Elezioni 25 settembre 2022. Riflessioni sul fascismo, sull’antifascismo e sul fascismo dell’antifascismo. Con Sciascia, Maccari, Pasolini e Bordiga – Prima parte

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.09.2022 – Vik van Brantegem] – Fra due giorni si potrà andare a votare. E concordiamo con chi su Twitter ha pubblicato questo post: «Dopo aver riflettuto ho deciso che andrò a votare. Naturalmente non penso che si possa più cambiare il sistema, ma non credo neppure che chi se ne sta a casa e, in generale, il cosiddetto “popolo” sia diverso e migliore degli eletti». #iovoto #andiamoavotare

Quelle “ingerenze straniere” sul voto in Italia che non scandalizzano.

Comunque, quello che sia, “il sistema” la vede nera, letteralmente, giudicando dall’ingerenza nelle elezioni politiche in Italia di Ursula von der Leyen, che in un agghiacciante intervento all’Università di Princeton minaccia esplicitamente: «Elezioni in Italia? Se vanno male, abbiamo gli strumenti…». Per la Presidente della Commissione dell’Unione Europea, un governo delle sinistre = democrazia, un governo della coalizione di centrodestra = Stato d’eccezione. «Il mio approccio è che noi lavoriamo con qualunque governo democratico che è disposto a lavorare con noi», dice von der Leyen. Se questo non è un’ingerenza a gamba tesa nelle elezioni democratiche in Italia… [Quelle “ingerenze straniere” sul voto in Italia che non scandalizzano]. Ed è per questo lavorano con il governo di Ilham Aliyev, Presidente dell’Azerbajgian, notoriamente affidabile e democratico, che è disposto a lavorare con loro, per vendere il gas suo e della Russia (a prezzi maggiorati).

Quindi, per von der Leyen esiste il rischio che l’Italia con le elezioni di domenica torni sotto il controllo di una coalizione autoritaria della destra “fascista”. Pare che invece sia la Commissione dell’Unione Europea ad incarnare uno dei motti post-fascisti d’eccellenza: o con noi, o contro di noi. Poi, il tanto conclamato “Stato di diritto”, in Italia è stato violato dai governi di Conte e Draghi, mettendosi al di fuori del campo di legittimità costituzionale. Scrive Matteo Milanesi su Nicolaporro.it di oggi: «Ma il canto non cambierà mai: la destra è sporca, fascista e cattiva. Così fu per Trump e per Le Pen, così sarà per Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Non conta che, all’interno del programma della coalizione, venga affermata la piena appartenenza dell’Italia all’Unione Europa e all’alleanza Nato; non conta che Giorgia Meloni sia tra le più convinte leader italiane a sostenere la causa ucraina; non conta che i maggiori rapporti con la Russia siano tenuti dai leader socialisti del nostro continente. Nulla di tutto ciò ha rilevanza: la destra sarà sempre e comunque fascista. E menomale che sono loro i “democratici”».

E facciamoci un pensiero – lo so, pensare è da destra fascista – «perché due lacchè del potere di questo livello, di fatto, sdoganano l’astensione? Perché sanno perfettamente che l’elettore piddino, il più ottuso e obbediente che esista, è ultra fidelizzato e va a votare pure in punto di morte. Così come i fans della Meloni, l’altra faccia della medaglia piddina. Si cerca di scoraggiare coloro che sono contro il sistema ma si sentono comprensibilmente sconfitti, rassegnati, fiaccati da tutto ciò che è successo nell’ultimo trentennio. Insomma, quel che vogliono è un ritorno, dopo la grottesca parentesi grillina, al bipolarismo all’americana, tra due centri di potere perfettamente identici, ma in fintissima antitesi. A me basta questo per spingermi al voto. Chissà, se magari lo facessimo in tanti, tra i compagni rassegnati, riusciremmo a portare in parlamento qualche piccolo incomodo. Che la scelta cada su Unione Popolare su Italia Popolare e Sovrana per me fa lo stesso. Vorrei ricordare quando nel 1882 fu eletto nel blindatissimo parlamento regio il primo socialista: Andrea Costa da Imola. Potremmo portarne uno anche noi e chissà che si rimetta in moto qualcosa. La storia a volte è imprevedibile» (Alberto Scotti).

Ha scritto Massimo Fini in Il giornalismo fatto a pezzi (Marsilio Editori 2021), nel capitolo L’antifascismo come genere di consumo: «Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola “antifascista”, insieme ai suoi due corollari “laico” e “democratico”. Non c’è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme “laica, democratica e antifascista”. Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere…».

Prosegue Fini: «Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent’anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent’anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l’antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto. Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un’inchiesta, come si vede, delicata (l’accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di «fare il gioco delle destre»). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare».

Essere antifascisti è…

Il discorso pronunciato da Sandro Pertini a Genova il 28 giugno 1960, durante una manifestazione di protesta a cui parteciparono 30mila persone per impedire lo svolgimento del VI Congresso del Movimento Sociale Italiano nella città Medaglia d’Oro della Resistenza.

Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori, chi sono i nostri sobillatori, eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera: sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato.
Si tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza.
Ed è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.
La Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo. La Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero.
Noi, oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria, sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata, sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato, o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi, anche per le vostre libertà.
È necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti, scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”. E salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente per il bene comune.
Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta?
Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima.
Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
È chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica, contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24 voti, sudici voti neofascisti.
Si va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore, contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere, mentre nessuno tra i responsabili mostra di ricordare che se non vi fosse stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni.
Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza, a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza, il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa nulla sarà perduto in Italia.
Noi anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi. Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre.
Qui vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori, perché la riscattassero dall’infamia fascista.
A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi.
Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio.
Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.

Sandro Pertini
Genova, 28 giugno 1960

Che noia l’antifascismo
di Massimo Mazzucco
Arianna Editrice, 9 maggio 2019

Io non sono mai stato di destra, ma mi ha sempre dato fastidio l’antifascismo inteso come categoria ideolgica “a priori”. Che uno debba avere torto in partenza, solo “perchè è fascista”, è per me una cosa incomprensibile.
Ricordo una volta, agli esordi di luogocomune, quando diedi spazio ad una giornalista e scrittrice di destra, Ercolina Milanesi. Ci fu una violentissima levata di scudi da parte degli utenti, talmente violenta che molti di loro abbandonarono platealmente il sito, dicendo “o lei o noi”, e “i fascisti non devono parlare”.
A me spiacque molto, ma tenni duro: persi molti utenti, ma stabilii un principio sacrosanto. Tutti hanno diritto di parola. E se tu ritieni che i tuoi argomenti siano migliori di quelli di un altro, tu lo zittisci con gli argomenti, e non con le etichette.
Ma quello dell’antifascismo a priori, nella nostra società, rimane un assioma duro a morire.
Questo atteggiamento poteva essere comprensibile 70 anni fa, dopo la fine di una guerra fraticida che aveva letteralmente spaccato l’Italia a metà, sia in senso geografico che in senso sociale e familiare. Allora si può anche comprendere che nessuno volesse più sentir parlare di fascismo, se non magari nei libri di storia.
Ma oggi, che differenza fa avere un fascista in più o uno in meno? Chissenefrega se un gruppo di fascisti si mette in strada con il braccio alzato davanti allo striscione che inneggia a Mussolini? Chissenefrega se un gruppo di fascisti va a Predappio a portare un saluto alla tomba del duce? Chissenefrega se Salvini pubblica un libro con un editore dichiaratamente fascista?
Saranno cavoli loro, no?
E invece no. Dodici di loro inneggiano davanti allo striscione, e di colpo i talk-show si riempiono di intellettualoni che si domandano se “il fascismo sia tornato”. Vanno alla tomba di Predappio, e il povero direttore del TG3 che ha dato la notizia è costretto a dare le dimissioni. Salvini pubblica il libro, e di colpo ci sono quelli che disertano il Salone del Libro perché “io accanto ai fascisti non ci sto”.
Questo antifascismo sistematico e assolutistico è talmente di moda da sembrare un riflesso condizionato. Anzi, un riflesso obbligato. Una cosa a cui non puoi sottrarti, come intellettuale, a meno di venir escluso dalla cerchia dei quelli che contano davvero. L’antifascismo di oggi è talmente stupido, talmente inutile, talmente prepotente, a modo suo, da essere diventato esso stesso una forma ancora più distorta di fascismo.
In un modo o nell’altro, finiamo sempre per assomigliare al nemico che vorremmo combattere.

* * *

Quindi, facciamo qualche riflessione – lo so, riflettere è ancora più da destra fascista che pensare – «liberi da pregiudizi indotti. Un atto dovuto alla ragione prima ancora che alla politica e alla fede. Evidentemente chi ha già deciso di assecondare acriticamente (o forse criticamente?) la vulgata secondo cui Giorgia Meloni è in-votabile perché fascista e metterà a rischio la democrazia nel nostro Paese (e per questo meriterebbe di venir brutalmente giustiziata) potrà astenersi dalla lettura. Chi vorrà (coraggiosamente e a suo rischio e pericolo) continuare a leggere, potrà farlo» (Miguel Cuartero, 21 settembre 2022 [QUI]).

Segue la seconda parte: QUI.

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