testo? Dall’archivio di monsignor Lucio Vallejo Balda, il prelato spagnolo nominato segretario della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede e divenuto anche segretario della commissione COSEA che tra il 2013 e il 2014 fece uno screening sui conti e la gestione amministrativa di enti e dicasteri vaticani. Vallejo Balda, che volle la pr Francesca Immacolata Chaouqui al suo fianco nella commissione, è stato con lei protagonista (e imputato) di Vatileaks 2, il processo vaticano seguito alla pubblicazione in due libri usciti contenenti tutte le carte della commissione.

Secondo le fonti consultate da Vatican Insider, Balda conservava quel documento e dopo lo strano furto con scasso subito negli uffici della Prefettura 29 e il 30 marzo 2014, aveva confidato a più persone che tra il materiale trafugato c’era anche un dossier su Emanuela Orlandi. Sempre da quanto risulta a Vatican Insider, il dossier non era però presente nel plico di carte restituite alla Prefettura dopo il furto, e rimesse al loro posto da Vallejo Balda.

Va detto subito, a scanso di equivoci, che se il contenuto del dossier fosse vero, e cioè se i vertici della Santa Sede davvero avessero avuto un ruolo determinante nella gestione del rapimento e dell’occultamento di Emanuela, continuando a nascondere la verità, il Vaticano dovrebbe essere non riformato, ma definitivamente chiuso: non si sta infatti qui parlando di nepotismi, dell’assunzione di parenti, di affari poco chiari, di appalti gonfiati per la ristrutturazione di appartamenti, di deviazioni sessuali (tutte pratiche, sia chiaro, esecrabili, da condannare e da perseguire). Si sta parlando di reati gravissimi tali da richiamare l’epoca dei Borgia.

Se si prende però in esame il documento, i conti che non tornano sono tanti. A cominciare dall’intestazione: il cardinale Antonetti, veterano della diplomazia curiale e già nunzio a Parigi, si sarebbe rivolto all’arcivescovo Re chiamandolo «Sua Riverita Eccellenza…». Ora, in Vaticano anche gli uscieri assunti da una settimana sanno che lo spagnolesco e vetusto codice dei titoli episcopali prevede che a un vescovo ci si rivolga chiamandolo «Sua Eccellenza Reverendissima». Inoltre, il secondo nome di monsignor Tauran è scritto sbagliato: Luis invece di Louis (e questo è altrettanto strano da parte di un capo-dicastero che scrive a un’alta personalità della Segreteria di Stato: l’ex nunzio in Francia avrebbe dimenticato il francese). Ma i dubbi veri sono di sostanza. Ammettiamo per un istante che la sostanza dei fatti riferiti sia vera. Per quale motivo nel 1998, con un’inchiesta della magistratura romana ancora in corso, i vertici della Santa Sede coinvolti (in questo caso la Segreteria di Stato) avrebbe chiesto all’APSA un rendiconto completo delle spese dell’operazione, con fatture e pezze d’appoggio senza nomi in codice, aumentando così il numero delle persone informate sui fatti e le possibili fughe di notizie? E ancora, sempre supponendo che la sostanza sia vera, per quale motivo la Segreteria di Stato avrebbe gestito un’operazione del genere usando l’APSA come ente pagatore, e non utilizzando invece i fondi riservati (Fondo Paolo VI) a sua disposizione per le emergenze?

Tutto lascia dunque intendere che il documento sia falso (a meno di non pensare che il cardinale Antonetti lo abbia volutamente fabbricato con errori per farlo passare per falso). Quello che è certo è che si trovava nell’archivio di monsignor Balda e che dunque qualcuno l’aveva confezionato e l’aveva consegnato a lui. Ovviamente un testo del genere viene fabbricato per depistare o per ricattare, mescolando particolari veri o verosimili, con altri che sono inventati.

Il cardinale Giovanni Battista Re, presunto destinatario di quelle carte, ha dichiarato al blog Stanze Vaticane del Tgcom24: «Non ho mai visto quel documento pubblicato da Fittipaldi, non ho mai ricevuto alcuna rendicontazione su eventuali spese effettuate per il caso di Emanuela Orlandi». Mentre il portavoce vaticano, Greg Burke, ha definito «falsa e ridicola» la ricostruzione pubblicata come anticipazione del libro di Fittipaldi su Repubblica, un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede diffuso in serata afferma che: «La Segreteria di Stato smentisce con fermezza l’autenticità del documento e dichiara del tutto false e prive di fondamento le notizie in esso contenute. Soprattutto rattrista che con queste false pubblicazioni, che tra l’altro ledono l’onore della Santa Sede, si riacutizzi il dolore immenso della famiglia Orlandi, alla quale la Segreteria di Stato ribadisce la sua partecipe solidarietà».

Resta un dato di fatto: a cinque anni dall’elezione di Papa Francesco dopo un conclave che aveva messo a tema la volontà di chiudere con i miasmi e i veleni curiali emersi nel primo Vatileaks, la stagione delle fughe di documenti e dei depistaggi non sembra affatto conclusa. Anzi, si tratta di attività fiorente come non mai.

Segue la Parte 3 (08.11.2022): QUI.

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